Torquato Tasso: l’arte come argine della follia
Torquato Tasso nasce a Sorrento l’11 marzo 1544. La ricerca di uno stile meraviglioso e la necessità di esprimersi hanno caratterizzato la vita di questo straordinario poeta, animato da un profondo tumulto spirituale e dal costante bisogno di approvazione.
La vicenda biografica di Torquato Tasso, nato a Sorrento da padre bergamasco e madre toscana l’11 marzo 1544, è segnata, come noto, da alcuni eventi che, scadendo spesso nel mito, hanno fomentato (se non esasperato), la sua fama di folle e lunatico, nonché di maniacale revisore del suo poema dalle tinte ombrose, emblema di un Rinascimento splendente destinato oramai al tramonto.
La Gerusalemme Liberata, la cui stesura impegna Torquato Tasso dalla tenera età di quindici anni (un primo stralcio del futuro poema eroico è intitolato Gerusalemme, 1559) e giunge ad un primo compimento durante il felice periodo ferrarese (entro il 1575 circa), gioca sull’opposizione fra bene e male, incarnati rispettivamente dalle forze cristiane e quelle pagane.
La scelta di stendere un poema epico che abbia come argomento le vicende della prima crociata, conclusa come noto con la conquista della città di Gerusalemme nel 1099, è il frutto di un profondo lavorio teorico circa la materia da trattare in poesia: le riflessioni del Tasso sono raccolte nei Discorsi sull’arte poetica. Scrive infatti il Tasso:
La materia, che argomento può ancora comodamente chiamarsi, o si finge, ed allora par che il poeta abbia parte non solo ne la scelta, ma ne la invenzione ancora; o si toglie da l’istorie. Ma molto meglio è, a mio giudicio, che da l’istoria si prenda; perché dovendo l’epico cercare in ogni parte il verisimile (presupongo questo, come principio notissimo), non è verisimile ch’una azione illustre, quali sono quelle del poema eroico, non sia stata scritta, e passata a la memoria de’ posteri con l’aiuto d’alcuna istoria.
L’argomento può essere completamente inventato oppure tratto dalla storia. Dovendo cimentarsi con un poema epico ed eroico, scrive Tasso, sarebbe opportuno tirare l’argomento dai fatti passati e realmente accaduti in quanto degni di nota, nonché di essere rimaneggiati.
Se la storia è maestra di vita, come afferma Cicerone nel De Oratore, è anche vero che il poeta, in qualità di specialista della parola, ha la licenza di operare alcune migliorie sul piano formale e retorico al fine di risultare più efficace, senza tuttavia cambiare il significato universale del fatto in sé:
Poco dilettevole è veramente quel poema, che non ha seco quelle maraviglie, che tanto muovono non solo l’animo de gl’ignoranti, ma de’ giudiziosi ancora […] deve il giudizioso scrittore condire il suo poema; perché con esse invita ed alletta il gusto de gli uomini vulgari, non solo senza fastidio, ma con sodisfazione ancora de’ piú intendenti.
In poche parole, la materia del poema epico e eroico deve necessariamente essere storica (avere un riscontro nei fatti passati) e verosimile (materia tratta dal passato ma soggetta a licenze di natura poetica in virtù dell’inventio del poeta). La verosimiglianza del poema non può rinunciare alla bella forma e al gentile ornamento che invita alla lettura, alla variatio delle situazioni e personaggi che inducono i lettori stessi alla catarsi estetica (per dirla alla Croce).
La complessa personalità di Torquato Tasso si manifesta già alla fine del felice periodo ferrarese: non solo aggredì con un coltello un servo della corte estense da cui si sentiva spiato, ma dopo un periodo di confinamento presso il convento di San Francesco di Ferrara, peregrinò per la penisola, per poi ritornare nella città estense dove, in occasione del matrimonio fra il duca Alfonso d’Este e Margherita Gonzaga, venne arrestato e incarcerato nell’ospedale di Sant’Anna a causa di un eccesso d’ira.
Tale personalità di difficile inquadramento, tale squilibrio incline ad una follia scalpitante viene magistralmente riassunto da una ottava della Gerusalemme Liberata:
Or mentre in guisa tal fera tenzone
è tra ’l Fedele esercito e ’l Pagano,
salse in cima alla torre ad un balcone
e mirò, benché lunge, il fier Soldano,
mirò, quasi in teatro, od in agone,
l’aspra tragedia dello stato umano:
i vari assalti e ’l fero orror di morte,
e i gran giochi del caso e della sorte.
Nell’ottava 73 del ventesimo canto del poema tassiano Solimano, il valoroso sultano di Nicea che muore per mano di Rinaldo, dall’alto di una torre di Gerusalemme ammira l’atroce scontro fra i cristiani e gli infedeli: l’amarissima constatazione de “l’aspra tragedia dello stato umano” ben esemplifica la fragilità di un destino individuale appeso ad un filo sottilissimo: vista dall’alto, tutta l’umanità, sia cristiani che pagani, sembra insensatamente violenta, destinata ad una fine tragica.
Ma Tasso stesso visse una vita all’insegna della tragedia: dopo la scarcerazione, cominciò un ennesimo periodo di peregrinazioni nervose per tutta Italia, assillato dalla revisione del suo poema e dalla ricerca dell’unità di azione, dello stile magnifico e adatto ad un poema eroico. Abbattuto dalla pubblicazione del suo poema senza la sua autorizzazione durante la sua incarcerazione, durata ben sette anni, Tasso, nonostante la grande notorietà acquisita grazie alla Gerusalemme Liberata, si sentiva incompreso sia dagli umanisti che dai signori italiani.
Il riferimento alla tragedia nell’ottava 73 sottende un chiaro bisogno di essere ascoltato: è un verso riassuntivo che rimarca la necessità di pubblico da parte di Tasso e l’intento di mostrare e cantare la tragicità della condizione umana; quella stessa tragicità che ha caratterizzato la sua biografia, all’insegna di un profondo tumulto spirituale e interiore.
La ricerca dello stile magnifico, adatto al poema eroico, è ricerca dell’arte, della perfezione del ritmo poetico e del tessuto sonoro: con buona pace della fanbase ariostesca, Tasso non solo ha raggiunto altissimi livelli di compenetrazione fra suono e ritmo, fra poesia e immagine, ma l’arte poetica stessa diventa al contempo espressione e argine, medicina della follia tragica che caratterizza la sua esistenza. Si veda ad esempio l’ottava 19 del canto settimo:
Sovente, allor che su gli estivi ardori
giacean le pecorelle all’ombra assise,
nella scorza de’ faggi e degli allori
segnò l’amato nome in mille guise,
e de’ suoi strani ed infelici amori
gli aspri successi in mille piante incise,
e in rileggendo poi le proprie note
rigò di belle lagrime le gote.
La celebre vicenda di Erminia, principessa di Antiochia e prigioniera in un primo momento del valoroso Tancredi, la quale ricerca lievità presso i pastori dalle sue pene amorose, ha ampiamente colpito l’immaginario dei lettori e artisti: l’amato nome di Tancredi che viene inciso sulle cortecce è un iniquo compenso per un amore che non troverà mai soddisfazione, un modo per perpetuare il ricordo del valoroso cavaliere cristiano. Il culmine patetico raggiunto in questa ottava è il perno della messa in scena della tragedia umana di Erminia, inseguita dall’amato non per amore, e archetipo ideale della tragedia di una passione non ricambiata.
Torquato Tasso muore poco prima di essere incoronato poeta, nell’aprile del 1595, e viene sepolto presso il convento di Sant’Onofrio sul Gianicolo, a Roma. Per molto tempo la sua tomba giacque senza una lapide che la rendesse riconoscibile: grazie alle lagnanze di alcuni letterati, fra i quali Giovan Battista Marino, solo in seguito si procedette alla costruzione di un monumento funebre al celebre cantore della Liberata, strenuo testimone del tramonto di un’epoca.
Giuseppe Sorace
Sono Giuseppe, insegno italiano, e amo la poesia e la scrittura. Ma la scrittura, soprattutto, come indagine di sé e di ciò che mi circonda.