Salinger e il malessere dell’individuo contemporaneo
J. D. Salinger (Jerome David Salinger), autore del celebre romanzo Il giovane Holden (The Catcher in the rye), è uno dei massimi esponenti della letteratura americana contemporanea. I suoi personaggi sono dei disadattati che faticano ad acclimatarsi alla società e alle norme soffocanti del ceto borghese medio-alto.
Salinger nasce a New York nel 1919. Figlio di un commerciante statunitense e di una casalinga di origini europee, dopo le scuole pubbliche decise di iscriversi alla New York University, senza tuttavia terminare gli studi.
Nel 1942 viene sorteggiato per servire sotto le armi durante il Secondo conflitto mondiale: Salinger ben presto conosce l’orrore dello sterminio nazista entrando in uno dei campi di concentramento che facevano capo a quello di Dachau. Tale esperienza e il trauma che ne consegue non lo abbandoneranno per tutta la durata della sua vita, e anzi, anni dopo la fine del conflitto, in una lettera alla figlia, dichiarerà che è impossibile dimenticare l’odore dei corpi bruciati.
L’esperienza sotto le armi non solo lo segna emotivamente (decretando un periodo di cura per stress post-traumatico), ma rappresenta una fonte alla quale attingere per la sua produzione letteraria. Un esempio è fornito da uno dei primi racconti pubblicati da Salinger sul The New Yorker nel 1948, Bananafish o Un giorno ideale per i pescibanana, al termine del quale sovviene il suicidio di un reduce di guerra che mai si ristabilì completamente dallo stress post-bellico.
Schivo di natura, amante del raccoglimento e sfuggente al consorzio umano, Salinger è spesso descritto, forse in modo esagerato, come un misantropo. Lungi dal voler applicare un paradigma ingenuo di analisi testuale, e quindi consci che un’opera letteraria non rifletta fedelmente e di proposito l’esperienza di vita del proprio autore, i personaggi di Salinger, a ben vedere, sono dei disadattati che faticano ad acclimatarsi alla società, alle convenzioni e alle norme soffocanti del ceto borghese medio-alto.
Soffocante nonché omologante, il mondo borghese è fortemente criticato nel celebre romanzo del 1951 e che ha portato alla ribalta Salinger, facendone uno degli autori americani contemporanei più iconici: The Catcher in the rye, tradotto in Italia col titolo de Il giovane Holden.
Holden Caulfield, sedicenne statunitense di famiglia benestante, viene espulso per l’ennesima volta da una scuola facoltosa per non aver sostenuto abbastanza esami. A ridosso delle vacanze natalizie, Holden non ha il coraggio di dare l’ennesima delusione ai suoi genitori: decide di ritardare la notifica della notizia e, abbandonato con sdegno l’istituto, si dirige a New York, la sua città natale, e, anziché ritornare a casa, opta per un hotel.
I tre giorni passati fuori casa sono vorticosi: tra alcool e tentativi di approccio di prostitute, Holden annaspa nel mondo degli adulti che si appresta a varcare, ma che rifiuta intellettualmente: non ama le convenzioni, l’ostentazione, gli amici che cambiano col tempo e che non restano fedeli a sé stessi.
Un giorno Holden dà appuntamento a Sally Hayes, una vecchia compagna di scuola. A fine del loro incontro, Holden propone alla giovane di lasciare la metropoli e partire all’avventura insieme:
– Senti, – le ho detto. – Ho un’idea. Che ne diresti di andarcene via? (…) Dormiamo in quei campeggi di casette di legno o roba del genere finché non ci finiscono i soldi. Poi, quando ci finiscono i soldi, io mi cerco un lavoro da qualche parte e andiamo a vivere in un posto con un ruscello e via dicendo, e poi più avanti ci possiamo sposare o non so cosa. (…) Che dici? Dài! Che te ne pare? Ci vieni con me? Ti prego!
La risposta della giovane svela un’intimità smorfiosa e affettata, lontana dagli ideali del giovane Holden:
– (…) E poi ci hai pensato a cosa faresti se quando ti finiscono i soldi il lavoro non lo trovi? Moriremo di fame. È una cosa talmente campata per aria che non puoi nemmeno…
La delusione di Holden prorompe con una battuta icastica che indispettisce la giovane, fino alle lacrime.
Dài, andiamocene da qui (…) Sei una vera rottura di palle.
Nei capitoli finali del romanzo si situa l’episodio che scioglie la vicenda e fornisce a Holden, in fase di formazione, una direzione da seguire che si addentra nei meandri della pedagogia umanistica: Holden trova ospitalità presso l’appartamento del suo vecchio professore di inglese, il professor Antolini. Prima di andare a dormire, Antolini snoda con abilità retorica un discorso che colpisce Holden, il quale forse prende coscienza del proprio disagio:
(…) scoprirai di non essere stato il primo a sentirsi confuso, e spaventato, e perfino disgustato dai comportamenti umani. Non sei affatto solo, in tutto questo, e scoprirlo sarà emozionante e stimolante. Tanti, tanti altri uomini hanno provato lo stesso turbamento morale e spirituale che provi tu ora. Fortunatamente, alcuni di loro hanno messo quei turbamenti per iscritto. Tu imparerai da loro…
Esiste quindi una comunità di intellettuali che ha messo per iscritto il disagio di essere nel mondo, che ha a disgusto la banalità dell’omologazione e dell’affettazione. Nonostante ciò, un individuo non è avulso dalla realtà, non può ritirarsi a isolamento volontario: esso deve imparare a vivere dalle auctoritas che hanno provato lo stesso malessere.
Giuseppe Sorace
Sono Giuseppe, insegno italiano, e amo la poesia e la scrittura. Ma la scrittura, soprattutto, come indagine di sé e di ciò che mi circonda.