Breve storia del diritto di voto femminile in Europa
La storia dell’emancipazione femminile per un secolo ha riguardato la lotta per il diritto di voto che solo nel 1948 viene riconosciuto come diritto fondamentale dell’umanità dall’ONU
Nel 1840, a Londra, si tenne la World Anti-Slavery Convention, una convenzione che si inserì nella scia dei movimenti abolizionistici che attraversavano, in particolare, gli Stati Uniti d’America. Se questa convenzione segna un punto importante per i diritti umani, allo stesso tempo rappresenta un punto importante per il dibattito sull’emancipazione femminile. Infatti, alla World Anti-Slavery Convention non solo le donne vennero osteggiate, ma soprattutto non ebbero diritto alcun diritto di parola.
Dalle ceneri di questa esperienza Elizabeth Cady Stanton e Lucretia Mott – che avevano preso entrambe parte alla convenzione del 1840 – organizzarono nella cittadina di Seneca Falls, nello stato di Ney York, la prima convenzione espressamente dedicata ai diritti delle donne. Al centro di questa prima convenzione è il diritto di voto alle donne, tema che sarà il principale motivo di battaglia per le donne nei decenni successivi. Proprio questa convenzione segna il punto di avvio del movimento delle suffragette che avrà una sempre maggior diffusione e importanza per l’affermazione dei diritti delle donne.
Così, fino alla seconda metà del XX secolo, le rivendicazioni femminili si concentrarono, in particolare, sul diritto di voto. Infatti, fino alla fine dell’800 nessuno stato nel mondo riconosceva questo diritto alle donne. A questo proposito, il primo paese nel mondo è la Nuova Zelanda nel 1893, periodo in cui gli Stati Europei, non solo erano ben lontani dal riconoscimento del suffragio femminile, ma non avevano, in larga parte, riconosciuto quello maschile – addirittura in Italia il suffragio universale maschile è del 1912, mentre in Inghilterra venne allargato definitivamente nel 1918. Figurarsi per il diritto di voto femminile. Se il 1848 è l’anno in cui prende avvio il movimento femminista delle suffragette, solo un secolo più tardi, con il referendum costituzionale del 2 giugno 1946, le donne voteranno per la prima volta.
A dire il vero, però, al di là del caso italiano, le suffragiste, fino alla Prima Guerra Mondiale, non otterranno grandi successi. Il diritto di voto era stato approvato solo in alcuni stati – tra cui, oltre alla Nuova Zelanda, l’Australia (1902) e la Finlandia (1906). Questo ritardo è davvero sorprendente se si considerano i grandi fenomeni economici e sociali che rivoluzionarono l’Occidente e l’Europa a partire dalla rivoluzione industriale. Infatti, l’ingresso nel mondo del lavoro delle donne con la diffusione delle industrie diede un ruolo di maggior rilievo alle donne, ma senza che questo si tramutasse in un riconoscimento politico – anzi, ebbe un risvolto di sfruttamento e schiavitù lavorativa ben documentati.
Anche gli Stati Uniti ebbero un percorso simile all’Europa. Eredità dell’età progressista – quel periodo che si ascrive al 1890-1920 – è sicuramente un generale miglioramento delle condizioni di vita e lavorative delle classe medie e degli operai, ma anche – e soprattutto – un profondo avanzamento per quanto riguarda il discorso dell’emancipazione femminile e il diritto di voto alle donne – alcuni stati dell’Ovest come la California e l’Arizona lo introdussero già prima della guerra il diritto di voto alle donne. Ma questo diritto verrà generalizzato solo nel 1920 con il XIX emendamento. Così, se il movimento delle suffragette conosce alcuni successi già nell’800, essi sono comunque molto limitati rispetto alla portata delle rivendicazioni.
Così, guardando alcune date, si può dire che l’affermazione della società di massa nel primo ‘900 e, soprattutto, la Grande Guerra siano stati determinanti per una prima grande diffusione del diritto di voto alle donne. Per esempio, la già citata Inghilterra nel 1918 – che riconobbe il voto, però, solo alle donne sopra i trent’anni –, come anche il Canada, la Germania e l’Austria, sempre nel 1918. Un anno prima era arrivata la Russia che accordò il diritto di voto nel 1917 con la Rivoluzione, diritto poi ratificato dall’Assemblea costituente nel 1918.
Ma per quale motivo i fermenti dei primi vent’anni del ‘900 furono così importanti? Si può dire che allo sviluppo dell’opinione pubblica si accompagna la gestazione di una moderna opinione pubblica che mise sempre più in difficoltà il modello liberale che era ancora basato sul censo – come in Inghilterra e in Italia. Con l’accesso delle masse popolari la società esige un cambiamento di rappresentanza. Le ristrette basi di consenso dello stato liberale non sono più rappresentative né potrebbero esserlo in alcun modo. E Giolitti, infatti, comprende bene questo punto e cerca, fino alla fine, di allargare le basi del potere del sistema liberale italiano. Così anche le donne iniziano ad avere un ruolo più rilevante e una maggior coscienza di sé su questo piano. In Italia, per esempio, si tenne, nel 1908, Congresso Nazionale delle Donne Italiane, organizzato dal Consiglio nazionale delle donne, nato nel 1901.
Ma un vero e proprio momento di svolta per l’emancipazione femminile – che riguardano ambiti diversi, ma le richieste erano soprattutto inerenti al diritto di voto – si ha con la Prima guerra mondiale. Con l’intensificarsi dell’attività industriale e per tamponare la carenza di manodopera maschile nelle fabbriche – dato che milioni di lavoratori erano impegnati al fronte – le donne vennero inserite in massa nelle attività produttive. Così il loro ruolo cambiò. Non erano più inferiori se erano riuscite a svolgere ruoli e mansioni maschili. E così apparvero agli occhi della società del tempo. Così, il diritto di voto in alcuni paesi fu avvertito come giusta “ricompensa” per l’impegno prestato dalle donne. Le donne c’erano state per lo stato e rivendicavano un maggior riconoscimento politico.
Le italiane voteranno solo nel 2 giugno 1946. Appare sorprendente rileggere oggi queste parole: “Io penso che la concessione del voto alle donne in un primo tempo nelle elezioni amministrative in un secondo tempo nelle elezioni politiche non avrà conseguenze catastrofiche come opinano alcuni misoneisti”. A pronunciarle è Benito Mussolini, il 9 maggio 1923, all’apertura del IX congresso dell’Associazione internazionale del Suffragio femminile. Le parole di Mussolini saranno riprese da una legge nel 1925 che concede alle italiane con la terza media la possibilità di eleggere gli amministratori locali. Ma le donne chiaramente non voteranno mai. Anzi, tre mesi dopo anche il voto maschile perderà qualsiasi valore con la legge “fascistissima” che sostituiva i sindaci con potestà nominati dal Duce.
E il percorso sarà ancora molto lungo. Solo con la fine della Seconda guerra mondiale il suffragio femminile sarà generalizzato. A metà degli anni settanta solo pochi paesi non l’avevano ancora riconosciuto – tra cui Svizzera, Yemen, Giordania e Sudafrica. A suggellare l’universalità del diritto di voto femminile è la Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dall’ONU nel 1948.
di Simone Mazza