Tolkien: il ciclo arturiano ne Il Signore degli Anelli
Il 29 luglio 1954 John Ronald Reuel Tolkien pubblica la trilogia de Il Signore degli Anelli, l’illustre capostipite del moderno romanzo fantasy, nella quale è ravvisabile un richiamo alla letteratura del ciclo arturiano.
Un genere sottovalutato
La trasposizione cinematografica della trilogia Il Signore degli Anelli di Tolkien nei primissimi anni Duemila, ad opera di Peter Jackson, ha permesso al grande pubblico di appassionarsi ad una pietra miliare della cultura fantasy del secondo Novecento. A distanza di quasi vent’anni dall’uscita nelle sale dell’ultimo capitolo della trilogia (Il ritorno del re), le lande dell’Ithilien che fanno da sfondo all’epica battaglia dei Campi del Pelennor, proprio di fronte a Minas Tirith, hanno impresso un segno indelebile nell’immaginario degli spettatori e, soprattutto, dei lettori.
Al di là della libera ispirazione cinematografica, indubbiamente di pregio nonostante l’elisione di alcuni episodi o personaggi (ad esempio, Tom Bombadil compare nel primo romanzo La compagnia dell’Anello, ma non nel primo film della trilogia di Jackson), la trilogia letteraria di Tolkien ha anticipato e inaugurato la fiorente stagione del romanzo fantasy. Un merito indiscusso del romanziere e umanista inglese, il quale è riuscito nell’intento di sgretolare la forte ipoteca intellettuale che gravava (e a tratti grava ancora oggi) su un genere avvertito come infantile, relegabile ai piani più bassi dell’universo romanzesco.
Eppure, Il Signore degli Anelli non è solo una formidabile trilogia fantasy che soddisfa la fame di fantasia utilizzando sapientemente materiale mitologico e folkloristico della tradizione nord europea; ma accoglie le istanze dei nostalgici i quali, all’indomani della Seconda guerra mondiale, millantano un passato edificante e puro, scevro del dolore e della miseria, rappresentato nel romanzo dalla verde Contea abitata dagli Hobbit, in contrapposizione al progresso industriale che ha causato spesso sofferenza, incarnato invece dalla nera terra di Mordor.
La complessità dell’opera di Tolkien non si esaurisce tuttavia nel suo sensu moralis e nella velata critica della contemporaneità.
Gli interessi del giovane Tolkien
Tolkien infatti, fin dall’adolescenza, dimostrò un fervido interesse per le lingue classiche, nonché il goto, il finnico e l’islandese; interesse che perfezionò presso l’Exeter College di Oxford, dove ottenne il Bachelor of Arts.
Durante la sua carriera studentesca prima e di docente poi si interessò al popolare ciclo arturiano o bretone, il quale si diffuse ampiamente nell’Europa del XII secolo. Come noto, il ciclo arturiano o bretone definisce un filone letterario di storie e leggende, prevalentemente di ambiente celtico, ben più antiche del XII secolo. Personaggi del calibro di re Artù, del mago Merlino o della fata Morgana popolano ancora oggi l’immaginario comune, e trovano il proprio nucleo originario nella Historia regum Britanniae di Goffredo di Monmouth, cronaca favolosa dei re di Britannia composta in latino a partire dal 1135.
A tal proposito, Tolkien è autore di un poema incompiuto, La Caduta di Artù, in cui tratta direttamente la materia bretone; tuttavia proprio la tradizione arturiana traluce nella trilogia de Il Signore degli Anelli in virtù di alcuni parallelismi tra i personaggi del ciclo e quelli tolkieniani.
I parallelismi col ciclo arturiano
Il parallelismo che forse appare più scontato è quello fra il mago Merlino e Gandalf.
Nella tradizione bretone Merlino è un personaggio ambiguo: secondo alcuni è infatti il figlio del demonio, ma grazie alla guida della madre e di un sacerdote le sue inclinazioni malvagie vengono smussate. Merlino, come è noto, è l’aiutante magico sia di Artù che di suo padre, Uther Pendragon.
Anche Gandalf ha alcuni tratti ambigui: nonostante la bontà delle sue azioni sia innegabile, lo stregone è fortemente tentato dall’anello, conoscendo già le nefaste conseguenze di una presa di controllo da parte del manufatto.
Entrambi gli stregoni sembrano avere inoltre un rapporto complicato con le torri. Merlino, tentando di sedurre la sua allieva Viviana, viene rinchiuso in una torre che la stessa Viviana crea, intrappolato in una dimensione ulteriore, sospeso fra spazio e tempo; così come Gandalf, il quale viene imprigionato da Saruman sulla cima della torre di Isengard.
Un altro chiaro parallelismo è rappresentato dalla coppia re Artù e Aragorn, re di Gondor: non solo entrambi sono connotati dalle qualità regali del coraggio e dell’audacia, nonché aiutati, come già accennato, da due maghi; ma brandiscono armi eccezionali quali Excalibur e Narsil. Entrambe le spade conoscono vicende alterne che possono essere equiparate: ad esempio, Excalibur si spezza dopo un duello, così come accade a Narsil dopo aver staccato l’unico anello a Sauron.
E proprio l’unico anello segna un’ennesima consonanza con un oggetto mitico del ciclo arturiano: il Graal. A ben vedere, le narrazioni ruotano intorno a questi mitici artefatti, oggetti di una quête estenuante, e che conferiscono qualità soprannaturali, quali la vita eterna.
I parallelismi, ad una attenta analisi, si infittiscono e confermano l’assoluto valore e pregio di un’opera straordinaria: ad esempio la coppia Dama del lago – Galadriel, entrambe legate agli elementi naturali e aventi il dono della profezia, nonché quella Frodo – Artù giovane, entrambi capaci di riunire attorno a sé una compagnia di nobili uomini, la Compagnia dell’anello da un lato e i cavalieri della celeberrima Tavola Rotonda dall’altro.
Giuseppe Sorace
Sono Giuseppe, insegno italiano, e amo la poesia e la scrittura. Ma la scrittura, soprattutto, come indagine di sé e di ciò che mi circonda.