Lo Schiaccianoci: un valzer tra neve e confetti

Lo Schiaccianoci: un valzer tra neve e confetti

Lo Schiaccianoci: un valzer tra neve e confetti

La notte di Natale nulla è ciò che sembra. Una dolce ragazzina può diventare una regina, uno schiaccianoci con le sembianze di un soldatino può tramutarsi in principe.

Un pizzicato delicato. Come un carillon che suona una melodia dolce, riporta alla mente i fiocchi di neve cadenzati, spensierati, i quali si depositandosi sul morbido guanciale di una coltre di neve placida.

Queste sono le immagini che suscita la Danza della fata Confetto, nel capolavoro di Pëtr Il’ič Čajkovskij, Lo Schiaccianoci.

La meravigliosa opera lirica ha origine dal racconto di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, ma la trama venne rivisitata, in quanto considerata troppo cruenta.

Così si decise di affidarsi alla revisione effettuata da Alexandre Dumas, conferendo così alla vicenda un alone di delicatezza con un carezzevole rimando alle atmosfere dei teneri sapori dell’infanzia.

Il sipario si apre e la prima scena che si offre agli spettatori è ambientata durante la Vigilia di Natale, agli inizi del XIX secolo, presso la casa del Signor Stahlbaum.

Per la lieta occasione l’uomo organizza una festa per i suoi piccoli figli, Clara e Fritz, cui partecipano amici e parenti. Tra di essi vi è lo zio dei ragazzi, che li intrattiene con dei buffi giochi di prestigio, nell’attesa dell’apertura dei regali.

Così a Clara viene regalato dallo zio uno schiaccianoci a forma di soldatino. La gioia della bambina è immensa! Ma il fratellino, per dispetto, lo rompe. Per fortuna lo zio ripara prontamente il giocattolo, per rendere di nuovo felice l’adorata nipotina.

Una volta terminate le danze, la piccola Clara si addormenta e inizia a sognare. Allo scoccare della mezzanotte ogni oggetto della sua stanza inizia ad aumentare di dimensione, diventando gigantesco.

A un tratto dei topi minacciosi tentano di trafugare il prezioso schiaccianoci!

Quando Clara sta per avere la peggio, nel tentativo di salvare lo Schiaccianoci, questi prende vita e inizia a combattere contro i nemici, con l’aiuto dei soldatini ricevuti da Fritz.

Lo schiaccianoci e il Re Topo sono soli e quest’ultimo sta per vincere il duello, quando la bambina lo distrae, lanciando la sua scarpetta, così da permettere allo Schiaccianoci di colpirlo a morte.

Il vincitore si trasforma in principe e conduce Clara nel Regno dei Dolci, la cui prima immagine è una meravigliosa foresta innevata.

Così i due protagonisti giungono al cospetto della Fata Confetto presso il Palazzo Reale. Le narrano le avventure vissute durante quella magica notte. Terminato il racconto il Palazzo si anima di danze meravigliose, che culminano nel celebre Valzer dei Fiori.

Infine si innalza il delicato Pas de Deux tra la Fata Confetto e il Principe, a seguito del quale si ha un ultimo incantevole Valzer.

La piccola Clara si desta da quel magico sogno e ripercorre gioiosa il ricordo del mondo incantato, abbracciando il suo Schiaccianoci.

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.

Eduardo de Filippo: dal palco all’immortalità.

Eduardo de Filippo: dal palco all’immortalità.

Eduardo de Filippo: dal palco all’immortalità

La dedizione di una vita votata all’arte drammatica

Nulla si ottiene senza fatica e sacrificio! Quanto costa fatica arrivare alla meta! Ma quando il sacro fuoco che giace silente nel profondo dell’anima si accende, allora nasce un incendio di passione. L’incendio che conduce alle stelle.

Eduardo De Filippo conosceva bene questa magica ricetta. I meriti artistici del grande arista furono premiati ampiamente: dalla nomina a senatore a vita nel 1981, alle due lauree honoris causa in Lettere sia presso Birmingham, sia presso “La Sapienza” di Roma.

Eduardo nacque a Napoli, nel quartiere Chiaia, il 24 maggio 1900 e si può affermare che fin dalla propria nascita il teatro gli scorresse nelle vene. L’artista era il figlio, infatti, del famoso attore Eduardo Scarpetta e della sarta teatrale Luisa De Filippo.

Sin da bambino calcò il palcoscenico in occasione della rappresentazione dell’opera La Geisha, presso il Teatro Valle di Roma.

Crebbe a stretto contatto con l’ambiente teatrale Napoletano, affiancando i fratelli Titina e Peppino. La prima aveva un ruolo stabile nella compagnia del fratellastro, Vincenzo Scarpetta, mentre il secondo appariva saltuariamente con Eduardo sul palcoscenico per piccoli ruoli, data la loro giovane età.

Al termine della Grande Guerra l’artista prestò servizio di leva nel corpo dei Bersaglieri e organizzò delle piccole recite per i commilitoni su incarico dei superiori.

Eduardo capì così quanto la propria passione per la direzione di scena, oltre che per la recitazione, fosse radicata.

Nel 1920 scrisse la sua prima commedia, intitolata Farmacia di turno: un atto unico, poi rappresentato nel 1921 dalla compagnia di Scarpetta.

Eduardo fondò in seguito una cooperativa di artisti, che prese il nome di compagnia Galdieri- De Filippo. Il debutto Napoletano fu un successo con La rivista…che non piacerà.

Gli anni Trenta iniziano in modo sicuramente positivo per i tre fratelli De Filippo: infatti, nel 1931, Eduardo fonda la compagnia del Teatro Umoristico.

Lo stesso anno Eduardo recita in Ogni anno punto e a capo, con lo pseudonimo Tricot, in occasione della festa di Piedigrotta. Durante tale rappresentazione il talento dei tre fratelli si scatenò in un climax ascendente di risate e delirio, sulla falsariga della Commedia dell’Arte.

Tra le opere più note e ragguardevoli di Eduardo si annovera Natale in casa Cupiello. La prima rappresentazione avvenne il giorno di natale del 1931 presso il Teatro Kursaal di Napoli. Il successo della commedia fu così immenso che si dovette prolungare la messa in scena fino al maggio dell’anno successivo!

L’artista fu inoltre sempre molto attivo politicamente, tanto che fu nominato senatore a vita e portò avanti la battaglia per i diritti dei minori rinchiusi nei penitenziari. Inoltre nel 1963 fu insignito del Premio Feltrinelli a seguito della rappresentazione Il sindaco del rione Sanità.

Infine nel marzo 1974 la sua salute iniziò a vacillare: venne colto da un malore durante una rappresentazione. Dopo di che gli fu applicato un pacemaker, che fortunatamente gli permise di ritornare alla ribalta alla fine dello stesso mese.

Si spense il 31 ottobre 1984 all’età di 84 anni, a causa di un blocco renale. Le sue spoglie riposano presso il Cimitero del Verano a Roma.

Quel giorno l’Italia e il mondo intero persero un grande attore, ma guadagnarono un astro immortale.

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.

In Viaggio: le donne che guidano Odisseo

In Viaggio: le donne che guidano Odisseo

In Viaggio: le donne che guidano Odisseo

Le donne del mito che tessono il filo del viaggio più celebre di tutti i tempi

Il viaggio di un uomo, dell’umanità, del mito: di Odisseo.

A causa di una donna tutto ebbe inizio, grazie a una donna tutto potrebbe avere fine.
Potrebbe.

Questa la trama del viaggio più famoso della storia della letteratura è
narrata da un canto ancestrale. Nello spettacolo L’altra metà del mare: le donne dell’Odissea, la voce narrante è Marta Ossoli, attrice diplomata presso l’Accademia dei Filodrammatici.

Le sue parole, calde e profonde, vengono accompagnate dal violoncello di Francesca Ruffilli e dal violino di Silvia Mangiarotti, riprendendo le antiche melodie rievocate da Irene Papas in “Odes”, di Vangelis.

Nasce così un mantra che celebra il panismo della dimensione femminile. Cresce una narrazione
che culla e scuote allo stesso tempo lo spettatore, catapultandolo in una dimensione panica, femminea, potente.
Si riprendono le parole di Valerio Massimo Manfredi, autore di Il mio nome è Nessuno.

Marta fa il proprio ingresso, camminando fiera.
Gli archi ritmano il suo passo e i suoi respiri.

L’attrice incarna magnificamente ognuna delle donne
da cui Odisseo ha attinto forza, cibo, vita.

Nel ritmato susseguirsi di archetipi junghiani
la prima a venire alla luce dalle quinte è Elena, dalle candide braccia,
ammantata di rosso sangue, sensuale, con il capo cinto da una corona dorata.

Allora lei racconta con voce rotta dal pianto, ma trattenuta dalla sua regalità
di regina. La donna per cui il mondo intero si era mosso sotto i colpi
degli odi tra uomini non ha ottenuto l’unico essere che la facesse tremare: Odisseo.

Il rifiuto dell’eroe, al momento della scelta del marito, le trapassò il cuore,
facendolo sanguinare, per sempre.

Una notte, mentre Troia bruciava,
Elena condusse l’eroe dalla mente veloce all’intero del palazzo.
Lo lavò, lo profumò come fosse suo marito e…

Con le sue parole lo guidò da Circe. Marta entra di nuovo in scena,
ora gli archi pronunciano un suono lento, come lo strisciare di un grande serpente.

Ecco Circe sovrana, con la veste nera, catalizza lo sguardo del pubblico con un ancestrale canto profondo. Lei, archetipo di guerriera e maga,
vendica donne mute straziate da uomini bruti,
tramutandoli in maiali.

Odisseo, unico individuo che lei non poté penetrare con la magia,
la considerò propria pari, vivendo con lei per lungo tempo.

E così, come un bambino che cerca rassicurazione presso la gonna della madre,
le chiese che cosa sarebbe stato di lui e dei propri compagni, non più porci.

La maga condusse il filo del viaggio verso il mondo dove mai nessuno
si è recato. Tiresia sarà il passo da compiere tra il destino e il fato.

E Odisseo dall’agile mente salpa di nuovo. Così il mare lo conduce
da colei che, candida come il suo abito, nasconde l’eroe dallo scorrere
del tempo: Calipso.

Ma il mare lo richiama a sé,
strappandolo a un paradiso non suo e alla promessa di immortalità.

E le onde cullano l’itacese verso la felice isola dei Feaci.
Lì, lacero, nudo e sanguinante viene ritrovato riverso sulla spiaggia da…
una creatura. Poco più che bambina, non ancora giovane donna: Nausicaa.
In quell’età in cui le corse da bambina vengono alternate ai primi timidi tiepidi palpiti d’amore.

Così la bambina lo salva, lo conduce alla casa del padre: il giusto sovrano Alcinoo.
Lì l’eroe naufrago narra la propria storia e la bambina, incantevole nel suo abito
color del mare, custodisce il primo barlume di una luce che conoscerà, tempo dopo: l’Amore.

Poi: Itaca. La capanna del porcaro Eumeo. L’incontro con il figlio Telemaco, lasciato all’età
di soli tre mesi, ora giovane uomo con la prima barba.

La casa, i proci: sgozzati, trafitti come un’ecatombe di giovani tori boriosi.
Infine la prova più temuta: Penelope.

Fulgida, fiera, nel suo peplo nero ornato d’oro avanza, siede sul trono dal quale ha amministrato con senno l’isola. Lei è lui e lui è lei.
L’ultimo inganno: un letto che non si può spostare. L’abbraccio atteso da 20 anni.

E poi, di nuovo, il mare.
Lei, Penelope, donna dalla mente veloce viaggia, con la mente.
E crede, spera, vive.

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.

Un magico pomeriggio di fine giugno: La Scala di Milano rinasce con Le nozze di un Figaro d’eccezione

Un magico pomeriggio di fine giugno: La Scala di Milano rinasce con Le nozze di un Figaro d’eccezione

Un magico pomeriggio di fine giugno: la Scala di Milano rinasce con Le nozze di un Figaro d’eccezione

Il Teatro alla Scala vede alla ribalta un nuovo Figaro: Luca Micheletti, in una magica atmosfera strehleriana 

È un afoso pomeriggio di fine giugno e un nutrito gruppo di ragazze e ragazzi si accalca alle porte di uno scrigno gigantesco: la Scala di Milano. Come piccoli fiumi, a passo lento, confluiscono nell’oceano placido del teatro che, gioioso, promette loro un’esperienza unica.

E come potrebbe non esserlo al cospetto de Le nozze di Figaro, in compagnia di Mozart, di un cast d’eccezione e con l’allestimento del maestro Giorgio Strehler, ripreso da Marina Bianchi?

Se esistesse la macchina del tempo Mozart potrebbe assistere per un soffio alla prova generale, aperta agli under 30. Ecco il compositore di Salisburgo, con la sua parrucca scarmigliata, che crea rapidissimo un capolavoro a soli ventinove anni. In silenzio e di soppiatto naturalmente: l’imperatore Giuseppe II teme che l’opera crei tensioni tra classi sociali, visto il proprio contenuto.

Wolfgang lo convince invece del contrario: è un’opera che parla d’amore, di dignità e di scaltrezza. I protagonisti non sono maschere o personaggi del mito, ma uomini e donne energici, passionali.

L’opera celebra il complesso caleidoscopio dell’essere umano ed è proprio in questo che consiste la grandezza de Le Nozze di Figaro, in scena dal 26 giugno al 1° luglio 2021 alla Scala di Milano.

 

Le luci si abbassano, il direttore Daniel Harding agita la bacchetta e la magia ha inizio. L’Overture è gloriosa e frizzante, pare di vedere uscire le note che saltano qua e là dalla mente di Mozart.

E poi? Una stanza spoglia, in cui regna sovrano un caravaggesco raggio di luce, frutto della maestria di Ezio Frigerio e del genio di Giorgio Strehler. Realismo ed essenzialità degli arredi caratterizzano le scene, cosicché il vibrante potere dell’opera corale possa ergersi in tutto il suo fulgore.

Le nozze di Figaro stehleriane mostrano un’epoca che volge al termine, come la luce calda di un tardo pomeriggio sonnolento, un’istante prima della Rivoluzione. Non vi sono però buoni o cattivi: magistralmente interpretato da Simon Keenlyside, il Conte d’Almaviva comprende i propri errori e chiede infine perdono alla trascurata moglie Rosina, Julia Kleiter.

Il segreto dell’opera è presto svelato: l’amore è il fil rouge che unisce le vicende dei personaggi, in cui il giovane ed estasiato pubblico si può identificare. Cherubino, Svetlina Stoyanova e la magnifica Susanna, alias Rosa Feola, incarnano due età dell’amore: l’uno ingenuo e impetuoso, l’altra l’amore come roccia solida sulla quale costruire un futuro.

Figaro qua, Figaro là, ma chi è quel Figaro trionfante sulla scena?
Si tratta di Luca Micheletti, classe 1985, nel cui DNA si hanno teatro, musica, talento e passione come basi azotate. È infatti degno erede di una dinastia che affonda le sue radici nel teatro girovago dei Carri di Tespi di metà Ottocento.

Il suo cursus honorum comprende una laurea con lode in Scienze del Teatro e un Dottorato di ricerca all’Università “La Sapienza” di Roma circa il teatro proibito rinascimentale. Tutto ciò senza mai interrompere le attività recitative. Un vero portento!

Il percorso dell’artista è costellato di successi tra cui il Premio Ubu per la sua interpretazione in La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht. Quattro anni dopo gli è assegnato il Premio Internazionale Luigi Pirandello per meriti acquisiti in campo teatrale. È inoltre regista stabile della Compagnia Teatrale i Guitti.

Anche la musica tende la mano a Micheletti, sin dall’infanzia, ma il connubio è completato dall’incontro con Mario Malagnini: grazie a lui l’attore si scopre baritono. Naturalmente anche in questo campo l’artista bresciano ottiene innumerevoli riconoscimenti, diretto, tra gli altri, dal Maestro Riccardo Muti.

Un’esplosione di successi meritati, che certamente non termineranno. Un portentoso filtro alchemico la cui ricetta è composta da semplici ingredienti: talento, passione e grande impegno che, come si suol dire a Brescia, l’è mai asé, “non è mai abbastanza”.

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.

Evelyn: chi si spoglia dai limiti grigi e si tuffa nel verde

Evelyn: chi si spoglia dai limiti grigi e si tuffa nel verde

Evelyn: chi si spoglia dai limiti grigi e si tuffa nel verde

La metamorfosi liberatoria di un essere imprigionato nei propri limiti

Evelyn è sola e impaurita. È rannicchiata come un pulcino in una lavatrice grigia, in un mondo grigio. Si sveglia e uno schermo si attiva: una bocca dalle labbra carnose, denti perfetti e voce suadente le impone di darsi da fare per essere bella, per essere felice.

La sapiente regia di Giacomo Gamba guida Evelyn, Elena Guitti, sulla scena del Piccolo Teatro Libero di San Polino (Bs) dal 10 al 19 giugno. Il recitato è quasi assente, ma è il corpo a muoversi in un intricato ginepraio di emozioni nel solco di un terribile dissidio: l’accettazione da parte degli altri o del sé.

La parola è muta, il corpo parla. Elena Guitti afferma che lo spettacolo è creato a partire dalla fiaba scritta proprio da Giacomo Gamba, La Linfa di Evelyn. Il tutto poi ha assunto una figura plastica, in divenire, cucita addosso al corpo dell’attrice, come un abito d’acqua.

Evelyn si affanna a rincorrere un modello di felicità preconfezionato. Incasellata in una matrice numerica, rimane nell’anonimato di mille vite prive di colore. Ascolta quelle voci che si insinuano nella sua mente. Come in Amleto il veleno corre nelle orecchie goccia dopo goccia, subdolo, e con una parvenza di benevolenza.

 

Quelle voci fingono di essere amiche.

Sono dei comandamenti scolpiti nell’aria, ma così subdoli da creare una realtà distorta.
La povera Evelyn prova a seguire quei falsi profeti, ma non corre a sufficienza per raggiungere quegli standard. È così triste, è maledetta da un Dio crudele che rimane muto mentre sghignazza meschino in un angolo, guardandola muoversi così goffa nella solitudine del proprio appartamento.

Una parrucca bionda, dei tacchi lucidi rossi, un reggiseno portentoso: ecco i trucchi per essere esattamente come una donna dovrebbe essere. Almeno, secondo i canoni creati unicamente per vendere della merce, nulla più.

Evelyn stravolge il proprio corpo, lo plasma in forme che non le appartengono. Si sente soffocare, tutto ruota, tutto è impossibile. Entra di nuovo nella lavatrice fino a che una tempesta cambia tutto.

Quando si è in balia di una tempesta non c’è più parrucca che tenga! Si è a confronto con se stessi, non vi sono giochetti o trucchi che possano venire in soccorso. È la notte dei ricordi che dapprima guaiscono sotto la cenere, e poi latrano demoniaci. Sono belve in una selva oscura, ma non si ha nessuna guida a cui chiedere un pietoso aiuto.

La tempesta è un rito iniziatico, in una notte in cui gli sguardi che Evelyn si sentiva puntati addosso muoiono. Muoiono con il carapace che lei si lascia alle spalle, perfettamente modellato sulla sua figura. Ma ne è solamente una forma antica, a monito imperituro di quanto i limiti siano fatti per essere superati: basta solamente spogliarsene.

Il rito è compiuto: elemento vitale e trascendente si sono uniti per creare la nuova Evelyn. La protagonista si avvicina all’albero che per tutto il tempo è rimasto accanto a lei, con tre foglie che educatamente hanno atteso in pacifico silenzio il suo mutamento.

La nuova vita di Evelyn è una rinascita dalle macerie da una piaga mondiale, che ha posto ogni essere umano davanti a se stesso, nella propria solitudine. In quello spazio grigio, che è tempesta, tutto si è fermato. La delicatezza dell’essere umano è emersa, tangibile, ma meravigliosa come le foglie vitali dell’alberello indifeso e titanicamente potente.

Ecco che Evelyn si avvicina a quel piccolo ricettacolo di linfa con gli occhi sognanti di bambina. L’albero accoglie la sua presenza, come un padre amorevole, senza chiedere nulla in cambio. La presenza fisica e spirituale delle due entità si fondono, ritornando a una commistione ancestrale, che genera vita.

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.