Australian Open 2023: Novak Djokovic a caccia della “decima”

Australian Open 2023: Novak Djokovic a caccia della “decima”

Australian Open 2023: Novak Djokovic a caccia della “decima”

Il campione serbo è il favorito alla vigilia dello Slam australiano; non è ancora al massimo, ma la sua insaziabile voglia di vincere lo sorregge sempre. Il tennis italiano continua a crescere

L’attesa si è conclusa, e come sempre a gennaio il tennis riparte dall’estate australiana. Dopo alcuni tornei giocati anche in Nuova Zelanda e nell’isola di Tasmania, questa notte sono iniziati gli Australian Open prima prova del Grande Slam 2023. Tutti i migliori e le migliori si ritrovano a Melbourne, nel bellissimo impianto di Flinders Park, inaugurato nel 1988 (vinse Mats Wilander, al quinto set contro il padrone di casa Pat Cash). In realtà quasi tutti, perché il torneo maschile ha dovuto registrare l’assenza per infortunio niente meno che del numero uno del mondo: Carlos Alcaraz.

Rispetto allo scorso anno il torneo ritrova però Novak Djokovic, assente nel 2022 per questioni… vaccinali. Il serbo ha già vinto 9 volte la manifestazione, e la prima volta risale al 2008, ben 15 anni fa. Pur non giocando ancora il suo miglior tennis, una settimana fa ha vinto il torneo di Adelaide, lasciando intendere che la prima qualità di un campione è quella di non essere mai stanco di vincere: sono ormai 92 gli allori in carriera per lui.

La sua stagione 2022 giocata a singhiozzo lo ha relegato alla quinta posizione del ranking; gli organizzatori non hanno voluto contraddire la classifica ufficiale egli hanno attribuito la quarta testa di serie. Ma è senza dubbio il favorito numero uno e martedì farà il suo esordio contro lo spagnolo Carballes Baena.

Il suo avversario… naturale, ovvero Rafa Nadal, è la prima testa di serie. Ha avuto un pessimo sorteggio, e quando leggerete questo articolo avrà già giocato il suo primo match contro il giovane (21 anni) mancino inglese Jack Draper, uno dei migliori della nouvelle vague. Lo spagnolo, detentore del titolo, non sembra essere nella sua miglior forma fisica; la sua classe non si discute, ma è difficile immaginarlo arrivare fino in fondo.

Non ce ne voglia il bravo Jack, ma silenziosamente speriamo di vedere Nadal andare avanti.

I nomi subito alle spalle delle due leggende sono quelli del russo Medvedev e del greco Tsitsipas, senza dimenticare i migliori dello scorso autunno, il danese Holger Rune e il canadese Felix Auger-Aliassime. Il talento di casa Nick Kyrgios è pronto a essere il guastafeste dei favoriti e, se non si distrae, nei quarti potrebbe incontrare proprio Djokovic.

Il tabellone femminile propone come naturale favorita la polacca Iga Swiatek, vera protagonista del 2022. Alle sue spalle qualche avversaria in più sembra essersi preparata per impensierirla non poco: pensiamo alla francese Garcia, alla bielorussa Sabalenka e alla tunisina Ons Jabeur. Inoltre, potremo verificare i progressi dell’americana Jessica Pegula, attuale numero tre del mondo. Forse il tennis femminile ha finalmente trovato un piccolo gruppo di tenniste capaci di elevarsi dal gruppo.

Capitolo tennis italiano: per la prima volta nella storia abbiamo tre azzurri nei primi 20 del mondo: Matteo Berrettini numero 14, Jannick Sinner in sedicesima posizione e Lorenzo Musetti in diciannovesima. Matteo in particolare sembra in forma ideale; ha guidato la nazionale italiana nella United Cup fino alla finale, persa contro gli Stati Uniti. Ha affrontato quattro top ten battendone due, Ruud e Hurkacz. È motivato e sente di essere il leader del movimento azzurro.

L’anno scorso ha perso in semifinale da Nadal; al primo turno affronta Andy Murray, campione ridimensionato da gravi infortuni, ma ancora in grado di vincere partite importanti.

Musetti e Sinner si sono recentemente fermati per piccoli malanni fisici, che si spera non condizionino troppo il loro cammino negli Australian Open

Dopo due turni alla portata del loro tennis, il tabellone li metterebbe purtroppo l’uno contro l’altro nel terzo turno.

Tra le donne la numero 1 italiana è Martina Trevisan, capace a giugno di arrivare fino in semifinale al Roland Garros. La superficie e probabilmente un po’ troppo veloce per i suoi gusti, ma nella prima settimana dell’anno si è molto ben difesa nelle United Cup. Se riesce a passare un primo turno non impossibile contro Schmiedlova, al secondo turno potrebbe avere Camila Giorgi, ultimamente caduta piuttosto in basso in classifica (settantesimo posto).

il nome più di tutti à l’affiche in queste torride giornate nella terra dei… koala (facciamo riposare i canguri) è quello di Elisabetta Cocciaretto; la ventunenne di Porto San Giorgio si è qualificata per la finale a Hobart.

Nella notte tra venerdì e sabato non è riuscita a vincere il suo primo torneo WTA, ma si è inserita alla posizione numero 48 della classifica mondiale, suo record personale.

Speriamo che lo sforzo fisico di quest’ultima settimana non la condizioni nel grande torneo; la sua prima avversaria è la kazaka Elena Ribakyna, che ha vinto l’ultima edizione di Wimbledon, ma che successivamente non ha ottenuto altri risultati degni di una campionessa Slam.

Questi sono i nomi di punta della pattuglia azzurra, che complessivamente conta 12 nomi, equamente divisi tra singolare maschile è singolare femminile. A livello quantitativo un dato notevole, che certifica la crescita del movimento nel nostro paese.

Sperando di trovarli numerosi anche all’inizio della seconda settimana, non ci resta che metterci comodi per gustarci una nuova stagione di grande tennis. Buon Australian Open a tutti!

 

Danilo Gori

Nicola Pietrangeli, once upon a time in Rome

Nicola Pietrangeli, once upon a time in Rome

Nicola Pietrangeli, once upon a time in Rome

Il tennis come pretesto per viaggiare e conoscere il mondo; le amicizie, le donne e il divertimento con i colleghi. Quando il tennis era povero ma bello.

Racconta Nicola: “Questa barzelletta è fortissima: gara di tiro all’animale. Un francese con un solo colpo di fucile fa fuori due anatre. Un inglese uccide un paio di volatili con una freccia. Infine, arriva un giapponese che sguaina uno spadone, con cui, dopo aver emesso alcuni suoni gutturali, fende l’aria scagliandosi contro una zanzara che però continua a volare. Al termine dell’esibizione il capo della giuria lo convoca sul palco e gli dice: guardi che la zanzara vola ancora. Sì, risponde lui, ma non scopa più. Ogni volta che gliela raccontavo, Mastroianni si contorceva dalle risate. Con il Principe Ranieri invece era più difficile; quando ne raccontava una, guai a fargli capire che la sapevo già”.

Mastroianni, Ranieri di Monaco; con il protagonista di questa storia si finisce sempre per arrivare alle teste coronate. Come gli rimproverava con il sorriso il suo amico e compagno di doppio Orlando Sirola: “tu esci solo con le principesse, sei un arrampicatore sociale!”. Eh sì, Parigi, Montecarlo, la Swinging London; e poi Roma, Via Veneto, la Dolce Vita… Anitona… Marcello… Nicola, come here.

E Nicola Pietrangeli ci arriva davvero a Roma. Da Tunisi. La madre, Anna, è una russa di buona famiglia in fuga dal regime sovietico; il padre, ingegnere, che aveva portato la famiglia lì per lavoro, viene internato in un campo di prigionia alleato durante la Seconda Guerra mondiale, e la prima partita di tennis per Nic è un doppio con il suo genitore, in un campo vicino al carcere fatto costruire proprio dall’ingegnere.  Ha tredici anni, e parla francese e russo; “imparando l’italiano”, dira poi, “ho perduto la lingua di mia madre, e non ho potuto imparare l’arabo”.

Si divide tra calcio e tennis, e continuerà così per qualche anno. Dopo un triennio nelle giovanili della Lazio e la prospettiva di un passaggio alla Viterbese, sceglie la racchetta. Non per i soldi, che sono pochi in entrambi gli ambiti, ma per la libertà di non essere di proprietà di nessuno, e per i viaggi: “con il tennis magari arriverò fino a Milano…”.

Eccolo, il senso di Nic per la vita: viaggiare, incontrare, divertirsi, ma con classe: “L’importante non è essere miliardari, ma vivere come un miliardario”. Ricco di aneddoti intorno al campo da gioco e benevolo con sé stesso e quelli della sua generazione, instancabile promoter di sé medesimo.

Sin dall’inizio mostra alcuni aspetti della sua indole che ne segneranno la carriera e nondimeno gli accadimenti off court; la pigrizia e la sostanziale indifferenza verso il tennis.

Il disprezzo verso la routine e il genio a indulgere verso atteggiamenti poco da atleta. Racconta il suo amico intimo Gianni Clerici, ex tennista non fenomenale ma grande scrittore e giornalista scomparso lo scorso maggio, che una volta, avendo un incontro di finale a Como, Pietrangeli passa la mattina a fare sci d’acqua sul lago, per approdare poi a Lezzeno (circa venti chilometri dalla città) e pranzare, non accusando minimamente inappetenza da prepartita. Dopo un altro po’ di pratica sul pelo dell’acqua il gruppetto si presenta in città, e Pietrangeli distrugge in poco tempo il malcapitato finalista.

Vita notturna, donne e feste saranno un continuum per il nostro eroe, e Clerici, di tre anni più grande, racconterà nel suo “500 anni di tennis” di come cercò più volte di staccarlo dalle sue “distrazioni” preferite, soprattutto quando vi indulgeva a poche ore (teoricamente di sonno) dalla disputa di un incontro importante.

Vince due volte gli internazionali d’Italia, in una delle finali sconfigge Rod Laver: roba seria. Nello stesso anno il suo amico Mastroianni rifiuta la parte di Yuri Zivago nel film tratto da Pasternak; al telefono chiede a un amico di dire “io da Roma non mi muovo”. Quell’amico, come racconterà divertita la “voce misteriosa” stessa, è Nicola: “Marcello era più pigro di me”.

Vince due Roland Garros, nel 1959 e 1960, e perde due finali nel 1961 e 1964, contro il giovane Manuel Santana. Alla vigilia della terza finale torna a Roma per la nascita del suo primo figlio; rientra a Parigi giovedì e si accorge che lo hanno aspettato. Di queste pietre miliari della sua carriera lui si diverte a ricordare i premi irrisori in denaro, l’amicizia con Santana (“dopo che mi sconfisse in finale, saltai la rete per congratularmi e non trovai nessuno: Manolo aveva strisciato sotto la rete ed era passato di là, come faceva quando era un povero raccattapalle”) e il piacere di incontrare gente, di presentarsi in smoking in alberghi bellissimi a Cannes. Va fiero delle sue amicizie con Sinatra, Sean Connery e Anthony Quinn; parla disinvolto persino della sua amicizia con il mafioso Joe Adonis (“persona squisita”).

Anni dopo, nel 1989, all’annuale ricevimento dei giocatori durante il torneo di Montecarlo, Nicola si presenta in coppia con l’amico di scorribande Ilie Nastase, entrambi agghindati in un femminile echeggiante il Charleston anni 20, roba da far impallidire Pola Negri. Sia Nick che il ragazzaccio rumeno appaiono più disinvolti di Jack Lemmon in “A qualcuno piace caldo”.

Pietrangeli è il giocatore che in assoluto ha disputato più incontri con la maglia della propria nazionale: 164 tra doppi e singolare, vincendone 120. Negli anni 60 la Federazione Italiana Tennis era una delle poche che pagava gli atleti, e la sua longevità è anche quella di Sirola, Merlo e Fausto Gardini. Giocherà due finali, perdendole entrambe. La vince da capitano non giocatore nel 1976, resistendo alle pressioni di chi in Italia non voleva che la Nazionale andasse a giocare a casa di Augusto Pinochet.

Nel 1977 perde la finale di Davis In Australia e viene messo in discussione; i rapporti interpersonali con la squadra, soprattutto con Adriano Panatta, non sono buoni. Pietrangeli viene messo da parte. Dopo più di quarant’anni i rapporti non sono migliorati. Incomprensioni, polemiche, frasi di troppo o parole non dette che avrebbero migliorato le cose. Nic pubblicamente rimprovera ad Adriano di non essere sincero; salvo poi dire di sé stesso: “nemmeno io sono la bocca della verità; ogni tanto anche io sbaglio…”.

La mancata verità come sbaglio, come ricordo non più limpido…

I ricordi sono come pietre composte da materiali di diversa consistenza; con il tempo vengono limati e perdono le parti più volatili e leggere, portate via dalla lenta e incessante opera degli agenti atmosferici, rimanendo le parti più consistenti e dure. Il negativo delle memorie si perde nelle traiettorie invisibili del vento dell’oblio, e il bello degli attimi passati rimane a dirci che è valsa la pena di vivere ogni istante. Nicola Pietrangeli ad ottantanove anni (complimenti!), è uno degli ex sportivi più intervistati. Più di tanti campioni di calcio di Spagna ’82; in lui si cerca l’opinione del grande vecchio, l’immancabile “il nostro tennis era più divertente”. Ma anche e soprattutto l’aneddoto, la storia bislacca, incredibile ma che “se la dice lui è vera”.

Perché Nic ha diritto alla sospensione dell’incredulità. Se l’è meritata. A noi appare come un ragazzino pronto ogni volta a stupirsi e a stupire, a guardare al giorno che inizia come a una nuova occasione per sperimentare il mondo e la gente; un uomo che, come disse Orson Welles di Fellini, forse a Roma non ci è ancora arrivato, perché sente che, ancora oggi, il viaggio più bello sarà il prossimo.

Grande Pietrangeli, forse il più grande tennista italiano di sempre, sicuramente il più titolato.

A proposito Nicola, ci racconti di quella volta che…

 

Danilo Gori

Henri “Riton” Leconte: il “Divin Sciupone”

Henri “Riton” Leconte: il “Divin Sciupone”

Henri “Riton” Leconte: il “Divin Sciupone”

Nonostante l’immenso talento, non troveremo il suo nome tra i vincitori delle quattro prove del Grande Slam. Eh no, qualcosa prima della finale andava sempre storto…

Simpatico, sorriso da canaille; talentuoso e fragile, amante del tennis e della bella vita, sciocco e commovente, braccio incredibile in un fisico non da atleta, per un tennista senza troppa voglia di diventare atleta. Signori: Henri Leconte da Lillers.

Quando vogliamo capire quali siano gli atleti più forti in una qualsivoglia disciplina sportiva, prima di tutto ci chiediamo: “Chi vince?” E subito andiamo a cercare gli albi d’oro delle competizioni più importanti, imparando qualche nome. Naturale, veloce; ma, inevitabilmente, un’indagine incompleta.

Leconte è stato depositario di un gioco estremamente rischioso. Mancino, capace di accelerazioni da fondocampo micidiali, sia di diritto che di rovescio, rimaneva in attesa del momento propizio per scendere a rete e chiudere lo scambio con un colpo di volo o mezzo volo di rara maestria. Completavano il suo arsenale una cannonball di servizio, con la palla lanciata molto “bassa”, e capacità acrobatiche non da poco.

Ma dunque? Vittorie quante?

Non troveremo il suo nome tra i vincitori delle quattro prove del Grande Slam. Eh no, qualcosa prima della finale andava sempre storto per il Nostro. Solo in un caso, a Parigi nel 1988, Henri partecipa all’atto conclusivo del torneo, rimediando una secca sconfitta da Mats Wilander

Eppure, tutti gli appassionati si ricordano di lui, l’artista, il Divin Sciupone, capace di rimonte impossibili come di improvvisi blackout mentali, durante i quali dilapidava vantaggi fino a perdere partite già vinte.

Di lui si parla già quando nel 1982, a soli 19 anni, sconfigge nientemeno che Bjorn Borg, a Montecarlo. Si ripete l’anno dopo in soli due set. In realtà l’orso svedese è ai titoli di coda, non ha più voglia di allenarsi, e si ritira proprio dopo la seconda sconfitta..​.

La sua stella cresce, ma i francesi sono rapiti da un altro eroe: Yannick Noah. L’atleta di origini camerunensi è un autentico showman, tutto smash e allegria, tuffi e joy de vivre. Henri è scostante, mattacchione e iracondo, sempre sul filo dei nervi. Fa e disfa, spreca il suo talento. I francesi scelgono Noah, che inoltre vince a Parigi nel 1983, primo francese dal 1946 di Marcel Bernard.

I due sono buoni amici, giocano il doppio insieme, ma Leconte soffre questa condizione di secondo, e quando, dopo alcune sconfitte, nel 1985 proprio sul centrale del Roland Garros supera Yannick 6-1 al quinto set, per lui è una liberazione.

Nel 1988 i due francesi si ritrovano faccia a faccia nei quarti di finale al Country Club di Montecarlo. Leconte è carico come raramente gli è capitato in passato. Gioca in maniera incredibile. Yannick viene letteralmente “buttato fuori dal campo” (come Noah stesso dirà a fine match): volée, smorzate, recuperi, un campionario di raffinatezze uniche. In un lampo è 6-2.

Nel secondo Noah si ricompone, ma nel tie-break siamo 6 a 3 per Riton. Tre match-ball. Su uno di questi accade l’imprevisto.

Leconte serve forse fuori la prima palla, ma nessuno la chiama out. Il giudice dice sommessamente deuxieme ball; a quel punto Leconte sbaglia anche la seconda: doppio fallo! Il mancino realizza solo allora che non ci sono state chiamate sulla prima e pretende di essere dichiarato vincitore, ma per il chair umpire non c’è nulla da fare.

Apriti cielo.

Leconte è una furia, insulta tutti, se la prende anche con il suo allibito avversario. “Esce” dal match. Perde il tie-break ed il terzo set per 6 a 3. Il pubblico non lo perdona e lo subissa di fischi, spettatore dello psicodramma di un artista straordinario ma perennemente in guerra col proprio sistema nervoso. Incapace di dimenticare un episodio negativo, lento nel voltare pagina per ripartire con maggiore determinazione, Henri è nuovamente “incompiuto”.

Sarà l’ultimo incontro con l’amico-rivale.

Un mese dopo circa, si presenta a Parigi senza essere troppo considerato. Ed è in situazioni come queste che si esalta: negli ottavi batte Becker, poi Svensson e Chesnokov. È in finale!

L’avversario è lo svedese Wilander, un giocatore che è il suo opposto come temperamento e stile di gioco. Il tennista di Lillers comincia bene, serve per il set sul 5 a 4, poi l’incanto si rompe. Wilander non sbaglia nulla (dovrà ricorrere solo due volte alla seconda palla di servizio!), imperturbabile a tutto. Il francese, di fronte a una tale dimostrazione di fredda determinazione, cede alla frustrazione. Perde 75 62 61. Per lui ci sono anche i fischi di una platea ingenerosa. Durante la premiazione dice che spera di tornare l’anno successivo per vincere, ma c’è chi ride.

L’appuntamento con la storia per Henri Leconte arriva quando nessuno più ci crede. Nel 1991 ha 28 anni ed è reduce da una operazione alla schiena. Non sta quasi in piedi, e si avvicina la finale di Coppa Davis contro gli USA di Agassi e Sampras. Il capitano della Francia è, guarda caso, Yannick Noah. L’ex campione sa che i suoi buoni giocatori possono ben figurare, ma non potranno mai superare i “mostri” americani. Riton può perdere seccamente ma, quando parte sfavorito, sa accendersi e rendere al massimo.

Nella bolgia di Lione Agassi batte Guy Forget, ma Henri gioca la partita della vita e sconfigge tre set a zero Pete Sampras. Lo yankee assiste stranito allo spettacolo offerto dal tennista francese, ma anche dal pubblico, mai come quel giorno ipnotizzato da Leconte. Il giorno dopo, in coppia con Forget, Henri supera anche gli specialisti Flach e Seguso. Sul due a uno, Forget ha la meglio su Sampras e regala ai padroni di casa il punto decisivo di una finale tra le più sorprendenti e spettacolari della storia.

I giocatori esultano, fanno il trenino davanti ad una folla estasiata. Noah legge al microfono una letterina scritta a Henri dal figlio Maxim, e Riton scoppia in un pianto a dirotto. Il pubblico transalpino ha finalmente fatto pace con lui; e del resto, come si fa a non amare un simile giocoliere?
La finale del 1991 verrà ricordata come una delle più entusiasmanti della storia ultracentenaria della competizione, e grazie soprattutto a Leconte in Francia rivivrà la leggenda dei “Musquetaires” degli anni Venti.

 

di Danilo Gori