I 244 anni dall’inaugurazione del Teatro alla Scala

I 244 anni dall’inaugurazione del Teatro alla Scala

I 244 anni dall’inaugurazione del Teatro alla Scala

Dal 3 agosto 1778 la Scala di Milano mette in scena l’incanto

Nuovo Regio Ducal Teatro alla Scala.

Che nome importante! Beh…ne ha buon diritto.
Il Teatro alla Scala, o semplicemente La Scala, è il fiore all’occhiello dei teatri d’opera italiani.

Da ben 244 anni accoglie le note di melodrammi, di balletti e di concerti, nel cuore di Milano, rappresentando magnificamente l’Italia nel mondo.

Quando si varcano le soglie della Scala, si rimane affascinanti dalla magnificenza degli ambienti. Tutto si fa buio e inizia la vera magia! Solo in un luogo di tale splendore è possibile percepire l’essenza dell’incanto.

Ci si trova immersi in una fiaba e, come ogni fiaba che si rispetti, tutto inizia con “C’era una volta”.

Ebbene c’era una volta, tanto tempo fa, un cumulo di macerie. Il Teatro alla Scala nacque, infatti, come una fenice, grazie alle ceneri del Teatro Regio Ducale, andato distrutto in un incendio divampato il 26 febbraio 1776.

Il teatro precedente era il riferimento della corte milanese e fu proprio il sovrintendente dello stesso, il conte Giangiacomo Durini, a desiderarne fortemente la ricostruzione, supportato dalle famiglie patrizie della città.

Tali volontà furono soddisfatte da un decreto emanato dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria, che autorizzò la costruzione in altro luogo di due nuovi teatri: il Teatro della Cannobiana e il Nuovo Regio Ducal Teatro alla Scala.

Così, nell’agosto del 1776, si diede inizio alla demolizione della Chiesa di Santa Maria alla Scala, al posto della quale fu poi edificato l’omonimo teatro, su progetto dell’architetto neoclassico Giuseppe Piermarini.

Tutto venne curato nei minimi particolari. Giuseppe Levati e Giuseppe Reina realizzarono le decorazioni pittoriche, mentre Domenico Riccardi fece sì che il sipario rappresentasse il Parnaso, su suggerimento di Parini stesso.

L’inaugurazione della Scala avvenne il 3 agosto 1778, con la prima rappresentazione assoluta di Europa riconosciuta di Antonio Salieri.

La platea e le gallerie erano gremite. Persone che sarebbero passate alla storia parteciparono all’incanto: l’arciduca Ferdinando d’Asburgo-Este, Maria Beatrice d’Este e…Pietro Verri.

Questi descrisse la magia della prima in una suggestiva lettera al fratello Alessandro, in cui si osserva tutto il suo stupore. Pietro, infatti, scrive: “Mentre te ne stai aspettando quando si dia principio, ascolti un tuono, poi uno scoppio di fulmine”.

Ecco: è il segnale convenuto. L’orchestra ha così dato inizio all’ouverture, e quando si alza il sipario “vedi un mare in burrasca”. Pietro Verri e gli altri partecipanti sono attoniti: la musica li ha rapiti e i loro occhi sono “sempre occupati”.

Da allora la Scala non ha mai perduto la scintilla di miracolo che avvolge gli spettatori, provenienti da tutto il mondo.

Innumerevoli stelle del firmamento del melodramma, del balletto e della musica classica si sono avvicendate tra le scene del teatro, ma molti hanno avvertito che quel luogo fosse diverso, unico.

Plàcido Domingo, magnifico tenore, affermò che “di tanti palpiti e di tante pene è davvero cosparso il cammino che conduce non a una semplice prima, ma alla Prima per antonomasia”.

Ora la fiaba è giunta alla fine. E come ogni fiaba che si rispetti è doveroso terminare con “e vissero tutti felici e contenti”.

Sì, perché la storia della nascita della Scala insegna che dalla distruzione può nascere la vita, dalla disperazione si può creare bellezza. E grazie alle ceneri di un teatro e a una chiesa demolita, può nascere il miracolo.

Così vissero tutti felici e contenti.

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.

“Nemico mio”: l’introspezione nel nuovo singolo di IRIDA

“Nemico mio”: l’introspezione nel nuovo singolo di IRIDA

“Nemico mio”: l’introspezione nel nuovo singolo di IRIDA

“Nemico Mio” è il titolo del singolo di debutto di Irida, giovane raffinata cantautrice marchigiana di origini albanesi e serbe. Il singolo pubblicato dall’etichetta discografica DME sarà disponibile a partire dal 24 giugno in Radio e in tutti i Digital Stores.

 

Quante volte ci è capitato di sentirci ostacolati da noi stessi, di sentirci il nostro nemico più infido? Probabilmente fin troppe, ed è proprio per questo che nasce il singolo della cantante marchigiana Irida.

Nihil inimicius quam sibi ipse

Letteralmente “nulla ci è più nemico di noi stessi”. È una celebre frase di Cicerone che rappresenta a pieno il concetto di Nemico Mio: combattere contro se stessi cercando di non farsi sopraffare dal proprio io negativo.

Ascoltare questo singolo è come intraprendere un viaggio all’interno della mente dell’artista, come se stessimo leggendo una pagina del suo diario. Lasciatevi trascinare dalle sonorità Pop del nuovo brano di questa giovane artista, capace di trasmettere perfettamente le proprie emozioni e di creare poesie con le sue parole.

Il brano è prodotto da Andrea Mei e Marco Mattei. Mei è l’ex tastierista dei “Gang” ed autore e produttore per molti gruppi e cantanti italiani e stranieri, soprattutto per i Nomadi per cui ha scritto molti successi tra cui “Io voglio vivere” e “Sangue al cuore”. Attualmente segue la carriera di Danilo Sacco, ex voce dei Nomadi, per la Dm Produzioni. Marco Mattei è batterista di Danilo Sacco e produttore per molti artisti italiani, tra cui Anna Oxa e John De Leo; ha lavorato anche con artisti internazionali come Maria Josè, artista messicana arrangiando e suonando l’album disco di platino e poi d’oro “amante de lo bueno”.

Montbook: l’artigianalità giapponese alla Milano Design Week

Montbook: l’artigianalità giapponese alla Milano Design Week

Montbook: l’artigianalità giapponese alla Milano Design Week

Durante la Milano Design Week sarà presentata in un temporary shop Montbook, collaborazione fra il giapponese Laboratorio Yamamoto e il designer Giulio Iacchetti.

Un cammino verso territori lontani e affascinanti. Un percorso magico, alla ricerca del “kokoro” (cuore, in italiano) delle cose. Un viaggio che parte dal Giappone, a Nara, e arriva in Italia, a Milano. Un incontro, quello tra il signor Yamamoto – proprietario di un laboratorio di borse – e Giulio Iacchetti – noto designer internazionale – che dà vita a Montbook, un brand di borse di design in pelle.

La collezione è composta da 9 differenti articoli e comprende: zaino, borsa monospalla, messenger, porta carte e porta monete, custodie per smart phone e portafogli. A questi si aggiungerà una nuova borsa che verrà svelata durante la settimana del design.

Tutta la collezione verrà presentata all’interno di un Temporary Shop in via Palermo 18 (Milano), all’interno della Brera Design Week.

Le borse monospalla Montbook

Montbook Collection

Lo zaino è caratterizzato da una tasca sul fronte trattata con micro-gocce di lacca come l’antica tradizione del distretto artigiano di Nara vuole, che non solo impreziosiscono lo zaino, ma ne irrigidiscono la superficie al fine di meglio proteggere ciò che vi è contenuto. Il disegno della maniglia, posta all’apice dello zaino è fatto in modo tale da consentire un uso più libero dello zaino che può essere comodamente impugnato e trasportato a mano.

La borsa monospalla presenta una sorprendente ergonomia: lo spallaccio può essere posizionato sia a destra che a sinistra così da adeguarsi alle esigenze di chi lo indosserà.

Arricchiti da superfici trattate in lacca giapponese, la serie di portafogli, porta monete e porta carte di credito, completano la gamma dei prodotti Montbook in modo originale e coerentemente allo stile. Tutti gli articoli sono disponibili nelle varianti colore: nero, blu navy, viola, lime, giallo, beige, bianco, blu, rosso e verde.

I prodotti della collezione sono realizzati in pelle, Made in Japan dal noto Laboratorio Yamamoto, da sempre specializzato nella manifattura di zaini “RANDOSERU”.

Il laboratorio Yamamoto 

Si dice che la più antica borsa in pelle del Giappone risalga al VII secolo, giunta dalla Dinastia Tang all’attuale prefettura di Nara in Giappone. In seguito, gli artigiani di Nara, prendendo esempio da quella borsa, iniziarono a produrre e utilizzare oggetti laccati in pelle di cervo, motivo per cui i prodotti di pelletteria tradizionalmente più diffusi in Giappone erano realizzati proprio in questo materiale.

Il laboratorio di borse Yamamoto è stato fondato da Shosuke Yamamoto nel 1949 proprio a Nara, in un contesto storico particolare, quello del secondo dopoguerra, in cui prevaleva il senso comune di ricostruzione e la volontà di ripartire. Così il laboratorio Yamamoto, come prima cosa incoraggiò questi incredibili lavoratori.

Nel 1969, con la crescita economica del Giappone, il laboratorio decise di specializzarsi nella produzione del “Randoseru”, lo zaino dalla forma iconica realizzato in pelle, che, ancora oggi è un simbolo degli studenti giapponesi delle scuole elementari. Da più di 70 anni dalla sua fondazione, il laboratorio di borse Yamamoto continua a supportare i talenti di ogni epoca. Anche adesso, in un periodo di produzione e di consumo di massa, è uno dei pochi laboratori che continua a privilegiare “il fatto a mano” e “l’artigianalità”, valori che sono stati tramandati fino ad oggi.

Nel 2019 il primo incontro di Mr Yamamoto con il designer italiano Giulio Iacchetti, proprio in Giappone. Qui nasce l’idea di creare un nuovo marchio che possa sia esprimere la capacità artigiana ma anche rivolgersi a un pubblico più ampio. Lo studio Giulio Iacchetti ha così realizzato l’intero progetto di branding, l’immagine coordinata nonché il progetto della prima serie di borse e accessori.

La messanger Montbook

Giulio Iacchetti

Industrial designer dal 1992, ha progettato e progetta per diversi marchi, tra cui Abet Laminati, Alessi, Artemide, Fontana Arte, Foscarini, Magis, Mandarina Duck, Moleskine, Nava.

È direttore artistico di Danese Milano, Dnd Handle, Myhome e Internoitaliano. Tra i suoi caratteri distintivi ci sono la ricerca e la definizione di nuove tipologie oggettuali come il Moscardino, posata multiuso biodegradabile, disegnata con Matteo Ragni per Pandora Design e premiata nel 2001 con il Compasso d’Oro. Da sempre attento all’evoluzione del rapporto tra realtà artigiana e design, nel novembre 2012 lancia Internoitaliano, la “fabbrica diffusa” fatta di tanti laboratori artigiani con i quali firma e produce arredi e complementi ispirati al fare e al modo di abitare italiani. Nel 2014 vince il suo secondo Compasso d’Oro per la serie di tombini Sfera, disegnata con Matteo Ragni per Montini.

MIA Milan Image Art Fair: il day after

MIA Milan Image Art Fair: il day after

MIA Milan Image Art Fair: il day after

Dopo la chiusura dell’evento vediamo insieme che cosa è successo, tra premi e opere degne di nota…

Si è conclusa recentemente l’undicesima edizione di MIA Milan Image Art Fair (28 aprile-1 maggio), a Superstudio maxi a Milano, nuovamente in partnership con BNL BNP Paribas e Eberhard & co, ma da quest’anno con una novità: MIA Fair è entrata nel gruppo Fiere di Parma.

Facciamo un breve resoconto della rassegna appena conclusasi partendo dai premi: il primo ad essere citato – e sicuramente e tra i più attesi – è il premio BNL BNP Paribas, assegnato a Simona Ghizzoni con Isola e ad Antonio Biasucci con Corpo Ligneo 01, che con le loro opere entrano nella collezione del gruppo BNL BNP Paribas andando ad arricchire un corpus che vanta già oltre 5mila opere. Ci sono novità anche tra i premi, questa edizione di MIA Fair vede anche la prima edizione del Premio IRINOX SAVE THE FOOD curato da Claudio Composti, premio che si concentra sul rapporto arte-cibo. Va ad ex aequo a Delphine Diallo e Ryan Mendoza il premio Sky Arte promosso da Sky Arte, media partner di MIA Fair.

Tra le varie iniziative, mostre e premi all’interno di MIA Fair, è sicuramente da segnalare la terza edizione del premio new post photography e relativa mostra, a cura di Gigliola Foschi: una iniziativa che nasce con lo scopo di dar spazio alle tendenze più innovative del mondo della fotografia contemporanea, ovvero indagare come la fotografia si ponga rispetto alle tante questioni sociali, politiche, economiche, culturali e tecnologiche che si intrecciano nella contemporaneità. In questo scenario la curatrice ritrova – non a caso –  nelle parole di Lazlo Moholy Nagy, uno dei principali esponenti del Bauhaus, una lettura decisiva “I confini della fotografia non sono prevedibili”. Parole, quelle di Moholy Nagy, che vedono proprio in questi confini non prevedibili un punto di forza per continuare a guardare criticamente al contemporaneo ponendo interrogativi e tentando di andare nel profondo delle questioni. Dunque, in mostra si ritrovano artisti ed opere che riflettono e lavorano su ambiti e con materiali molto diversi: chi riflette sul tema della violenza, chi sulla natura da salvaguardare, chi lavora con fotografie d’epoca e chi con le tecnologie digitali più recenti e si potrebbe continuare ancora con gli esempi. Un’iniziativa certamente degna di nota sia per gli obiettivi che si prefigge, sia per il rigore con cui affronta la ricerca.

Passando alle gallerie, divise in main section scelte direttamente da Fabio Castelli, direttore di MIA Fair, Gigliola Foschi ed Enrica Viganò, advisor di MIA Fair e beyond photography – dialogue (otto gallerie scelte da Domenico de Chirico per favorire, tramite progetti ad hoc per la fiera, il rapporto tra fotografia e altri media come pittura, scultura e installazioni), sono svariate le proposte degne di nota. Su tutte, Podbielski Contemporary (main section) che porta in fiera lavori di Silvia Camporesi e Thomas Jorion; la galleria trevisana Alberto Damian (main section) con gli scatti di Letizia Battaglia e ArtNoble Gallery di Milano (Beyond Photography- dialogue) che espone Giovanni Chiamenti e Alberto Selvestrel.

Sempre a proposito delle gallerie sono da segnalare l’allestimento e le proposte, molto curate, della galleria Antonia Jannone disegni di Architettura (main section) presente in due stand (9 e 11 corridoio C) con Marco Palmieri (stand 9), elegante, calibrato e raffinato come le immagini esposte. Nello stand 11 invece è esposto Santi Caleca che per esporre i propri scatti ripropone l’allestimento che aveva caratterizzato la mostra Aldo Rossi – Santi Caleca Monumental Memento (svoltasi presso la sede della galleria di C.so Garibaldi 125 a Milano tra il 7 dicembre 2020 e il 7 maggio 2021). Questa soluzione espositiva, come ci ha ricordato lo stesso Caleca incontrato durante la fiera, gli fu suggerita come consiglio pratico per meglio esporre le fotografie da Italo Lupi, architetto e designer che non ha bisogno di troppe presentazioni, proprio in occasione della mostra del 2020. In quell’occasione l’allestimento era un unico elemento lungo svariati metri disposto linearmente, mentre questa volta consiste in diversi elementi che corrono lungo le pareti dello stand fungendo da supporto sul quale vengono posizionate in maniera equidistante le immagini, in bianco e nero, che ritraggono le architetture di Aldo Rossi. L’allestimento nella sua semplicità, evitando l’effetto “foto appesa”, riesce al contempo a far dialogare elementi dello stand e immagini che posizionate in maniera cadenzata sembrano dialogare con le architetture ritratte. Aprono e chiudono il percorso della mensola due citazioni, una di Aldo Rossi, l’altra di Ettore Sottsass (proprio sulle architetture rossiane), contenute entrambe nel numero 3 anno 1989 di Terrazzo presente nello stand.

Completano il quadro di MIA Fair i progetti speciali. Tra questi ricordiamo il BDC – Bonanni Del Rio Catalog, che con la Nuova Scelta Italiana seleziona tre artisti come eredi dei grandi maestri della fotografia italiana; il progetto Olympism Made Visible della Olympic Foundation for Culture and Heritage, che ha come fine la divulgazione dei valori olimpici, e il progetto Dutch Talent Pavillion patrocinato dal Consolato del Regno dei Paesi Bassi della Galleria Project 2.0 che seleziona e presenta cinque tra i fotografi emergenti della scena olandese, tra i quali Larissa Ambachtsheer, colei che firma l’immagine di MIA Fair oltre a photoindipendent.

Molto elegante la mostra Uno sguardo gentile, fotografie di Marisa Rastellini di Mondadori Portfolio curata da Maria Vittoria Bravelli.

di Christian Vittorio Garavello

 

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Christian Vittorio Garavello

Laureato in architettura e curatore indipendente. Nel 2016 consegue la laurea magistrale in Architettura, indirizzo progettazione architettonica, presso il Politecnico di Milano. Nel 2021 consegue il diploma accademico di II livello in Didattica dell'Arte indirizzo Visual Cultures e Pratiche Curatoriali presso l'Accademia di Belle Arti di Brera.
È membro del Comitato dei Promotori del Premio Nazionale Arti Visive città di Gallarate.
Dal 2021 svolge attività di supporto alla didattica presso il Politecnico di Milano.
Collabora con studi di architettura, artisti e istituzioni culturali.

Fondazione Furla e la Galleria d’Arte Moderna di Milano lanciano una partnership pluriennale

Fondazione Furla e la Galleria d’Arte Moderna di Milano lanciano una partnership pluriennale

​Fondazione Furla e la Galleria d’Arte Moderna di Milano lanciano una partnership pluriennale

La partnership fra Fondazione Furla e GAM – Galleria d’Arte Moderna di Milano vedrà collaborare le due istituzioni per i prossimi appuntamenti del ciclo Furla Series, progetti espositivi a cadenza annuale in cui l’arte contemporanea dialogherà con gli spazi e la collezione del museo.

Il sodalizio fra Fondazione Furla e la Galleria d’Arte Moderna di Milano, che consolida il percorso intrapreso nel 2021 con la mostra di Nairy Baghramian, conferma la volontà di farsi promotori di una forma di collaborazione tra pubblico e privato basata sulle sinergie istituzionali e su una progettualità condivisa.

Prossimo appuntamento di questa rinnovata collaborazione sarà una mostra personale di Andrea Bowers, a cura di Bruna Roccasalva. La mostra, la prima dedicata all’artista americana da un’istituzione italiana, offrirà uno spunto di riflessione su femminismo e autonomia corporea, con uno sguardo rivolto sia al presente sia alla nostra storia.

Andrea Bowers è nata nel 1965 a Wilmington, Ohio. Oggi vive e lavora a Los Angeles e ha esposto con mostre personali presso importanti musei tra cui: Museum of Contemporary Art, Chicago (2021); Weserburg Museum of Modern Art, Brema (2019); Hammer Museum of Art, Los Angeles (2017); Contemporary Arts Center, Cincinnati (2017); Bronx Museum of the Arts, New York (2016); Espace Culturel Louis Vuitton, Parigi (2014); Wiener Secession, Vienna, e The Power Plant, Toronto (2007).

Il suo lavoro è stato incluso in mostre collettive presso grandi istituzioni internazionali e ha partecipato a biennali e importanti eventi espositivi internazionali, un esempio fra i tanti La Biennale de Montréal nel 2014 e la Whitney Biennial di New York nel 2004.

Molte delle sue opere sono inoltre in collezione presso prestigiosi musei come il Museum of Modern Art di New York, l’Hirshhorn Museum and Sculpture Center di Washington D.C e ancora il Museum of Contemporary Art di Los Angeles.

Andrea Bowers è un’affermata artista e attivista americana la cui ricerca combina pratica estetica e impegno politico da una prospettiva femminista. Bowers impiega diversi mezzi espressivi, dal disegno al video, all’installazione al neon, mettendo assieme contenuti socialmente rilevanti con un approccio formale di forte impatto visivo. Il suo lavoro è il perfetto esempio di come l’arte possa, attraverso il potere estetico dei suoi linguaggi, veicolare messaggi socialmente importanti.

Furla Series 4. Andrea Bowers fa parte del ciclo Furla Series, il progetto che a partire dal 2017 vede Fondazione Furla impegnata nella realizzazione di mostre in collaborazione con importanti istituzioni d’arte italiane, con un programma tutto al femminile pensato per dare valore e visibilità al contributo fondamentale delle donne nella cultura contemporanea.​