Festivaletteratura 2022 si presenta in piazza

Festivaletteratura 2022 si presenta in piazza

Festivaletteratura 2022 si presenta in piazza

Giovedì 23 giugno alle ore 21:00 si alza il velo sulla prossima edizione del Festival

Cento, duecento, trecento… forse qualcuno in più: tanti sono gli scrittori e gli artisti che stanno preparando i bagagli per prendere parte alla ventiseiesima edizione di Festivaletteratura, in programma dal 7 all’11 settembre prossimi (ne avevamo già parlato qui). Con l’aprirsi dell’estate, è arrivato finalmente il momento per iniziare a fare conoscenza di questa grande squadra letteraria che scenderà a Mantova per incontrare lettrici e lettori provenienti da tutta Italia.

Giovedì 23 giugno, alle ore 21:00, nella nuovissima piazza Fiera Catena (accanto a piazza Polveriera) verranno rivelati protagonisti, temi e novità del Festival 2022. Sul palco a sciorinare nomi e tirare i fili che tengono insieme la complessa trama del programma saranno – ormai affiatatissimi – Simonetta Bitasi, Alessandro Della Casa e Salvatore Satta. Per tutti coloro che non potranno partecipare di persona, sarà possibile seguire la serata in diretta streaming sui canali social di Festivaletteratura.

Un momento dal Festivaletteratura 2021

Come di consueto in quest’occasione sarà possibile rinnovare o sottoscrivere la propria adesione all’Associazione Filofestival e offrire un prezioso sostegno all’attività del Festival. Il termine ultimo per il rinnovo del tesseramento è fissato per il 7 agosto, mentre chi vuole presentare domanda per svolgere servizio di volontariato al Festival ha tempo fino all’11 luglio.

 

A che cosa serve la letteratura

A che cosa serve la letteratura

A che cosa serve la letteratura

La letteratura, in ogni sua forma, è specchio della mutovolezza nella quale l’esistenza si srotola. Se Tasso e Manzoni avevano come fine l’utile che pone in essere le contraddizioni del reale, Walter Siti si scaglia contro un’idea conformista e perbenista di letteratura che attanaglia l’industria editoriale degli ultimi anni.

Se non fosse che la realtà e il vero siano mutevoli e pedanti, non si capirebbe come la letteratura, nella sua più ampia accezione e concezione, ne sia lo specchio precipuo. 

Di tale convinzione, sembra farsi carico Cesare Pavese, il quale nel dialogo Le muse, l’ultimo della sua formidabile opera Dialoghi con Leucò, scrive:

MNEMÒSINE: “Ma anche tu, caro (a Esiodo, n.d.a.), esisti, e per te l’esistenza vuol dire fastidio e scontento.”

(…) ESIODO: “Ascoltandoti, certo. Ma la vita dell’uomo si svolge laggiù tra le case, nei campi. Davanti al fuoco e in un
letto. E ogni giorno che spunta ti mette davanti la stessa fatica e le stesse mancanze. È un fastidio alla fine, Melete.
C’è una burrasca che rinnova le campagne — né la morte né i grossi dolori scoraggiano. Ma la fatica interminabile, lo
sforzo per star vivi d’ora in ora, la notizia del male degli altri, del male meschino, fastidioso come mosche d’estate —
quest’è il vivere che taglia le gambe, Melete.”

(…) MNEMÒSINE: “Prova a dire ai mortali queste cose che sai.”

Esiodo, come è noto, è il poeta più antico della Grecia continentale. A colloquio con la madre delle nove muse, Mnemosine, nel dialogo pavesiano egli incarna perfettamente lo slancio tedioso dell’individuo contemporaneo; uno slancio che la letteratura, nella sua qualità più performante, pone in essere in un clima culturale tendente al conformismo e all’egocentrismo.

Retrogradando lo sguardo di qualche secolo, Pietro Bembo compone le Prose della volgar lingua nella prima metà del XVI secolo e istituisce un criterio letterario per “valutare” le lingue. Il suo obiettivo non è certamente quello di svilire gli altri volgari della penisola, come il veneziano: al contrario, pochi hanno scritto in veneziano, molti in un certo fiorentino; il fiorentino, quindi, appare come lingua adatta alla pratica letteraria. Perché? 

La letteratura come filtro del reale

La letteratura, a ben vedere, è filtrazione della realtà attraverso una forma. Che sia prosa o poesia, romanzo o trattato, l’esercizio della parola scritta pone le basi per un diverso approccio al reale nel quale si è immersi. 

Tale fatto al Bembo non può essere sfuggito: il fiorentino trecentesco, nelle personalità imitabili del Petrarca e del Boccaccio, simboli di un’epoca giunta agli sgoccioli, seppe esprimere un disagio esistenziale, il senso di qualcosa che finisce, una nostalgia vacua e inesorabile, nonché irrimediabile. La letteratura del Trecento, oltre ad essere il filone aureo dal quale attingere per poter scrivere bene, è anche custode di inquietudine filtrata dalla forma

Da Torquato Tasso ad Alessandro Manzoni

Già alcuni fra i letterati più rappresentativi della letteratura italiana si sono interrogati sul significato e fine della letteratura. 

Torquato Tasso, autore della Gerusalemme Liberata (1575), afferma nei Discorsi del poema eroico (1594) che la letteratura, pur traendo la propria materia dal mutevole reale, debba perseguire l’utile, quindi essere edificante moralmente e rifuggire il mero diletto, come aveva fatto Ariosto attardandosi sulle lascivie di Alcina e Ruggero. Tasso solleva una questione spinosa e a tratti imbarazzante: può l’artista abbandonarsi esclusivamente alla piacevolezza, al dilettevole, al “vendibile”, e abdicare al proprio ruolo civile e educativo?

Tale questione venne ripresa qualche secolo dopo da Alessandro Manzoni il quale, come è noto, afferma che lo scopo della letteratura sia l’utile. L’artificio poetico assolve a una ben precisa funzione educativa, civile, e morale occupandosi degli oppressi e donando loro una voce altrimenti inascoltata, e deve necessariamente rifuggire il banale diletto, pena il ripiego della letteratura stessa a decoro e fronzolo del reale, totalmente avulso da qualsivoglia contesto.  

Walter Siti e la tendenza contemporanea

Contrariamente alla recentissima tendenza di una letteratura pseudo progressista e palliativa, Walter Siti, in Contro l’impegno. Riflessioni sul Bene in letteratura (Rizzoli, 2021), si fa campione di un nuovo modo di intendere il significato della letteratura. Se recentemente la nuova interconnessione fomentata dalle reti social (Facebook, Instagram, TikTok, ecc…) ha reso sempre più pedante la retorica sul bene, coadiuvata da un’inarrestabile ondata di egocentrismo, la letteratura, dalla prosa alla poesia, nonché tutte le discipline artistiche, sembra essersi adeguata ai nuovi parametri di fruibilità.

La letteratura non deve essere terapeutica

In parole povere, Walter Siti accusa la letteratura odierna di perseguire ostinatamente il bene a tutti i costi: i romanzi devono far stare bene i lettori e le lettrici, intervengono per lenire le ferite interiori, curano; ma può la letteratura essere terapeutica? Walter Siti risponde, giustamente, che la letteratura dovrebbe rifuggire tali istanze da salotto, e che può benissimo complicare le cose, far ammalare poiché incapace di assorbire i traumi, se mai esasperarli. A fronte dell’egocentrismo stentoreo di alcuni autori evanescenti quali D’Avenia, Baricco, Saviano, che incarnano ideali monotonali e facilmente cavalcabili dal commercio di libri e idee, la letteratura, infine, dovrebbe favorire la contraddizione, la pluralità di idee e la provocazione, nonché l’esasperazione, proprio perché il reale non è o bianco o nero, ma labirintico e intricato. 

Giuseppe Sorace

Sono Giuseppe, insegno italiano, e amo la poesia e la scrittura. Ma la scrittura, soprattutto, come indagine di sé e di ciò che mi circonda.

A lezione da Luigi Malerba: l'(in)utilità come cura per l’anima

A lezione da Luigi Malerba: l'(in)utilità come cura per l’anima

A lezione da Luigi Malerba: l'(in)utilità come cura per l’anima

Malerba ci insegna a seguire l’ “ideologia del superfluo” per guardare la realtà dalla sua prospettiva (in)utile e rivalutare la scala delle nostre priorità.

“Servire a”, “fare per”, “ricavare da” sono i phrasal verbs imperanti di questo tempo. Ogni giorno veniamo sommersi da una valanga irrefrenabile di pareri non richiesti, dalla smania di rendere qualsiasi cosa efficace, proficua, funzionante. Da qui, allora, come un gesto sovversivo, parte la riscoperta dell’inutilità, di ciò che – stando a quanto dice il dizionario – non dà vantaggio, ma resta inconcludente, infruttuoso. Da qui, ancora, quel libriccino postumo che supera di poco le centoquaranta pagine e che, con acuta lungimiranza, già nell’aprile 2008, Luigi Malerba sistemava e riordinava prima di darlo in pasto alle stampe: Consigli Inutili.

A quattordici anni dalla sua scomparsa (8 maggio 2008), lo scrittore emiliano continua a stupire e a dimostrarsi più attuale che mai.

Luigi Malerba, all’anagrafe Luigi Bonardi, nasce nel 1927 a Pietramogolana, in provincia di Parma, ma, alla giovane età di ventitré anni, si trasferisce a Roma per seguire la naturale passione per la cinematografia. È proprio la Capitale, ricca di stimoli e ribollente di opportunità, a ispirargli l’esordio letterario, La scoperta dell’alfabeto, inevitabilmente “contaminato” dalla costituzione del Gruppo ’63. Dai principi propugnati dal movimento letterario neoavanguardistico, Malerba recupera il culto per i testi anarchici, “senza capo né coda”, che non trovano posto in nessuna categorizzazione o standardizzazione.

All’impresa pretenziosa del romanzo realistico che obbliga alla verosimiglianza, M. risponde con la decostruzione del canone attraverso forme di scrittura marginali, “inutili”, come i racconti brevi, gli pseudo-trattati, le biografie immaginarie.
Come si lascia la giacca all’ingresso, così è opportuno far sostare in limine libris trame complicate e storie ingarbugliate perché fin da subito emerge a chiare lettere la voglia di sfuggire ai condizionamenti inquinanti della logica.

Pare che sia venuta l’ora di rinunciare alle cause efficienti e agli effetti coerenti […]. Si tratta della utilizzazione del superfluo, programmata allo scopo di dare un significato diverso alle cose e di goderne le qualità finora trascurate e in qualche caso segrete”. (L. Malerba, Prefazione a Consigli Inutili)

Le “storielle” divertenti scorrono piacevolmente e non seguono uno schema fisso, piuttosto restano sospese tra la leggerezza dei contenuti e la giocosità del tono impiegato. Realtà e finzione si mescolano fino a diventare inscindibili; il lettore viene preso per mano e accompagnato, durante l’intera lettura, a guardare con occhi curiosi, ascoltare con orecchie tese e a liberare una fantasia ormai assopita.

Lunatici, matti, ‘animi sensibili’ sono allo stesso tempo gli ispiratori e i destinatari di questo tipo di letteratura, adatta a chi pensa che forse, davvero, ‘non ci sono regole, c’è solo l’intuito, la sensibilità dell’homo faber’. Se il lettore è ‘dotato di pazienza’ come il ‘coltivatore di querce’, può dedicarsi alla lettura, altrimenti ‘se ha fretta che coltivi i carciofi’. Perché ‘anche al buio chi ha sensibilità e sentimento si accorge’ della presenza dell’Amica ombra e potrà evitare ‘lo sgomento della solitudine’, senza dimenticare che ‘al tramonto anche gli uomini piccoli e depressi fanno le ombre lunghe’”. (V. Cuccaroni su ARGO)

Probabilmente, concederne appena un assaggio è il modo migliore per presentare un libro tutto da gustare e per nulla da spiegare. Consigli Inutili è, forse, un biglietto da visita azzardato e bizzarro per far conoscere un grande sperimentatore del linguaggio come Malerba, ma il richiamo dell’“ideologia del superfluo” e del “culto dell’inutilità” insegnano più di quanto si possa pensare, avvertendosi come una profonda urgenza in un mondo in cui tutto non smette mai di essere capitalizzato.

 

Di Ilaria Zammarrelli

 

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Un bosco per Festivaletteratura

Un bosco per Festivaletteratura

Un bosco per Festivaletteratura

Volontari, soci e amici del festival, hanno piantato 1300 alberi e arbusti di 13 diverse specie diverse, un’iniziativa che unisce la rinaturazione dell’ecosistema fluviale alla compensazione delle emissioni prodotte dalla manifestazione

Sabato 9 aprile volontari, soci e amici del Festivaletteratura di Mantova si sono riuniti a Dosolo (MN) per piantare un bosco fluviale sulle rive del fiume Po, iniziativa che nasce da un percorso di consapevolezza intrapreso dal festival, che lo sta portando sempre più ad armonizzare necessità organizzative e sostenibilità ambientale.

Dal 2011, con il progetto Consapevolezza Verde, Festivaletteratura propone all’interno del programma, incontri e iniziative su temi ambientali, coinvolgendo grandi protagonisti del dibattito sull’ecologia. Nel 2021 per la prima volta, grazie all’esperienza maturata attraverso il progetto europeo C-Change, tutte queste azioni sono state messe a sistema in un piano di azione ambientale integrale, che agisce non solo sui contenuti del Festival, ma anche su numerosi aspetti logistici e organizzativi. Accanto all’attenzione alle forniture energetiche, all’eliminazione delle plastiche monouso, alla limitazione degli sprechi di carta, una speciale importanza viene data alla promozione della mobilità sostenibile, con l’avvio di collaborazioni con le istituzioni locali per la creazione di parcheggi scambiatori integrati con il trasporto pubblico o progettando percorsi ciclabili sicuri.

Con la creazione del bosco, Festivaletteratura aggiunge un tassello al suo piano d’azione: quello del restauro ecologico e della parziale compensazione delle emissioni.
Sabato 9 aprile, la giornata di piantumazione che ha coinvolto soci e volontari di Festivaletteratura, ha portato alla nascita, in un’area demaniale in riva al Po nel comune mantovano di Dosolo, di un nuovo bosco fluviale con 1300 nuove piante, appartenenti a 13 specie diverse.

 L’area, di circa un ettaro, ha accolto 975 nuovi alberi, tra pioppi bianchi e neri, farnie, frassini, olmi e ontani, che andranno a costituire una formazione boschiva tipica della bassa pianura, e 325 arbusti, che grazie alle fioriture e alla produzione abbondante di bacche svolgeranno un ruolo utile per gli insetti impollinatori e la fauna selvatica.

Il bosco genererà diversi benefici ambientali, tra cui un progressivo assorbimento di CO2: in base ai dati scientifici attualmente disponibili, si stima che tra le 300 e 400 tonnellate di gas climalteranti verranno sequestrati dall’atmosfera e fissati nel legno e nel suolo.

Per i primi cinque anni, periodo cruciale per il suo sviluppo, il festival si occuperà anche di risarcimenti (sostituzione delle piante morte nei primi due anni), lavorazioni del suolo e controllo delle specie erbacee invasive, dell’irrigazione di soccorso nel periodo estivo, della pulizia e asportazione degli shelter protettivi, e della potatura di formazione.

Il progetto del bosco di Festivaletteratura è sostenuto da Fondazione Cariverona attraverso il Bando FORMAT FORMazione AmbienTe 2021, e da Reflexx Spa con sede nella vicina Viadana.

Quello che è nato in questi giorni in riva al Po non è l’unico progetto di riforestazione, nei prossimi mesi Festivaletteratura parteciperà infatti al progetto con il quale il Comune di Mantova riqualificherà un’area verde nel quartiere di Valletta Valsecchi.

Lo scorso 31 marzo, inoltre, è stato presentato il primo teaser Oltrenatura, un podcast in cui la giornalista e divulgatrice Elisabetta Tola, curatrice di programmi di approfondimento scientifico per Radio Città del capo e Rai Radio 3, proporrà, pescando nell’immenso archivio di Festivaletteratura e nelle migliaia di registrazioni di incontri e voci, un percorso in sei puntate in cui si entrerà nell’ambiente ogni volta da una finestra diversa, intrecciando gli aspetti narrativi, artistici, storici e di attualità con quelli scientifici, biologici o inorganici che siano.

Il nuovo podcast fa parte del progetto Leggere la scienza, sostenuto dal MUR – D.G. per il coordinamento, la promozione e la valorizzazione della ricerca e dei suoi risultati. La pubblicazione della prima puntata è prevista per la prima metà del mese di maggio.

Giorgio Manganelli: quando la parola diventa feticcio

Giorgio Manganelli: quando la parola diventa feticcio

Giorgio Manganelli: quando la parola diventa feticcio

In Manganelli la parola diventa lo strumento attraverso cui la letteratura si esprime, emblema del suo carattere marcatamente menzognero.

Giorgio Manganelli, autore funambolico, caleidoscopico e dalla penna inconfondibile, si staglia sulla scena letteraria con una certa autonomia nella seconda metà del ‘900, esordendo alla tardiva età di quarantadue anni con il volumetto oscuro Hilarotragoedia. Inevitabilmente assorbe, quindi, le idee avanguardistiche e rivoluzionarie propugnate dal Gruppo ‘63, attorno al quale però – va detto – si limita unicamente a orbitare.

Uno dei topoi letterari della sua produzione è senza dubbio la centralità della parola. L’arte è dialettica, è la forma della contraddizione, della coesistenza di valori inconciliabili. L’arte è linguaggio e con il linguaggio si può creare qualsiasi realtà. Gli infiniti mondi danno vita a infiniti libri. La feroce immaginazione di Manganelli si rivela il motore per impressionanti acrobazie intellettuali, che conducono la narrazione a farsi opulenta, trimalcionica, delirante. Di conseguenza, la lingua si fa incalzante, provocatoria e la prosa si caratterizza per un’instancabile e puntigliosa ironia.

A tal proposito, nonostante sia un termine rischioso da maneggiare, “feticcio”, accostato a “parola”, risulta particolarmente calzante per la doppia accezione che abbraccia nell’universo manganelliano. Il “Manga” – così amava essere soprannominato dai più – considera il processo scrittorio come una sorta di rituale, un cerimoniale vero e proprio, durante il quale lo scrittore deve necessariamente eclissarsi, sparire, per lasciare il posto al fool, al saltimbanco, colui che parla e straparla, fabula e affabula fino a esaurire l’intensa attività creativa in fatuo esibizionismo, ampolloso vaniloquio, illogica pantomima.

La parola rètore […] era sacra a Manganelli. E poi, ‘il rètore è un fantasma’, assimilabile al mago e all’alchimista, al negromante e al giocoliere, e soprattutto al fool, al buffone, e ‘si consuma tutto nelle sue frasi’”. (E. Sanguineti, Il linguaggio di Manganelli)

Se da una parte la parola rappresenta un vero e proprio oggetto di culto da venerare durante la cerimonia della scrittura, dall’altra è dalla parola che il fool trae piacere; un piacere esclusivo, da cui dipende, intende dipendere e che insegue attraverso un ossessivo accumulo di termini, parole, lessemi, tanto da metamorfizzarsi in un “dizionario impazzito” che non ha la pretesa o l’intenzione di comunicare un messaggio preciso.

Una parola può parlare soltanto di sé. Semplicemente, non c’è nient’altro di cui potrebbe parlare. E poiché parlare significa usare parole, significa anche muoversi nella realtà, l’unica realtà possibile, ossia il linguaggio. […] L’idea che un’opera letteraria comunichi, per me, è pura follia. Che cosa mai dovrebbe comunicare? Semmai crea uno spazio linguistico, nasce un conglomerato, una sorta di proliferazione verbale”. (G. Manganelli, La ditta Manganelli)

La scrivania si trasforma nello spazio in cui si condensano le idee più assurde e geniali, il luogo in cui il “Manga”, nella sua “tenuta da lavoro” di fool non descrive, ma inventa, non conosce il vero, anzi lo disprezza. Pertanto, le pagine che verranno consegnate al lettore saranno totalmente disancorate dalla necessità di una narrazione coerente, lineare, realistica.

La parola diventa lo strumento attraverso cui la letteratura si esprime, emblema del suo carattere marcatamente menzognero. La letteratura è menzogna non esattamente perché inganna il lettore, piuttosto perché è altro da ciò che socialmente si è persuasi a vivere come reale.

La parola menzogna fu considerata irritante. A me pare, tuttavia, che noi siamo irreparabilmente esclusi dalla coazione della verità dall’irreparabile adescamento del linguaggio. Esclusi dunque dal discorso onesto sulla verità, noi siamo nobilitati alla cerimonia disonesta della menzogna, che ci è consentita e imposta, e il cui esito definitivo è la letteratura”. (G. Manganelli, La critica? Una menzogna di secondo grado)

 

Di Ilaria Zammarrelli

 

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