Rino Gaetano: un antieroe impegnato

Rino Gaetano: un antieroe impegnato

Rino Gaetano: un antieroe impegnato

Rino Gaetano nasce a Crotone, città della costa achea calabrese, il 29 ottobre 1950. Poeta e cantautore impegnato, i suoi testi lo rendono l’antieroe per eccellenza dell’Italia contemporanea che arranca. 

Rino Gaetano si esibisce la prima volta a Sanremo la sera del 26 gennaio 1978, presentando Gianna: per la prima volta, nella storia della televisione pubblica italiana, viene pronunciata la parola “sesso”, un vero e proprio scandalo per l’Italia puritana. 

Assuefatti oramai da una retorica che svincola, nelle sue conseguenze peggiori, il significato di una parola dal proprio apporto morale, la piccola rivoluzione di Rino, quella sera, appare oggi fugace. Eppure, a distanza di anni, le sue canzoni e i suoi testi così pregnanti vengono ancora cantati, in virtù di un processo di immedesimazione quasi immediata con questo antieroe malinconico e ilare. 

Fra Crotone, Narni e Roma: la poesia e la musica

Pitagora, esule di Samo, giunse nel VI secolo a.C. a Crotone e vi fondò la propria scuola. Come è noto, era convinto che il numero governasse le proporzioni armoniche dell’universo, e che l’universo stesso risuonasse di una musica raffinata, impercettibile all’orecchio umano, frutto di proporzione numerica. 

Già a partire dalle proprie origini è insita la peculiarità della poetica di Rino Gaetano. Dopo essersi trasferito a Roma Rino, ancora undicenne, entra in seminario a Narni per assicurargli una solida istruzione: sono questi gli anni, intorno al 1960, nei quali si manifesta la personalità curiosa e perspicace del giovane Rino, presago del legame primevo e inscindibile fra poesia e musica.  

Nel 1970, rientrato a Roma, conclude i propri studi da geometra e parallelamente viene coinvolto dal teatro dell’assurdo: personalità del calibro di Beckett e Ionesco, ma anche Majakovskij, influenzano la poetica di Rino Gaetano, alimentando il fortissimo legame fra poesia e musica, nonché con l’apparente illogicità della parola. 

Aida: un’Italia al contempo memore e dimentica 

Nel 1977 Rino pubblica il suo terzo album, Aida, che prende il nome dall’ omonima canzone contenuta nella raccolta.

In un intreccio di allegorie e memorialismo, il testo della canzone ripercorre e sciorina le tappe fondamentali dell’Italia, dall’antichità e medioevo (E mille mari: riferimento al dominio dei mari in età bassomedievale) fino al Novecento. 

“Aida” è quindi l’Italia, nome proprio che riecheggia i fasti risorgimentali. Nella prima parte della canzone, contraddistinta da ben tre strofe, si ripercorre la storia d’Italia fino all’avvento del Fasismo e alla Seconda guerra mondiale; in particolare, nella terza strofa si legge: 

Marce svastiche e federali

Sotto i fanali

L’oscurità

E poi il ritorno in un paese diviso

Più nero nel viso

Più rosso d’amore

Non vi sono verbi, ma solo frasi nominali: l’azione, in questo testo, è lasciata all’ascoltatore, ammaliato dal tripudio nominale e aggettivale che produce l’effetto di una cantilena il cui ritmo risulta sempre uguale. 

Le “marce svastiche” sono un chiaro riferimento al patto nazi-fascista, preambolo infausto al secondo conflitto mondiale, cui fa da pendant il sostantivo “federali”, quarta carica più importante dello stato fascista.

A metà della strofa si legge “E poi il ritorno in un paese diviso”, allusione alle conseguenze dell’armistizio reso pubblico l’otto settembre 1943, per poi terminare con due versi, costruiti parallelamente e contrassegnati da note fortemente coloristiche, che riportano alla lotta partigiana e ai valori dell’antifascismo. 

I valori della storicizzazione

L’Italia di Aida è un paese bello ma ossimorico e incauto: passando in rassegna la propria storia come se fosse una raccolta fotografica, rammenta gli eventi fausti e infausti del proprio passato recente e remoto, senza tuttavia operare la necessaria storicizzazione e naturale assunzione di ciò che è stato. Italia/Aida sarà pur splendida, ma a causa dell’incapacità di storicizzazione delle pagine più oscure del proprio passato, sarà condannata a riguardarsi indietro e rischiare pericolosi ritorni di fiamma con ideologie grottesche e illogiche.

Giuseppe Sorace

Sono Giuseppe, insegno italiano, e amo la poesia e la scrittura. Ma la scrittura, soprattutto, come indagine di sé e di ciò che mi circonda.

Quando la gastronomia fa la storia: l’Unesco e il cibo italiano

Quando la gastronomia fa la storia: l’Unesco e il cibo italiano

Quando la gastronomia fa la storia: i patrimoni Unesco legati al cibo italiano

Se sono le nostre azioni a determinare chi siamo, allora è altrettanto vero che “siamo ciò che mangiamo”. L’Unesco lo sa e ha inserito questi elementi dell’italianità nella lista dei suoi patrimoni.

I siti patrimonio Unesco nel mondo sono 1.067 e l’Italia, con ben 54 targhe, detiene il primato assoluto superando la Cina e la Spagna. Un record che ci fa onore e che tiene conto di una parte fondamentale della nostra cultura: l’alimentazione. O meglio, la ritualità a essa legata. Ebbene sì, perché non basta una pietanza a far alzare le orecchie all’Unesco, ma tutto il suo contorno. L’Organizzazione annovera in questa lista le tradizioni, le espressioni orali, l’arte e l’artigianato locali che esprimono il genius loci di un determinato angolo del mondo e tutte quelle attività che ne favoriscono l’affermazione, la trasmissione e la conservazione. Azioni umane distintive di un luogo e una cultura, in poche parole. Vediamo allora quali sono le eredità italiane patrimonio immateriale dell’umanità.

L’arte del “pizzaiuolo” napoletano

L’arte del pizzaiolo napoletano era stata oggetto di una petizione nel 2015 e due anni dopo si è conquistata l’ambito riconoscimento. Una tradizione trasmessa da maestro ad apprendista all’interno delle botteghe, oltre che molto diffusa a livello domestico, e che ha una precisa funzione sociale di aggregazione e condivisione. Il sito dell’Unesco sostiene che “la preparazione della pizza alimenta la convivialità e lo scambio intergenerazionale e assume il carattere di spettacolarizzazione con il Pizzaiuolo al centro della bottega mentre mostra la sua arte”.

Sono oltre tremila i pizzaioli attivi oggi a Napoli e Coldiretti stima che l’ingresso dell’arte della pizza nell’elenco delle Nazioni Unite abbia contribuito sensibilmente all’aumento della produzione del fatturato legati a questo prodotto: dopo il riconoscimento Unesco, infatti, si contano 127mila pizzerie rispetto alle 125.300 censite nel 2015.

La coltivazione della vite di Zibibbo ad alberello di Pantelleria

La vite ad alberello è parte integrante del paesaggio tipico dell’isola siciliana di Pantelleria, esattamente come lo sono le spiagge rocciose e i famosi dummusi, le abitazioni in pietra. Diretta conseguenza del clima fatto di sole, vento forte e scarse risorse idriche, la coltivazione della vite dello Zibibbo da cui si ricavano i celeberrimi passiti di Pantelleria segue ancora oggi la tecnica antica ed è celebrata da riti e festeggiamenti che animano l’isola da giugno a settembre.

Il procedimento prevede che lo stelo della vite venga piantato all’interno di una conca e accuratamente tagliato affinché produca sei rami in forma di alberello. Tenuto basso da una buona potatura, questo arbusto viene protetto da terrazzamenti di pietra: la stessa pietra che viene rimossa dal suolo prima della piantagione. Un metodo di coltivazione sostenibile che coinvolge circa 5mila abitanti e che nel 2014 è stato ufficialmente dichiarato patrimonio culturale dell’umanità.

La dieta mediterranea

L’iscrizione all’Unesco della dieta mediterranea, modello alimentare e simbolo della tradizione enogastronomica italiana e non solo, risale al 2013. Oltre all’Italia, la dieta mediterranea coinvolge infatti anche altri Paesi come Cipro, la Croazia, la Spagna, la Grecia, il Marocco e il Portogallo. E oltre al cibo – composto principalmente di grano, pesca e allevamento – l’Unesco riconosce alla dieta mediterranea anche il merito della convivialità. Non è solo ciò che si porta in tavola ad essere importante, quanto lo è invece la modalità con cui viene consumato: mangiare tutti insieme è la base per la creazione di un’identità comune, di una socialità estesa che va oltre le barriere di genere, età e provenienza. La dieta mediterranea enfatizza i valori dell’ospitalità, della vicinanza, del dialogo interculturale e della creatività, e un modo di vivere guidato dal rispetto per la diversità”. In questo caso, quindi, il patrimonio non è nel singolo prodotto, ma nell’esperienza e in quello che porta con sé, compresi il rispetto per la stagionalità degli alimenti e la tutela di usanze e tradizioni artigiane correlate (come, ad esempio, quella della produzione ceramica di piatti e oggetti da cucina).

Langhe-Roero e Monferrato: i paesaggi vitivinicoli del Piemonte

Culla del vino rosso per eccellenza, quest’area conserva ancora oggi il patrimonio della produzione vitivinicola piemontese. Tra i vanti della regione spiccano in particolare il Barolo, il Barbaresco, il Barbera d’Asti e l’Asti Spumante, tutti originali della zona che comprende la Langa del Barolo, il Castello di Grinzane Cavour, le colline del Barbaresco e il Monferrato con i tipici infernòt, locali sotterranei scavati nella roccia arenaria e destinati alla conservazione delle bottiglie. Una concentrazione di tradizione e gusto che trova anche nel paesaggio conferma della sua ricchezza: dolci colline ricoperte di vigne costellate da torri e castelli medievali, l’incontro perfetto tra storia, natura e artigianato.

La città di Parma, prima italiana nella rete delle città Unesco

La rete delle città creative dell’Unesco – divisa nei sette settori culturali di Musica, Letteratura, Artigianato e Arte popolare, Design, Media Arts, Cinema e Gastronomia – è stata fondata nel 2004 con l’obiettivo di incentivare la collaborazione tra i comuni più virtuosi per uno sviluppo urbano sostenibile. Sono settantadue i paesi che rientrano nella rete e l’Italia può contare su due città afferenti all’area della gastronomia, in cui il cibo diventa fattore e motore di impresa e la sua cultura è al centro delle politiche di crescita locale.

La prima è Parma, in un certo senso la patria del cibo italiano patrimonio dell’Unesco. La città emiliana è stata identificata come sede di un’eccellenza e di un patrimonio agroalimentari unici, salvaguardati e raccontati dall’imprenditoria locale. Sono le aziende come Barilla, Mutti, Parmalat e dai vari consorzi del Parmigiano, del Prosciutto e del Culatello a ottenere di recente che fosse proprio Parma la sede del IV Forum dell’Unesco sulla cultura alimentare.

Alba, la città del tartufo bianco e delle nocciole

Anche Alba fa parte del network delle città creative Unesco per la sua ricca tradizione enogastronomica. Tre i prodotti simbolo della capitale delle Langhe:

  • Il tartufo bianco d’Alba, per cui è nota in tutta il mondo e che attira visitatori sia dall’Italia che dall’estero;
  • Le nocciole piemontesi, con cui vengono create numerose specialità locali a cominciare dal gianduiotto fino al torrone, passando per la Nutella;
  • La toma, formaggio tipico delle Langhe che ben si accompagna ai numerosi vini locali, simbolo dell’arte casearia che caratterizza tutta la zona.

Non stupisce, quindi, che la regione in cui sono nate esperienze come quella di Slow Food e dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo sia sinonimo di creatività e innovazione culinaria.

E ora?

La lista dei cibi e delle tradizioni italiane legate all’Unesco non può certo terminare qui. Non a caso, siamo ancora in attesa del verdetto sul prosecco, candidato di recente come possibile Patrimonio dell’Umanità: la bollicina presenterebbe infatti tutti i requisiti per essere inclusa nella lista, grazie alla riqualifica del territorio e all’economia veneta avvenute con il nascere di questa produzione.

Prosecco, ma non solo. È stato avviato anche un progetto per il riconoscimento dell’amatriciana, una delle ricette più dibattute degli ultimi tempi, nonché il faro di speranza per la popolazione colpita dal terremoto tra 2016 e 2017. Lo stesso varrebbe per il caffè espresso, poiché in Italia se ne consumano tre miliardi di tazzine al giorno, la filiera dà lavoro a 10.000 addetti e vale 5 miliardi di euro. Tre realtà che ci rendono orgogliosi di ciò che siamo, ma soprattutto di quello che mangiamo.

di Gaia Rossetti

Boom per il turismo “culturale”, fatturati alle stelle

Boom per il turismo “culturale”, fatturati alle stelle

Boom per il turismo “culturale”, fatturati alle stelle

All’interno di uno scenario globale estremamente positivo (+58% sul 2021), il Vecchio Continente si prende la scena, generando la metà delle entrate totali grazie alla presenza sul territorio di musei, borghi e attrazioni dal fascino intramontabile. I Paesi di punta? Germania e Italia…

Superare la tempesta, mantenendo lo sguardo fisso sull’orizzonte per scorgere nuovi e fruttuosi scenari: ecco ciò che ha fatto il settore del turismo nel corso degli ultimi anni e, stando a una serie di ricerche effettuate sulle principali testate del settore da Espresso Communication per la Fondazione Città Identitarie, uno dei principali traini su cui ha fatto e fa tutt’ora affidamento l’industria turistica globale è la cultura. Le prime conferme in merito giungono dal portale GlobeNewswire, secondo cui l’asset del cultural tourism raggiungerà quota 12 miliardi di dollari di fatturato entro il 2028 dopo aver sfiorato i 5 miliardi nel 2021. Ulteriori informazioni in merito giungono da un approfondimento stilato da Future Market Insights: stando a quanto indicato dal portale, il Nord America, l’Asia orientale e l’Africa sono alcuni dei paesi che favoriscono l’ascesa del mercato sopradescritto, ma l’Europa è la vera e propria capitale del turismo culturale. Technavio si dimostra sulla stessa lunghezza d’onda e afferma che il Vecchio Continente detiene la quota di maggioranza dell’asset perché contribuirà all’ottenimento del 50% delle entrate totali entro i prossimi 5 anni. Questo “traguardo” è dettato dal fatto che il territorio europeo può vantare la presenza di innumerevoli città, musei, borghi e attrazioni dal fascino intramontabile. Tra i principali paesi del territorio europeo, la crescita maggiore si verificherà in Germania e in Italia. A proposito di Bel Paese, le città d’arte sono diventate popolari trend virali sui social: basti pensare che su Instagram la top 3 delle città culturali più gettonate è costituita da Milano (1° con l’hashtag #milano che conta circa 39 milioni di contenuti), seguita da Roma (2° con 36 milioni di contenuti) e Napoli (3° con 21 milioni di post pubblicati), fuori dal podio Firenze con 12 milioni di contenuti e Venezia con quasi 11 milioni. Tik Tok, invece, ribalta la situazione: Napoli 1° con 17 miliardi views, seguita da Roma (2° con 11 miliardi) e Milano (3° con 7,5 miliardi). Non cambia, invece, la situazione di Firenze, che conta 1 miliardo di views, e Venezia, la quale ne vanta circa 980 milioni.

Al di là delle singole metropoli culturali, lo Stato italiano punta alla valorizzazione del propio patrimonio di riferimento attraverso iniziative mirate ed efficaci come i premi, i dibattiti e le attività didattiche organizzate dalla Fondazione Città Identitarie, realtà istituita dal movimento CulturaIdentità per promuovere l’unicità e la storia di tutto ciò che simboleggia il made in Italy. “Non è un caso che il nostro Paese sia una delle eccellenze in termini di turismo culturale – afferma Edoardo Sylos Labini, presidente della Fondazione Città Identitarie e ideatore del movimento CulturaIdentità – L’Italia è un vero e proprio polo di ricchezza sia in termini naturali sia artistici che, però, vanno promossi al meglio: per farlo è fondamentale ripartire dai borghi. In quanto fondazione e realtà fortemente radicata sul territorio, grazie all’adesione di quasi 8mila comuni dello Stivale, promuoviamo la storia, l’arte e la cultura del made in Italy. Con l’utilizzo di un linguaggio contemporaneo, applicato ad un circuito di eventi e festival, raccontiamo l’Italia più piccola, quella più bella, che ad oggi rappresenta circa il 70% dell’intero Stato italiano”.

E la Germania? L’altro Paese del Vecchio Continente che emerge per cultural attraction viene ripreso anche dal sito dell’UNESCO. A questo proposito, i musei della cittadina di Bamberga, per esempio, organizzano corsi di cucina ed eventi gastronomici all’interno delle storiche strutture per avvicinare ulteriormente locali e turisti alla propria storia e bellezza culturale. Per concludere, Outlook Traveller ha realizzato un approfondimento contenente alcune delle migliori attrazioni del territorio tedesco, tra cui la città di Brema, la quale è arricchita dalla presenza di innumerevoli edifici dai tratti rinascimentali, Amburgo, influenzata dalla corrente Art Nuoveau, le opere del Tebel Art Park di Berlino e, infine, il Music Festival di Dresda che prevede una serie di appuntamenti orchestrali con balletti e anche qualche esibizione jazz.

Onlyfans è la pornoroulette del “sessualmente esplicito”: quello che nessuno vi ha detto

Onlyfans è la pornoroulette del “sessualmente esplicito”: quello che nessuno vi ha detto

Onlyfans è la pornoroulette del “sessualmente esplicito”: quello che nessuno vi ha detto

La piattaforma bianca e blu continua a spopolare. L’abbiamo provata per un mese per capire come funziona, quali sono le potenzialità e…quali i rischi

Di Onlyfans se ne parla, riparla, straparla. C’è chi ne parla con il bigottismo figlio dei tempi passati, puntando il dito contro e non spiegando a nessuno come faccia a sapere quali contenuti ci siano (dato che Onlyfans è come Por*hub: tutti ne parlano, ma nella cronologia del telefono l’ha inserito il classico “amico che ti ha preso il telefono”… anche se di amici non ne hai), e chi, invece, da combattente indefesso del “ognuno fa quello che vuole” difende strenuamente i creator, ribaltando la questione sugli utenti: “eh, ma se paghi per vederlo il problema sei tu”.
Insomma, come il 95 per cento delle questioni in Italia, anche Onlyfans è diventato uno scontro tra fazioni. Avremmo voluto fare un paragone con la politica italiana, ma il porno è una cosa seria.

Abbiamo provato Onlyfans per un mese (per voi ovviamente, mica per curiosità personale eh, che cosa non si fa per la scienza?) e, in tutta onestà, siamo rimasti perplessi.

ASPETTATIVE DELUSE

Innanzitutto possiamo dire di essere rimasti un po’ delusi dai risultati. Pensavamo di trovarci di fronte a un Instagramestremo” (con tutte le virgolette e le iperboli del caso) e invece ci siamo trovati in una pornoroulette di bassa lega in cui vieni tempestato di messaggi che più che sexy sembrano un’elemosina osé, una preghiera a un Dio minore che per pochi euro convincerà qualcuno a “sbloccare il contenuto”.

Certo, ogni content creator è un mondo a sé, e lungi da noi la voglia di valutare tutti o fare di tutta un’erba un fascio, ma quello che abbiamo visto, purtroppo, non ci ha permesso di notare particolari differenze…
(Siete dei content creator e volete smentire questo falso mito? Contattateci e vi intervisteremo!)

COME FUNZIONA

La base è semplice (ne abbiamo parlato nel dettaglio qui): ti abboni al canale per una cifra X scelta dal creator e ribassata (in un marketing degno delle offerte di un noto marchio di materassi o divani: l’offerta scade sempre domani) per renderla accattivante e si comincia. Certo, l’offerta è espressa sempre in sterline, per cui quando arriva poi la notifica della banca sul telefono ci si accorge di come quelle innocue 9,99 sterline siano diventate improvvisamente quei meno simpatici 12 euro, ma questo non cambia ai fini della narrazione.

CI SI ABBONA E…

…e se non ti ricordi di disattivare istantaneamente il rinnovo automatico ne hai persi altri 12.
Digressione economica a parte, una volta abbonati si viene tempestati di messaggi in privato, con testi che non lasciano niente all’immaginazione. Tutti sono “amore”, tutti diventano “papi” in un vortice di erotismo che forse andava bene in qualche “playboy mansion” di qualche politico dell’altomilanese, meno sugli smartphone del 2022, dove tutto è “virtualmente” raggiungibile, e tutto diventa estremamente esplicito e… costoso.
Sì, perché cari amici, se pensavate di aver ottenuto il massimo della libido a soli 10 euro al mese vi eravate sbagliato di grosso. Con i 10 euro vi siete guadagnati il diritto ad “affittare” altri contenuti (che in caso di mancato rinnovo diventano inaccessibili) che vi vengono proposti dai creator.
Il “primo step” è solo una versione più “spinta” di Instagram.

CHE COSA SI VEDE
Che cosa si vede? Tutto, se sapete dove cercare. Ogni creator propone il suo “stile”, sta poi a voi scegliere a chi offrire il vostro obolo (frase volutamente ammiccante? Forse). Dal fetish alle pratiche più spinte. Da audionarrative di “che cosa ti farei amore mio” a foto molto più soft. Tutto quello che serve per sollazzare i vostri interessi.
C’è tutto, ma non potete cercarlo. Per trovare un content creator su Onlyfans non basterà cercare il nome e cognome sulla barra di ricerca, ma sarà necessario avere il link preciso per l’accesso, un modo per tutelare al massimo la privacy dei creator ed evitare che questi possano essere al pubblico ludibrio senza saperlo.
Un vantaggio per chi “vuole arrotondare”, un limite enorme per chi cercherà in ogni modo di spammare i propri contenuti. Ed ecco il fioccare di linkinbio, linktree e onlylink, profili creati appositamente con il nome utilizzato su OF su Instagram, Facebook (vorrai mai perdere gli utenti over 35?) Twitter e un sottobosco particolarmente “umido” di gruppi Telegram per gli utenti che vogliono avere sempre sottomano un accesso ai canali.
Insomma: pensavamo fosse una questione semplice: decidi di mostrarti “come mamma ti ha fatt*” ed ecco il denaro. E invece c’è – come si suol dire – dietro un mondo.

NO, NON DIVENTERETE RICCHI METTENDO IL CU*O SU ONLYFANS
E sfatiamo questo falso mito: non basterà “uscire le chiappe” sulla piattaforma bianca e blu per diventare ricchi. Onlyfans è come il liceo: se non sei popolare non è piacevole, ma solo una serie di atroci dubbi sul perché voi abbiate solo 12 followers e il vostro “profilo esempio” ne abbia 1milione e alle sue feste si presenti anche Zac Efron (non è stato citato solo per l’algoritmo di Google, lo giuriamo).
Perché in una selva oscura di contenuti estremi non basterà fare quello che fanno gli altri: dovrete avere fantasia (e anche qualcuno che sappia usare Instagram per aumentare al massimo la vostra visibilità).
Potrete diventare ricchi su OnlyFans? Forse, ma occorrerà del tempo. È conveniente? Certo.
(Leggete l’intervista a dei veri creators di Only Fans: clicca qui)

PERCHÉ PAGARE SU ONLYFANS QUANDO CI SONO SITI GRATUITI?

Ed eccoci al punto fondamentale: perché pagare un contenuto quando se ne trovano identici e gratuiti su altre piattaforme giallonere? L’abbiamo chiesto a un utente, che per ovvie ragioni ha deciso di restare anonimo.
Perché se hai una forte attrazione per una persona in particolare e non c’è su un’altra piattaforma un paio di euro li spendi volentieri. Poi ci sono anche persone che conosci nella vita vera o su Instagram e che vorresti vedere in maniera più “cruda”. E a quel punto OnlyFans è l’unica soluzione...”, ci ha raccontato.

Quanti soldi hai speso su OnlyFans?
C’è stato un mese in cui ho speso 250-260 euro. Seguivo alcuni profili e sul momento mi sono fatto trasportare e ho comprato dei contenuti. Me ne pento? No, è stata una mia scelta, certo che bisogna stare attenti. Se non ci fai caso spendi davvero tanto...

Insomma, Onlyfans non è certamente la fine dell’età dell’oro dell’umanità e noi non faremo discorsi generazionali o bigotti in stile “eh signora mia, le mie generazioni gli annunci li mettevano sui giornali, mica sull’internet” (siamo seri, c’erano gli annunci anche sul televideo delle reti locali e facciamo la morale a chi utilizza i nuovi media?).

Che cosa ci lascia questo mese di prova su Onlyfans, oltre a un portafoglio più vuoto? La sensazione che anche la pornografia abbia perso valore. E, in questo caso, sì: la helldorado della “pornrevolution” degli anni 70 è morta e sepolta. Ogni qualsivoglia valore artistico è stato depauperato, la visione della nudità come libertà si è persa nel vortice del guadagno spiccio.
No, non facciamo la morale a nessuno. Come ogni cosa, anche Onlyfans segue la regola della domanda e dell’offerta: se c’è richiesta, ci saranno contenuti. No, non ci ergiamo a difensori della morale, perché non ci troviamo niente di amorale in questo e perché il nostro “ognuno fa ciò che vuole” è sincero: nessuno deve pontificare con il corpo degli altri o con gli interessi.

Eppure Onlyfans ci preoccupa e ci ricorda davvero una pornoroulette. Un meccanismo in cui, tra “arrapamento” del momento e una carta collegata al conto si rischia seriamente di entrare in una pornodipendenza molto pericolosa. Tutto è a portata di click in qualunque momento della giornata. Vedremo la sindrome ludopatica del videogiocatore applicata a Onlyfans? Probabilmente no. Speriamo di no. Ma nel dubbio: dopo “bevi responsabilmente” potremmo suggerire anche un nuovo invito: “********** responsabilmente”.
Che cosa resterà di questa nostra esperienza sulla piattaforma bianca e blu? Solo una domanda: ma perché lasciate il telefono in mano ai vostri amici il sabato sera se sapete che poi lo usano solo per visitare questi siti e mettere like molesti su Instagram a perfette sconosciute?

Mistero.

Francesco Inverso

Quando scrissi la prima volta un box autore avevo 24 anni, nessuno sapeva che cosa volesse dire congiunto, Jon Snow era ancora un bastardo, Daenerys un bel personaggio, Antonio Cassano un fuoriclasse e Valentino Rossi un idolo. Svariati errori dopo mi trovo a 3* anni, con qualche ruga in più, qualche energia in meno, una passione per le birre artigianali in più e una libreria colma di libri letti e work in progress.
Sbagliando si impara…a sbagliare meglio.

Corto Maltese: uscirà una serie tv prodotta da Frank Miller

Corto Maltese: uscirà una serie tv prodotta da Frank Miller

Corto Maltese: uscirà una serie tv prodotta da Frank Miller

Studiocanal ha annunciato la produzione di sei episodi basati sulle storie originali di Hugo Pratt.

Studiocanal, società di produzione e distribuzione a livello mondiale (6500 titoli di film in portafoglio, oltre 200 ore di serie tv prodotte all’anno e più di 30 film prodotti e finanziati), ha annunciato la nuova serie tv “Corto Maltese”, basata sulle storie originali di Hugo Pratt, creata, scritta e prodotta da Frank Miller, tra i più influenti e visionari autori dell’industria dello spettacolo, scelto per sviluppare i sei episodi della prima stagione.
FONTE AGI

 

La serie avrà come produttore esecutivo Jemma Rodgers (premio BAFTA per “The Railway Children Return”) della Red Production, società di produzione inglese acquisita da Studiocanal nel 2013 con la supervisione di Ron Halpern (Evp Global Production) e di Francoise Guyonnet (Executive Managing Director tv) di Studiocanal.

Studiocanal ha opzionato i diritti di Corto Maltese e sta sviluppando la serie tv con Frank Miller come creatore, scrittore e produttore esecutivo. Silenn Thomas (“300”, “Sin City: a Dame to Kill For”) Ceo della sua società di produzione, la Frank Miller Ink, sarà anche lei produttore esecutivo.

Patrizia Zanotti, managing director di CONG, la società che cura tutti i diritti dell’opera artistica di Hugo Pratt e storica collaboratrice del disegnatore veneziano ha dichiarato: “Hugo Pratt ha sempre apprezzato il lavoro di Frank Miller tanto da pubblicare le sue storie a fumetti sulla rivista Corto Maltese nel 1988. Sia Pratt che Miller sono allievi di artisti classici americani come Milton Caniff, con il loro uso di ombre, inchiostri importanti e pennellate audaci. Chi meglio di Frank Miller può reinterpretare il mondo di Hugo Pratt dopo tutti i personaggi e i mondi che il leggendario creatore ci ha portato?“.

Aggiunge Frank Miller: “Ho trovato da ragazzo, per la prima volta i libri di Corto al Forbidden Planet di New York. Poi, durante i miei viaggi, ho scoperto una nuova edizione in una libreria a Roma. L’opera d’arte era così espressiva e così audace che era come se saltasse fuori dalla semplice carta da giornale. Mi ha spazzato via in una specie di uragano. Era pieno di magia e avventura romantica. Per me era come se mi mostrasse il potere del fumetto dove la lingua diversa non rappresentava una grande barriera. Da allora sono diventato un fan di Corto Maltese”.