“1984”: lo sguardo visionario di George Orwell applicato al 2023

“1984”: lo sguardo visionario di George Orwell applicato al 2023

“1984”: lo sguardo visionario di George Orwell applicato al 2023

Manipolazione dell’opinione pubblica, guerra atomica, l’invadente e costante sguardo di The Big Brother, nessuna libertà e il rischio costante di commettere uno “psicoreato”. Se George Orwell avesse potuto dare uno sguardo ai tempi moderni, li avrebbe forse considerati un inveramento della sua profezia?

Un romanzo distopico 

1984 è un romanzo distopico scritto da George Orwell nel 1949. La vicenda narra di un mondo diviso tra tre grandi potenze continentali, in piena guerra atomica. L’Oceania è la sede dei maggiori ministeri, ma è tutto tranne che un paese libero. Qui domina un unico partito, capeggiato dal non meglio identificato Big Brother, nessuna libertà è concessa ai suoi sottoposti cittadini. Telecamere ovunque e schermi che diffondono a ogni ora del giorno le notizie della propaganda di partito, la conversione forzata dei dissidenti all’ideologia dominante, la censura della storia e della libertà di pensiero, due minuti d’odio concessi al popolo per sfogare la propria rabbia e una newspeak, una nuova lingua, in cui sono consentiti solo termini dal calibrato significato.

Cosa c’è di simile alla nostra epoca? Tanto, forse tantissimo. Tre sono gli slogan dell’unico partito: La guerra è pace, La libertà è schiavitù, L’ignoranza è forza.

Cos’è la libertà? 

Riletto in chiave metaforica, sembra il dipinto della nostra società, certo di molti suoi aspetti. Primo tra tutti l’esportazione della pace attraverso la guerra e le armi, sottoposti a dinamiche di geopolitica che vogliono i paesi, perlopiù occidentali, come degli “esportatori di pace”, una pace che richiede armi, guerre, morti, genocidi, distruzioni e che spesso cela interessi economici, di risorse energetiche, molto poco umanitarie, accrescendo solo l’odio reciproco tra potenze in centenario conflitto.

La libertà, cos’è la libertà? Varrebbe la pena chiedersi in cosa siamo davvero liberi. Quanto la nostra strada, il nostro futuro, le nostre scelte e il percorso della nostra vita non rientrino in un precostituito schema sociale replicato a piccole variazioni su tutti i membri di una società guidata dal consumismo, dallo scarto e dall’opulento?

È l’ignoranza a tenere le masse soggiogate in una disinformazione dilagante, fake news, informazione parziale, orientamenti di partito e logiche di potere che descrivono gli avvenimenti non per la loro oggettività ma nella luce sotto la quale li si vuole mostrare. Una bulimia di notizie che è tutta attuale e che scandisce le dinamiche sociali e storiche in una bipartizione in buoni/cattivi che è l’emblema del pensiero acritico dilagante.
Nessuna riflessione, nessun invito al pensiero, ma notizie da un mondo dove chi sta dalla parte dei giusti è già stato decretato, si tratta solo di decidere se mettersi dalla parte dei conformati o dei dissidenti emarginati.

Qual è la posizione corretta? Forse non c’è, forse la vera libertà di pensiero tanto propagandata dall’occidente democratico, dovrebbe proprio essere una possibilità di libera scelta in cui l’espressione di un’opinione non istituzionale, non venga necessariamente bollata come “eversiva” e segretamente pericolosa, ma venga ascoltata, indagata e integrata.

La censura della storia è l’ignoranza

Davanti a schermi di televisori, cellulari, computer, invitati (e in realtà costretti) a vedere solo quello che si vuole venga mostrato, quanto davvero possiamo esprimere la nostra opinione senza che un post non venga segnalato e un commento cancellato? È un invito alla rivoluzione? No, alla riflessione.

La censura della storia è l’ignoranza, la dissoluzione della cultura e del passato in nome di una società fondata sul denaro come strumento principale di scambio sociale. La dimensione dell’umano passa in secondo piano e le rivendicazioni sociali riconosciute sono solo quelle che non cambiano nulla nei fatti ma permettono di scrivere gonfi slogan pieni di belle parole.

La conversione all’ideologia non è un lavaggio del cervello in una camera di tortura, come avviene per Smith, il protagonista del romanzo di Orwell, ma l’emarginazione sociale che comporterebbe una libera espressione. I due minuti d’odio concessi al popolo sono tanto simili ai novanta minuti trascorsi in uno stadio a scambiarsi cori d’odio e di razzismo invece che godere di uno sport che dovrebbe unire.

La comunicazione e la lingua vengono private delle loro sfumature semantiche e ridotte a una fredda conversazione via chat. Boomer sono quelli che non comprendono la comunicazione dei nuovi media, che ingrigisce le sfumature del linguaggio, svuota di senso le parole e con esse la capacità di espressione di sé.

Quale direzione sta dunque prendendo l’uomo contemporaneo? Quale margine di azione effettiva gli rimane?

Martina Tamengo

U. Eco una volta disse che leggere, è come aver vissuto cinquemila anni, un’immortalità all’indietro di tutti i personaggi nei quali ci si è imbattuti.

Scrivere per me è restituzione, condivisione di sè e riflessione sulla realtà. Io mi chiamo Martina e sono una studentessa di Lettere Moderne.

Leggo animata dal desiderio di poter riconoscere una parte di me, in tempi e luoghi che mi sono distanti. Scrivo mossa dalla fiducia nella possibilità di condividere temi, che servano da spunto di riflessione poiché trovo nella capacità di pensiero dell’uomo, un dono inestimabile che non varrebbe la pena sprecare.

Una questione privata: l’amore che muove all’azione

Una questione privata: l’amore che muove all’azione

Una questione privata: l’amore che muove all’azione

Una questione privata è un romanzo pubblicato nel 1963, dopo la morte dello scrittore che lo ha concepito, Beppe Fenoglio. Ambientato negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale, racconta la Resistenza senza esplicitarla. L’amore di Milton per Fulvia attraversa tutto il romanzo, e spinge il giovane partigiano a risolvere la propria questione privata.

Tutti abbiamo una questione privata da risolvere in mezzo al tempo che passa, a problemi più grandi, a una vita che scorre senza sosta. E per quella piccola questione privata saremmo capaci di mettere da parte tutto il resto, ormai sbiadito se confrontato a un amore perduto, a un tradimento subìto, a un’ossessione che ci divora. Tutti siamo stati, siamo o saremo Milton, ma senza lo sfondo atroce della guerra.

Milton ama Fulvia, e noi Fulvia la conosciamo soltanto tramite le parole di Milton. Fa parte di un passato che ci viene raccontato a posteriori, che non esiste più perché spezzato da un periodo storico che non lasciava spazio all’amore e alla spensieratezza di una giornata di sole. Eppure, siamo lettori di un romanzo che racconta la Resistenza senza esplicitarla. Ecco dove risiede la straordinarietà delle parole di Beppe Fenoglio.

L’amore muove all’azione, spinge la mente e il corpo ad agire, a lasciarsi tutto alle spalle pur di stargli dietro. Ci trasforma continuamente, ci costringe a guardarci allo specchio senza riconoscere l’immagine riflessa. Ci travolge e noi, inermi di fronte a una tale forza, lo seguiamo, lo impersoniamo e lo veneriamo come se fosse il nostro Dio. E se quell’amore è perduto, messo in dubbio o attraversato da una viscerale gelosia, nient’altro conta più al mondo.

La guerra, la Resistenza, le armi, la sofferenza, cosa sono per Milton quando il nome di Fulvia gli bagna le labbra, quando qualcuno insinua nella sua mente il dubbio? Niente, forse soltanto un impedimento, un ostacolo che è pronto ad affrontare, pur di scoprire, di trovare una risposta. Leggiamo insieme l’incipit.

La bocca socchiusa, le braccia abbandonate lungo i fianchi, Milton guardava la villa di Fulvia, solitaria sulla collina che degradava la città di Alba.

Il nome di Fulvia è subito presente, e già dall’inizio ci accorgiamo dell’importanza che riveste nella vita di Milton. Ne ricorda l’infinita bellezza, contrapposta al proprio aspetto; egli viene descritto, infatti, come un ragazzo brutto, alto e magro. Ricorda i momenti trascorsi insieme, i posti che ne facevano da sfondo e i loro dialoghi. Ricorda un prima, spezzato da un dopo che rappresenta ancora il presente. Cosa è stata la guerra se non questo? Una rottura con la vita di tutti i giorni, con gli amori imperfetti, con le amicizie intense, le passeggiate prive di paura. E con una punta di nostalgia, il narratore del romanzo ci restituisce quei ricordi:

«No, non sei splendida».
«Ah, non lo sono?»
«Sei tutto lo splendore».
«Tu, tu, – fece lei, – tu hai una maniera di mettere fuori le parole… Ad esempio, è stato come se sentissi pronunziare splendore per la prima volta».
«Non è strano. Non c’era splendore prima di te».

Come si fa a non amare i loro dialoghi, le parole che Milton le riserva e le risposte di Fulvia, lusingata e sorpresa. È un passato che ci manca anche solo leggendone i ricordi. Al di là dell’epoca in cui viviamo, se ci sia la guerra o meno, quel sentimento folle e imperfetto rimane lo stesso. Ecco perché riusciamo a comprendere Milton e Fulvia. E siamo in grado di capire perché egli ha bisogno di trovare Giorgio, il suo amico più caro.

Milton va nella casa in cui Fulvia, che non vede da più di un anno, ha vissuto per un breve periodo, e rischia anche di essere catturato. È in questa casa che i ricordi ritornano, ancora più vividi e chiari. Qui incontra la custode della villa, che trasforma i pensieri del ragazzo, insinua nella sua mente un dubbio che attraverserà tutto il romanzo e muoverà le sue azioni. La custode racconta di Fulvia e Giorgio, alludendo a un legame tra i due mentre Milton era soldato. Gli rivela che erano sempre insieme, fino a tarda sera.

Era entrato per raccogliervi ispirazione e forza e ne usciva spogliato e distrutto.

Spogliato e distrutto”, come chi ha riposto la propria forza in una persona, in mezzo a un’immensa sofferenza, e ha ritrovato una più grande debolezza. Fulvia era il ricordo felice di un passato sereno, ora Milton non sa più niente. Ha bisogno di sapere, di ottenere delle risposte, di trovare Giorgio. Non esiste più nulla, neppure la guerra, tutto si confonde e svanisce di fronte a una forza maggiore. Siamo fragili quando amiamo, quando qualcun altro ci mette in discussione. Ci sentiamo esposti a un pericolo astratto, che non possiamo toccare con mano, ma che possiamo solo sentire. Vogliamo conoscere le ragioni di un’emozione, risolvere un ossimoro che non riusciamo a capire. Vogliamo che l’altra persona ci guardi come noi guardiamo lei, e vogliamo che nessuno la guardi nello stesso modo.

La guerra è l’ostacolo di tutti quanti. La guerra diventa l’ostacolo personale nella vita di Milton, che vuole risolvere ad ogni costo la sua questione privata, e tutto il resto non gli importa. Ecco, l’amore…

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Capodanno 2023: un nuovo punto fermo in questo eterno divenire… – L’EDITORIALE

Capodanno 2023: un nuovo punto fermo in questo eterno divenire… – L’EDITORIALE

Capodanno 2023: un nuovo punto fermo in questo eterno divenire… – L’EDITORIALE

Perché nelle notte più buie cerchiamo disperatamente una luce. E il 2022 ci ha regalato una flebile fiammella di una candela…
Il discorso di fine anno di cui non sapevi di avere bisogno, ma che non ti meriti.

Ed eccoci a una nuova fine di un altro anno. Un momento di cui tutti – per quanto non ci piaccia ammetterlo – abbiamo bisogno. Ne abbiamo disperatamente bisogno. Come abbiamo bisogno di Sanremo (la settimana dell’anno in cui possiamo sfogare la nostra frustrazione: insultando il presentatore di turno o insultando chi insulta il presentatore di turno, in un meccanismo tremendamente “Inception”).  Perché un anno che si chiude è un momento per tirare una riga e fare i conti, un momento per ricaricare le pile e ripartire. E no, non è una questione solo di ferie e di riposo. È la necessità di mettere un punto in questo eterno divenire.

Se volessimo usare una locuzione abusata e violentata dalla retorica web degli ultimi anni potremmo definire il 1 gennaio 2023 come un “punto di ripartenza”. Perché fermarci non ci siamo mai fermati, anche se fatichiamo a rendercene conto: ci si muove sempre, si cambia e si vive anche seduti sul divano, con una copertina sulle ginocchia, un occhio alla televisione e un calice di vino in mano (scelta accuratamente dalla nostra Top dei vini del 2022, perché autocitarci ci piace parecchio, ndr.). Tirare le somme, spegnere il cervello per una sera e ripartire con i postumi dell’ennesimo anno passato.

2022
E questo 2022 merita davvero che gli venga tirata un spessa riga sopra. Un annus horribilis che ci ha tormentati, messi alla prova, spinti a guardare nuovamente il nostro futuro con pochi punti fermi e tanti punti di domanda. I venti che hanno soffiato dal nordest ci hanno sussurrato parole che mai avremmo voluto sentire. Venti freddi, gelidi. Venti di guerra tanto vicini a marzo e adesso finiti in un mare dolce di dimenticanza, perché sembra che ci si abitui a tutto, anche alla morte (degli altri specialmente). Venti che adesso sembrano una brezza che infastidisce, ma non un uragano. L’uragano sono l’aumento delle bollette e il caro elettricità. Quello sì che fa male. La morte degli altri, invece, sembra quasi tollerabile.

Venti di guerra, postumi pandemici, i Jalisse fuori da Sanremo. Ma le difficoltà non dovevano esaurirsi il 31 dicembre 2020? No. Lo speravamo, ma lo sapevamo. Non è vero che “va sempre peggio”, ma molto spesso abbiamo troppe aspettative per quello che, in fondo, non è altro che un foglio di carta che viene girato, un numero che aumenta progressivamente. Che cosa cambia da un anno all’altro? Solo una cifra, ma a volte ce lo dimentichiamo.

Gli eventi peggiori dell’anno li abbiamo riassunti in questo articolo firmato dalla nostra Martina Tamengo, ma questo 2022 ci ha lasciato anche qualcosa di positivo, una – seppure molto piccola – rinascita e un ritorno alla normalità. Siamo tornati a saltare ai concerti, a goderci un film al cinema. Siamo tornati a mettere play alle nostre vite, nonostante tutte le accortezze che un inverno post pandemico ci può lasciare. Abbiamo ricominciato a guardarci sorridere e non più solo a immaginarli sotto una mascherina, con in mano un pacco di pane e i minuti contati.
È vero: non possiamo considerare il 2022 come un anno positivo, specialmente alla luce del conflitto russo-ucraino e quella costante sensazione di essere su una pentola a pressione pronta a esplodere. Non è positivo, ma è stato un modo per ricominciare.

Perché nelle notte più buie cerchiamo disperatamente una luce. A volte non si trova, ma non dobbiamo mai smettere di cercarla. E il 2022 ci ha regalato una flebile fiammella di una candela. Perché il meglio non ce lo regala il calendario, ma la voglia di fare un passo avanti verso l’uscita.

Che cosa ci aspettiamo dal 2023? Beh…ditecelo voi. La lezione “Paolo Fox e l’oroscopo del 1 gennaio 2020” l’abbiamo imparata. Col ca**o che facciamo previsioni.

Francesco Inverso

Quando scrissi la prima volta un box autore avevo 24 anni, nessuno sapeva che cosa volesse dire congiunto, Jon Snow era ancora un bastardo, Daenerys un bel personaggio, Antonio Cassano un fuoriclasse e Valentino Rossi un idolo. Svariati errori dopo mi trovo a 3* anni, con qualche ruga in più, qualche energia in meno, una passione per le birre artigianali in più e una libreria colma di libri letti e work in progress.
Sbagliando si impara…a sbagliare meglio.

Alina Gorlova: regista sotto le bombe

Alina Gorlova: regista sotto le bombe

Alina Gorlova: una regista che resiste sotto le bombe

Pordenone Docs Fest assegna uno speciale Premio IMAGES OF COURAGE 2022 alla regista ucraina Alina Gorlova, che resiste sotto le bombe a Kiev e racconta il conflitto…

Dai suoi profili social, la regista ucraina Alina Gorlova, molto celebrata per i lavori dedicati alla guerra in Donbass, ha lanciato un appello per una raccolta fondi e il festival Pordenone Docs Fest – Le voci del documentario ha deciso immediatamente di rispondere, rilanciando il suo appello in tutta Italia e impegnandosi sin da subito per la popolazione ucraina.
Il sostegno del festival si concretizza con la consegna ad Alina Gorlova, come contributo alla raccolta fondi, di uno speciale Premio Images of Courage 2022. Gorlova si è messa a disposizione per il reperimento di beni di prima necessità, che in città stanno scarseggiando. Il festival aveva precedentemente invitato la filmaker, una delle più brillanti e premiate documentariste contemporanee, a far parte della Giuria del festival (6-10 aprile). La regista ha scelto di rimanere nella sua città, Kiev, in questo momento difficilissimo per il suo Paese, per aiutare la popolazione, usando la sua posizione per intercettare anche contributi dall’estero, e continuare a raccontare e documentare il conflitto.

Restando a Kiev, oggi mi rendo pienamente conto della catastrofe umanitaria in città e in molte altre città e paesi. Da quando è iniziata l’invasione, cerco qualcosa di utile da fare: consegno medicinali, alimentari e prodotti igienici a casa delle persone più bisognose”, scrive Gorlova. “Ma qui manca quasi tutto: benzina, cibo, medicinali. Spesso le consegne da fuori arrivano in ritardo o sono inaccessibili a causa del coprifuoco. Ci sono file enormi nei negozi. Siamo nel panico. Inviate donazioni se volete aiutarci“.

Svincolandosi dalle logiche festivaliere e volendo fare la propria parte in un contesto globale sempre più difficile, tra persone in fuga dai bombardamenti e una vita che si sta rivelando sempre più difficile anche per chi ha deciso di restare, Pordenone Docs Fest – Le voci del documentario devolve uno speciale premio in denaro a una regista che ha scelto di rappresentare il suo coraggio non solo attraverso le immagini, ma mettendo concretamene la sua vita in pericolo per sostenere il suo paese e il suo popolo.

Il festival invita dunque il pubblico a sostenere a sua volta l’iniziativa partecipando alle donazioni: le coordinate di Alina Gorlova, come da suo appello, saranno postate sui social network della manifestazione.

La giovane regista, classe 1992, ha vinto alcuni dei premi più importanti al mondo per il documentario, con una filmografia tutta dedicata al conflitto ucraino, iniziato in realtà nel 2014. Il festival, che dedicherà a Ucraina/Russia un focus, proporrà alcuni dei titoli più significativi di Alina Gorlova, in particolare il magnifico This Rain Will Never Stop, vincitore nel 2020 e 2021 – fra gli altri – dei principali premi al’IDFA di Amsterdam, al Festival dei Popoli di Firenze, al Festival di Belgrado: un doloroso documentario che ricostruiva la già drammatica situazione nel Donbass, che diventa – paradossalmente – luogo di rifugio del protagonista curdo, in fuga dalla Siria: percorre campi di accoglienza e un susseguirsi di terre di nessuno, incontrando i destini comuni di persone solamente alla ricerca della pace. Ed è con queste immagini negli occhi che il festival Pordenone Docs Fest aveva deciso di invitarla, rinsaldando così il suo rapporto con una terra – e i suoi travagli – che già aveva indagato in passato, come dimostra il Premio della Giuria (in quell’edizione composta dal direttore della fotografia Luca Bigazzi, dalla regista prematuramente scomparsa Valentina Pedicini e dallo storico e critico del cinema Federico Rossin) nel 2019, conferito al film The Distant Barking of Dogs di Simon Lereng Wilmont, la storia di Oleg, bambino ucraino di soli 10 anni, ostaggio di una guerra sconosciuta ai più, ma tremendamente presente nella sua vita.

La guerra alla vodka: l’Occidente contro la Russia

La guerra alla vodka: l’Occidente contro la Russia

La guerra alla vodka: l’Occidente contro la Russia

Tra le tante reazioni di condanna e di boicottaggio delle merci russe, arriva anche la guerra alla vodka

Proseguono le reazioni dell’Occidente all’intervento militare russo ai danni dell’Ucraina. Dopo le sanzioni economiche e la “guerra” agli oligarchi, dopo i boicottaggi e dopo l’estromissione della Russia da quasi ogni competizione sportiva, adesso è il turno della Vodka. Il popolare superalcolico, infatti, sta registrando un netto calo nelle vendite e nelle esportazioni dopo lo scoppio del conflitto, soprattutto negli Usa.

Negli Stati Uniti, per esempio, sono stati gli stessi governatori di diversi Stati a dare indicazioni in prima persona per dare seguito al boicottaggio dei prodotti russi. Il New York Times riporta alcuni esempi.

Nel New Hampshire, ad esempio, dove liquori e vino sono venduti da negozi statali, il governatore ha annunciato la rimozione degli alcolici russi fino a nuovo avviso. Anche il governatore dell’Ohio, dove lo stato stipula contratti con aziende private per la vendita di liquori, ha annunciato l’interruzione di acquisti e vendite statali di Vodka russa. In Virginia è stata richiesta la rimozione di vodka russa e qualsiasi altro prodotto russo dai quasi 400 negozi statali dell’Autorità per il controllo delle bevande alcoliche.

Un’iniziativa sicuramente comprensibile (sul condivisibile ne possiamo parlare, ma scegliamo di non inserire considerazioni etiche), ma che difficilmente sarà efficae. Come afferma il New York Times: “il boicottaggio della vodka russa potrebbe essere più simbolico che strategico”.
Su 76,9 milioni di casse di vodka da nove litri (secondo i Distilled Spirits Council USA), il peso della vodka russa non è rilevanta. Il NYT riporta infatti i dati del 2017, registrando che la vodka russa importata negli Stati Uniti rappresentava poco più dell’1 per cento.

Thrillist ha riferito che la Francia – le cui vodka includono Grey Goose, Cîroc, Gallant e MontBlanc – rappresentava circa il 39 per cento del valore totale delle importazioni di vodka, la maggior parte di qualsiasi altro paese. La Svezia, con vodka come Absolut e DQ, rappresentava circa il 18 per cento. Gli altri principali importatori sono stati i Paesi Bassi (17 per cento), la Lettonia (10 per cento), la Gran Bretagna (5 per cento) e la Polonia (5 per cento)”.

E IN ITALIA?

Anche nel nostro Paese stanno arrivando diverse condanne alla guerra e relativi boicottaggi alle merci russe, come, per esempio, la Bernabei, una enoteca di cui riportiamo uno stralcio del comunicato stampa.

La Bernabei SpA condanna inequivocabilmente l’azione militare in Ucraina e comunica di aver rimosso con effetto immediato dal proprio portale online tutti gli alcolici di fabbricazione e marca russa. Nonostante tali etichette (principalmente Vodka) rappresentino circa il 25% del fatturato della categoria di riferimento, in un periodo storico simile, le valutazioni sulle performances devono necessariamente lasciare spazio al valore etico più alto del ripudio di un conflitto bellico. Non c’è posto per la guerra, tantomeno su Bernabei.it”.