Tokyo: un’installazione per il mondo iperconnesso

Tokyo: un’installazione per il mondo iperconnesso

Tokyo: un’installazione per il mondo iperconnesso

Nella Capitale giapponese apre “Wirescapes: connessi con il tessuto urbano”, si è tenuta una mostra d’arte di ByLUDO e Toto Tvalavadze che utilizza lo spazio come una tela per visualizzare la complessità della vita urbana ormai legata a quella digitale…

“Wirescapes: connessi con il tessuto urbano” è una mostra d’arte di ByLUDO e Toto Tvalavadze con mixed-media che utilizza lo spazio come una tela per visualizzare la complessità della vita urbana iperconnessa. La mostra si è tenuta a Tokyo dall’11 al 20 novembre. L’installazione combina fotografie di strada e materiali tecnologici riciclati, mostrando modi creativi di unire e mescolare diverse discipline.

Tutto parte dalla presa di corrente della galleria UNTITLED Space, fonte di energia e punto di partenza del viaggio attraverso cavi elettrici che collegano fotografie con scorci urbani giapponesi.

Mentre le persone spesso ricercano la solitudine e la calma in una grande metropoli, Wirescapes dimostra come una città collegata ci aiuti a scoprire nuove prospettive, a lasciare un segno positivo o persino a creare una nuova connessione che ispirerà gli altri.

Una iperconnessione che, numeri alla mano, sta cambiando il nostro mondo.

Nel nostro mondo iperconnesso, anche un piccolo cambiamento provoca un effetto a catena sul tessuto urbano, amplificando il potere delle decisioni individuali. Se le nostre azioni promuovono uno stile di vita sostenibile ed etico, avranno un impatto su una comunità più ampia e, di conseguenza, su una parte più significativa della città.

Wirescapes è il risultato di una connessione inaspettata ed unica che, per ironia della sorte, è solo possibile in un grande contesto urbano. Due personalità eccentriche – l’architetto e desiner italiano, Ludovica Cirillo, dedita alla sostenibilità, e l’ingegnere del software georgiano, Toto Tvalavadze, con una passione per la fotografia – si sono incrociate a un picnic per ammirare la fioritura dei ciliegi nel cuore di una città di 37 milioni di persone. Crediamo nelle connessioni casuali – dicono – perché “non puoi collegare i punti guardando avanti; puoi collegarli solo guardando indietro”. Ogni punto è l’inizio di una nuova connessione.

 

René Magritte: l’arte non copia la natura

René Magritte: l’arte non copia la natura

René Magritte: l’arte non copia la natura

René Magritte, esponente del movimento surrealista, nasce a Lessines, in Belgio, il 21 novembre 1898; conobbe una grande fortuna nella seconda metà del XX secolo, soprattutto in campo grafico e pubblicitario.

René Magritte fu un insigne esponente del movimento surrealista europeo. L’esperienza surrealista trae la propria necessità dall’interpretazione fenomenica del primo Novecento: il locus horribilis fra le due guerre sfugge ad ogni esegesi positivista; un positivismo quasi del tutto esaurito alle soglie degli anni Venti, spazzato via con virulenza, dopo che la guerra di trincea abbatté ogni certezza dell’uso della ragione. 

André Breton e il manifesto surrealista

Nel 1924 André Breton, poeta, romanziere e teorico venuto a conoscenza della teoria psicoanalitica di Freud, firma e pubblica il Manifesto del Surrealismo, nel quale si legge:

Surrealismo, sostantivo maschile. Puro automatismo psichico attraverso cui si intende esprimere verbalmente, con la scrittura o attraverso qualsiasi altro metodo, il vero funzionamento della mente. È il dettato del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di là di ogni preoccupazione estetica o morale. (…) Il Surrealismo è basato (…) nell’onnipotenza del sogno, nel gioco incontrollato del pensiero.

Il cuore dunque del movimento surrealista risiede nella negazione del primato della ragione dogmatica, di una ragione che intende chiarificare e giustificare il reale. Di conseguenza, ogni aspetto dell’irrazionale, dell’illogico, dall’automatismo al gioco, dal caso all’assurdo, vengono assunti ad aspetti cardini dell’esistenza e dell’espressione. 

Il movimento surrealista rintraccia nelle figure di Rimbaud e di De Sade, in letteratura, e di Bosch, Arcimboldo e Füssli, in campo strettamente artistico, i precursori e anticipatori, e annovera fra le proprie fila una schiera eterogenea di teorici e artisti, fra i quali Max Ernst, Salvador Dalì, Joan Mirò, Louis Aragon, Raymond Queneau; nonché René Magritte.

René Magritte fra le due guerre

René Magritte è con ogni probabilità il surrealista che ha avuto un maggior successo di pubblico. Tranne un breve periodo di permanenza a Parigi, fra il 1927 e il 1930, durante il quale ebbe la possibilità di fraternizzare e litigare con André Breton, Magritte passò la maggior parte della sua vita a Bruxelles, ben adattandosi ad uno stile di vita borghese. 

I vari manuali di storia dell’arte non mancano di segnalare il suicidio della madre come esperienza capitale della sua esistenza: quando Magritte aveva quattordici anni la madre si suicidò e venne trovata annegata nelle acque del fiume Sambre, un affluente della Mosa, con una camicia da notte avvolta al viso. E a ben vedere, nelle opere di Magritte ritornano con insistenza alcune figure femminili non solo associate all’acqua, ma anche avvolte da panni, come ne Les amants (Gli amanti, 1928) e L’histoire centrale (La storia centrale, 1928). 

Si formò principalmente in Belgio, dove poté sviluppare un certo piacere nell’associare l’umorismo al macabro. Le sue opere, che ebbero particolare risonanza nel Secondo dopoguerra, sono testimoni della contrapposizione fra consueto e assurdo, spesso a vantaggio di quest’ultimo, del trionfo della dimensione onirica che perturba e capovolge, dello stupefacente che deride il reale borghese.

Ceci n’est pas une pipe

Tuttavia, il contributo, forse, più importante di Magritte resta la serie di opere nelle quali si legge Ceci n’est pas une pipe, la prima delle quali è stata intitolata L’uso della parola I

Se Ferdinand De Saussure scrisse che il legame fra un significato, e cioè l’oggetto designato, e un significante, ossia l’elemento formale del significato, sono legati da un rapporto del tutto arbitrario, Magritte pare voglia esasperare, se non dissolvere l’arbitrarietà e negare il legame tra pensiero, parola e rappresentazione. 

Se si pensa, ad esempio, a una farfalla, saremo portati a rintracciarla nella realtà in qualità di insetto con due ali relativamente fragili e colorate. E allo stesso modo, qualora si volesse rappresentarla, ci si sforzerebbe di riprodurne la forma alla quale i nostri sensi sono avvezzi. Sarebbe difficile scambiare una farfalla per un’ape. 

Eppure Magritte non è d’accordo: in L’uso della parola I sotto ad una elementare pipa vi è la scritta Ceci n’est pas une pipe (questa non è una pipa). Secondo l’artista belga l’arte pura non ha nulla a che fare con la realtà, ma con il pensiero. Se io disegno una pipa, non è scontato che il mio pensiero abbia proprio inteso ciò che comunemente viene accettato come pipa. La pipa, quella che si utilizza quotidianamente, è una cosa; la pipa che il pensiero intende e che l’arte rappresenta, è un’altra. L’uso della parola I prende di mira una convenzione accettata universalmente: l’arte ha valore nella misura in cui rappresenta o si ispira al reale. Non importa se i muscoli di un Eracle saranno esagerati e disumani: si riconosce sempre la forma umana. 

L’arte non copia la natura

Magritte rigetta questa convinzione, affermando che l’arte non copia la natura o il reale, né tantomeno ricerca tale imitazione: l’arte è un codice, usa un linguaggio convenzionale, come la scrittura; e come tale, rivendica una sua autonomia dal reale e dal quotidiano. La pipa rappresentata, quindi, non afferisce al reale, ma è un prodotto del pensiero. 

La radicale mancanza di legame tra pensiero, parola e rappresentazione strappa un sorriso se si pensa alla polisemia della parola “pipe”, che in francese non traduce solo “pipa”, ma anche “tubatura” (tuyau), nonché una variante gergale e dimessa di fellatio.

Giuseppe Sorace

Sono Giuseppe, insegno italiano, e amo la poesia e la scrittura. Ma la scrittura, soprattutto, come indagine di sé e di ciò che mi circonda.

Tierra, la nuova mostra di Galindo al PAV di Torino

Tierra, la nuova mostra di Galindo al PAV di Torino

Tierra, la nuova mostra di Galindo al PAV di Torino

È stata inaugurata al PAV Tierra, la mostra personale dell’artista Regina José Galindo, artista guatemalteca che da più di vent’anni indaga il tema della giustizia sociale attraverso pratiche performative il cui baricentro espressivo si situa nella relazione tra il corpo e l’ambiente…

Venerdì 4 novembre 2022, nella cornice di Artissima, è stata inaugurata al PAV Tierra, la mostra personale dell’artista Regina José Galindo, artista guatemalteca che da più di vent’anni indaga il tema della giustizia sociale attraverso pratiche performative il cui baricentro espressivo si situa nella relazione tra il corpo e l’ambiente. L’esposizione, a cura di Marco Scotini, fa seguito a quelle dedicate all’artista indiana Navjot Altaf e all’artista indonesiana Arahmaiani nell’indagare le specifiche relazioni che intercorrono tra sfruttamento ambientale e soggetti oppressi, le donne e le minoranze, decentrando lo sguardo oltre i confini geografici e culturali del cosiddetto occidente.

La mostra a cura di Marco Scotini ripercorrerà la ventennale carriera di Galindo (vincitrice del Leone d’Oro alla 51° Biennale di Venezia come miglior giovane artista) focalizzandosi sui modi in cui ogni suo contatto con gli elementi naturali vada letto in chiave intersezionale e militante. E tra tutti gli elementi naturali, la terra che dà il titolo alla mostra ha un suo particolare statuto: l’approccio di Galindo si sottrae a qualsiasi declinazione essenzialista del rapporto tra terra e corpo femminile, anticipando e nondimeno influenzando le più recenti tendenze della ricerca artistica ecofemminista. Il percorso esporrà i risultati di un approccio evolutosi nel corso degli anni, dal focus iniziale verso le problematiche politico-sociali guatemalteche, all’attenzione (site-specific) verso i contesti e le comunità con cui l’artista si trova ad interagire. Infine, in occasione dell’opening, una performance inedita basata sulla materia fossile connette il percorso espositivo all’attuale crisi umanitaria ed energetica.

Originaria di Guatemala City (1974), Regina José Galindo utilizza il corpo come strumento privilegiato di una pratica artistica intensa, inaugurata alla fine degli anni Novanta; lontana dalle ricerche formali condotte nelle scuole d’arte tradizionali, sin da subito Galindo utilizza l’arte come modalità di comunicazione e azione politica: nata e cresciuta durante la lunga dittatura militare guatemalteca, assiste sin dalla più tenera età ad una guerra civile connotata da feroci pratiche repressive, sino alla pulizia etnica nei confronti delle popolazioni indigene.

Cuore fisico e concettuale della mostra, la performance Tierra (2013) testimonia il trauma che innerva la memoria del suo popolo. Un trauma in cui la terra è baricentro di crimini consumati aggredendo i corpi – la pala meccanica che scava una fossa attorno al corpo di Galindo, allude alle fosse comuni in cui i militari gettavano oppositori politici e persone indigene – quanto sul piano politico ed economico: il colpo di stato che inaugura il regime militare di Carlos Castillo Armas nel 1954, venne sostanzialmente costruito dagli Stati Uniti per tutelare gli interessi della società United Fruit Company.

Parallelamente, in Mazorca (2014) l’azione predatoria e violenta rappresentata dalla pala meccanica si trasla in quattro uomini che recidono con un machete le piante intorno al corpo dell’artista, in piedi al centro di un campo di mais. Le strategie repressive dei militari annoveravano proprio la distruzione dei campi, fondamentali per il sostentamento della popolazione indigena. Una minaccia a cui ha fatto seguito, vent’anni dopo il termine del conflitto, da una legge approvata nello stesso 2014 dal Congreso de la República, comunemente nota come legge Monsanto. Il nome della celebre multinazionale statunitense ci riporta all’inscindibilità di ecologia e politica. Con la mostra di Galindo, il PAV Parco Arte Vivente ribadisce in maniera particolarmente cristallina il filo conduttore della propria programmazione, affermando che la sensibilità nei confronti dell’ecologia non possa essere in alcun modo scissa da una radicale analisi delle relazioni di potere economico e politico che disegnano il capitalismo contemporaneo.

Regina José Galindo è nata nel 1974 a Guatemala City, dove vive e lavora. Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 2005 nella categoria giovani artisti; ha ricevuto il Prince Claus Award in Olanda, il premio speciale alla 29° Biennale di Lubiana e il Robert Rauschenberg Award. I suoi lavori sono presenti in numerose collezioni pubbliche, tra cui Centre Pompidou, Parigi; MEIAC- Museo Extremeño e Iberoamericano de Arte Contemporáneo, Badajoz; Fondazione Galleria Civica, Trento; MMKA, Budapest; Castello di Rivoli, Torino; Daros Foundation, Zurigo; Blanton Museum, Austin; UBS Art Collection, Basilea; Miami Art Museum; Cisneros Fountanal Art Foundation, Miami; Madco-Museum of Contemporary Art, Costa Rica.

Nel periodo di apertura al pubblico della mostra, su prenotazione, le AEF Attività Educative e Formative del PAV propongono alle scuole e ai gruppi l’attività laboratoriale Patchwalking – Creazione di nuovi territori OMGFree. Il bene comune, inteso come totalità planetaria da preservare, sottende un codice collettivo che è proprio di tutte le specie viventi. Le migrazioni e gli spostamenti producono una continua contaminazione tra locale e globale, per cui le geografie e le culture si ridistribuiscono e mutano secondo criteri di ibridazione, adattabilità e incontro.

Durante il laboratorio, a partire dal valore simbolico della terra, che ciascun gruppo è invitato a portare dal proprio luogo di appartenenza, e attraverso l’utilizzo di pigmenti colorati messi a disposizione, viene prodotto un elaborato collettivo in cui l’esperienza materica con la terra dà vita a una mappatura organica fatta di tracce e traiettorie.

Arthur Jafa: RHAMESJAFACOSEYJAFADRAYTON

Arthur Jafa: RHAMESJAFACOSEYJAFADRAYTON

Arthur Jafa: RHAMESJAFACOSEYJAFADRAYTON

Dal 4 novembre 2022 al 15 gennaio 2023, la prima personale dedicata all’artista e regista statunitense da un’istituzione italiana

Le OGR Torino presentano RHAMESJAFACOSEYJAFADRAYTON, la prima mostra personale in Italia dedicata all’artista e regista statunitense Arthur Jafa da un’istituzione italiana, dal 4 novembre 2022 al 15 gennaio 2023.

La mostra è stata commissionata e prodotta dalle OGR Torino in collaborazione con la Serpentine di Londra e curata da Claude Adjil e Judith Waldmann con Hans Ulrich Obrist, ed è stata specificamente concepita per i maestosi spazi delle OGR.

La pratica di Arthur Jafa comprende film, manufatti e happening che sfidano ogni categorizzazione in una ricerca sulla Black culture negli Stati Uniti di un’intensità e complessità senza precedenti. Realizzate in oltre tre decenni, le sue opere multidisciplinari mettono in discussione alcuni assunti culturali dominanti su temi identitari e razziali attraverso esperienze cinematografiche sperimentali e immersive. Alla 58a Biennale di Venezia (2019), con l’opera The White Album, esposta in mostra a May You Live in Interesting Times al Padiglione Centrale dei Giardini, è stato premiato con il Leone d’oro come miglior artista.
Una domanda ricorrente guida la pratica artistica di Arthur Jafa: come possono i media, gli oggetti, le immagini statiche e quelle in movimento trasmettere la potenza, la bellezza e l’alienazione proprie della Black music statunitense? Un’indagine alla quale allude anche il titolo della mostra, RHAMESJAFACOSEYJAFADRAYTON, citando i nomi di tre chitarre elettriche: Arthur Rhames (1957–1989), Pete Cosey (1943–2012), Ronny Drayton (1953–2020).

“Siamo davvero onorati di inaugurare qui alle OGR Torino la prima personale organizzata in Italia e dedicata a un artista del calibro di Arthur Jafa, in collaborazione con la Serpentine di Londra. Di fronte alle opere di Jafa non possiamo non riconoscere messaggi e stimoli fondamentali sui temi dell’identità e dell’inclusione che superano ogni confine. L’Arte assume qui una connotazione e una forza espressiva globale e si fa strumento di partecipazione e dialogo sociopolitico, attraverso le istituzioni culturali chiamate a un necessario ruolo di cassa di risonanza.
Con questa mostra le OGR Torino si confermano dunque piattaforma di sperimentazione, ma soprattutto
agorà votata al dibattito, aperto e costruttivo, su temi della nostra contemporaneità”, dichiara Massimo Lapucci, CEO delle OGR Torino.

RHAMESJAFACOSEYJAFADRAYTON si concentra sull’ultima opera video di Arthur Jafa, AGHDRA (2021). In questo lavoro della durata di 85 minuti i visitatori sono avvolti da immagini, generate al computer, di onde nere, opulente e ipnotiche, in costante evoluzione sotto il cielo di un eterno tramonto.

Un impianto audio all’avanguardia permette non solo di ascoltare il suono dell’installazione immersiva, ma anche di viverlo fisicamente attraverso le vibrazioni. Il suono sostiene e allo stesso tempo interrompe il flusso di coscienza dello spettatore. Testi di canzoni popolari per lo più Black come Love don’t live here, live here no more (Rose Royce, Love don’t live here anymore, 1978) accompagnano l’installazione, rafforzando lo scenario apocalittico evocato.Stimolando tutti i nostri sensi, l’esperienza di AGHDRA è contestualizzata attraverso una serie di carte da parati e stampe che riflettono la continua ricerca di Arthur Jafa sul concetto di Blackness. Una sezione della mostra presenta una selezione di immagini tratte dai Picture Books – serie di immagini che l’artista ha iniziato raccogliere a metà degli anni ‘80, mosso dall’impulso ossessivo di spingersi verso le cose che lo disturbano e non tirarsi indietro, come detto da lui stesso. I Picture Books contengono immagini intense, belle, crude, sorprendenti, terrificanti e stimolanti, che hanno trovato spazio nelle ormai iconiche video-opere di Arthur Jafa, come Love is the Message, The Message is Death (2016), APEX (2013) e, più recentemente, nel video musicale di Kanye West (Ye) Wash Us In The Blood feat. Travis Scott (2020).

La mostra è stata originariamente sviluppata con Amira Gad e questa nuova iterazione è parte del tour organizzato dalla Serpentine a seguito della mostra di Arthur Jafa A Series of Utterly Improbable, Yet Extraordinary Renditions.

Dal 2017 la mostra è stata presentata alla Julia Stoschek Collection, Berlino (2018) al Moderna Museet, Stoccolma (2019) alla Galerie Rudolfinum, Praga (2019) e al Serralves Musem of Contemporary Art, Porto (2020). La mostra ha subito una continua evoluzione che culmina nella nuova collaborazione tra Serpentine l’artista e OGR.

La mostra alla Serpentine era costituita da un’installazione site-specific in cui l’artista aveva trasformato lo spazio della galleria in una serie di assemblage che combinavano film, fotografia e found footage. Durante la mostra del 2017, Jafa ha presentato il suo film Love is the Message, the Message is Death (2016) in un’installazione site-specific agli Store Studios, co-presentata dalla Serpentine e The Vinyl Factory. Durante il weekend del finissage, l’artista ha sviluppato una Listening Session con Steve Coleman, Morgan Craft, Micah Gaugh, Melvin Gibbs, Jason Moran, Okwui Okpokwasili, e Kokayi Carl Walker seguita da un vinile in edizione limitata prodotto da The Vinyl Factory e Serpentine.

Nel 2017 Arthur Jafa ha anche preso parte all’annuale rassegna Park Nights organizzata dalla Serpentine. Park Nights è una piattaforma live, interdisciplinare e sperimentale all’interno del Serpentine Pavilion commissionato annualmente dalla galleria.

A evidenziare la relazione con la musica e la contaminazione tra differenti discipline e media proprie della pratica di Arthur Jafa, in occasione dell’inaugurazione di RHAMESJAFACOSEYJAFADRAYTON, il 4 novembre alle ore 22.30, il pianista e compositore jazz Jason Moran, la violoncellista e compositrice Okkyung Lee e il bassista Melvin Gibbs si esibiranno insieme, nel Duomo di OGR Torino, per una serata ideata dall’artista. 

OPERE IN MOSTRA

 Arthur Jafa
AGHDRA, 2021
4K video (sound, color and black and white)
Duration: 1 hour, 14 minutes, 59 seconds

 Arthur Jafa
Ka-ba-ka-la, 2022
mixed-media Installation (okume wood, print on wallpaper, black acrylic, black steel rails, red steel pipes) 

Photovogue Festival: Che cosa direbbe Susan Sontag?

Photovogue Festival: Che cosa direbbe Susan Sontag?

Che cosa direbbe Susan Sontag?

La contraddizione della sovraesposizione. Un dibattito sul modo in cui l’ubiquità delle immagini plasma la nostra sensibilità.
Torna il primo festival di fotografia di moda consapevole dedicato agli elementi in comune tra etica ed estetica che, per la sua settima edizione, presenta mostre, conversazioni, eventi e panel digitali sulla piattaforma PhotoVogue con artisti da tutto il mondo.

Dal 17 al 20 novembre 2022 torna a Milano PhotoVogue Festival, il festival di fotografia di moda consapevole che si concentra sugli elementi in comune a etica ed estetica. Sei le mostre esposte negli spazi di BASE Milano e un ricco programma di eventi nelle principali gallerie d’arte della città e di conversazioni online e offline.

Per questa settima edizione Alessia Glaviano, Head of Global PhotoVogue e Direttrice del Festival si è chiesta cosa direbbe oggi la critica americana Susan Sontag sull’effetto ‘normalizzante’ prodotto dall’esposizione ripetuta al contenuto delle immagini, avviando un dibattito su quella che Glaviano ha definito la ‘Contraddizione della sovraesposizione’, per discutere su come l’ubiquità delle immagini plasmi la nostra capacità di percepire a livello emozionale, leggere e comprendere queste ultime, e il mondo che ci circonda.

Accanto alle mostre dedicate a temi sociali e politici, in scena anche la fotografia di moda consapevole con artisti propulsori del cambiamento attraverso immagini e filmati per costruire un mondo culturalmente più inclusivo.

Con la presenza di più di 50 degli artisti coinvolti, il programma comprende tanti appuntamenti tra cui una lectio magistralis di Alfredo Jaar dal titolo “Teach Us to Outgrow our Madness“, che aprirà il festival mercoledì 16 novembre alle 18.30, un talk con l’intellettuale David Rieff, i panel con Fred Ritchin, Yashica Olden, Yelena Yemchuk, Aïda Muluneh, Roe Ethridge, Misan Harriman, Emanuele Coccia, Gabriele Galimberti, Maria Luisa Frisa e molto altro. 

MOSTRE 

Regarding the pain of others, presenta le immagini e i filmati più iconici di eventi catastrofici della nostra storia recente, senza esporli visivamente, ma presentandoli attraverso la loro descrizione scritta. Il pubblico è così invitato a visualizzare mentalmente le immagini, una sfida per mettere in discussione il nostro ruolo di consumatori di immagini ed essere spettatori attivi e responsabili e non voyeur passivi e distratti.

Face Forward: Redefining the Vogue Cover: le copertine più potenti e diverse di tutte le edizioni internazionali di Vogue protagoniste di una mostra che evidenzia il lavoro svolto da Vogue nel corso dei decenni.

The next great fashion image makers: la mostra, che presenta 40 artisti di 24 paesi diversi selezionati da una giuria internazionale, è il risultato della prima Global Multimedia Open Call, promossa da tutte le edizioni di Vogue nel mondo per individuare i creatori di immagini di moda più talentuosi.

Italian Panorama: presenta 25 artisti provenienti dalla prima Local Open Call di PhotoVogue, dedicata all’Italia come omaggio al Paese di origine di PhotoVogue, aperta a tutti i generi – dalla moda al documentario, dall’arte al reportage – e a tutti i mezzi, dalla fotografia al video, dall’illustrazione, all’arte 3D o alle combinazioni di queste discipline.

Visual Communication for Change: usare la creatività per affrontare le malattie tropicali neglette in Africa: PhotoVogue collabora con Aida Muluneh presentando The Crimson Echo, il progetto della fotografa etiope e imprenditrice culturale, che insieme ad altri sei fotografi africani sottolinea l’impatto delle malattie tropicali neglette (Neglected Tropical Diseases – NTD) sugli individui e sulle comunità.

Voice per PhotoVogue: Residency e Collezione NFT: la prima incursione di PhotoVogue nel Web3 si è svolta in collaborazione con Voice. Durante una virtual residency estiva, ottantuno artisti di tutto il mondo hanno imparato come entrare con successo nel mondo del Web3 attraverso workshop digitali, mentorship e altre risorse. In mostra le collezioni prodotte dagli artisti.

L’evento, patrocinato dal Comune di Milano, è reso possibile grazie al contributo dei partner Audi, CONAI, Crivelli, FLOS, Gucci Beauty e Xiaomi. Si ringraziano Radio Monte Carlo, Studio RM, Urban Vision, Voice e Westwing.