Sostenibili ed eleganti: le nuove costruzioni in legno di Rubner Haus a Garmisch-Partenkirchen

Sostenibili ed eleganti: le nuove costruzioni in legno di Rubner Haus a Garmisch-Partenkirchen

Sostenibili ed eleganti: le nuove costruzioni in legno di Rubner Haus a Garmisch-Partenkirchen

Tradizione in stile contemporaneo, due architetture quasi identiche guardano alla montagna più alta della Germania dialogando con l’ambiente e le abitazioni intorno…

Nelle pittoresche vie del centro di Garmisch-Partenkirchen, splendida cittadina di montagna nel sud della Baviera, nel 1936 luogo d’elezione delle Olimpiadi invernali, sfilano case alpine tradizionali decorate con affreschi dai temi agricoli o religiosi, chiamati Lüftlmalerei, e punteggiate di balconi colmi di fiori. L’architettura tipica del luogo prevede case con il tetto a due falde e l’utilizzo spinto del legno. La bioedilizia di Rubner Haus ha trovato terreno fertile in questa zona che respira una grande armonia con la natura, dove l’ambiente è protetto in modo rigoroso anche e soprattutto quando si tratta di costruire nuove abitazioni.

Quando Hans-Peter Volkheimer, imprenditore di lunga esperienza nel settore immobiliare, ha deciso di costruire un edificio in una zona residenziale del paese, non ha avuto dubbi rispetto alla bioarchitettura. La priorità era non alterare in nessun modo la bellezza del paesaggio, interferendo con la visuale delle case circostanti ma, al contrario, adattarsi all’ambiente arricchendolo con nuova linfa architettonica e garantire una vista eccezionale anche ai residenti delle due nuove case. Ne è nato un progetto immobiliare rispettoso dell’ambiente, con un’architettura che riprendendo quella tradizionale introduce elementi innovativi e di contemporaneità.

L’idea iniziale del committente era quella di progettare un condominio con cinque appartamenti, ma il desiderio di una casa in legno massiccio ecocompatibile l’ha spinto a optare per due case distinte costruite senza utilizzo di colle o parti metalliche.

Due case quasi gemelle, complementari, combinano particolari antichi, come i barbacani di sostegno ai balconi, con tagli inediti per le finestre e grandi aperture al piano terra con portefinestre scorrevoli che trasformano il salotto, la sala da pranzo e il giardino in un tutt’uno di ampio respiro. Esposte a sud, le due case godono della luce del sole e del meraviglioso scenario montano. Il legno riveste parte delle pareti esterne, la cui metà inferiore è intonacata per conferire una sorta di leggerezza visiva all’edificio, ma domina anche gli interni: legni diversi con colori chiari e più scuri a seconda degli ambienti accentuano la luminosità già straordinaria che le ampie finestre assicurano ovunque.

Nel bagno al piano di sopra, il sole che entra dalle finestre asimmetriche disegna linee di luce sulle pareti di legno scuro. La sensazione di calore che emana dal legno delle pareti, dei soffitti, della cucina come degli arredi, pervade chi entra e abita questi spazi con un’accoglienza perfetta per queste altitudini.

Nate per essere vendute a chi ama profondamente la natura e uno stile di vita sostenibile, resteranno invece di proprietà di Volkheimer, che se ne è innamorato e non vuole cederle: “Sono le case più belle che io abbia costruito in 35 anni di attività. Non posso separarmene“.

Abitare in una casa in legno vuol dire recuperare un rapporto equilibrato con la natura. Il legno è il materiale più naturale e salubre possibile per la realizzazione di uno spazio di vita. Ecco perché le case Rubner utilizzano le varie componenti dell’albero: il legno, il sughero e la fibra di legno. Il sughero è un ottimo isolante naturale e, allo stesso tempo, è impermeabile all’acqua, resistente a fuoco, insetti nocivi e calore, traspirante e antimuffa. La fibra di legno è priva di additivi chimici, è fonoassorbente, mantiene a lungo il calore e ha una durata straordinaria.

Le pareti in legno Rubner non emettono nell’ambiente domestico composti chimici dannosi per la salute ed essendo traspiranti, garantiscono la naturale regolazione dell’umidità e un elevato livello di comfort bioclimatico all’interno dell’edificio. Con gran beneficio in ambito energetico: le case Rubner consumano il 20% di energia in meno rispetto a una casa di nuova costruzione in materiale tradizionale, il che comporta non solo un minor esborso di spese di riscaldamento e condizionamento, ma anche una riduzione del 20% delle emissioni di CO2 annuali.

Costruire in legno può ridurre della metà le emissioni di CO2 degli edifici. Durante la fotosintesi gli alberi assorbono il CO2, immagazzinano il carbonio e rilasciano l’ossigeno. Nelle foreste coltivate, come lo sono le foreste certificate PEFC, gli alberi vengono abbattuti prima che possano marcire e che l’anidride carbonica venga rilasciata nell’atmosfera. Ogni prodotto in legno è un serbatoio di stoccaggio di CO2: 1 m3 ne imprigiona circa 1 tonnellata. Un dato straordinario, se si pensa che un’auto di medie dimensioni rilascia circa 3,2 tonnellate di CO2 in un anno. Considerando anche che il materiale di costruzione per una casa in legno ricresce in soli 15 secondi di tempo

L’affascinante residenza immersa nella natura: la Branch House di Dornbracht

L’affascinante residenza immersa nella natura: la Branch House di Dornbracht

L’affascinante residenza immersa nella natura: la Branch House di Dornbracht

Dornbracht è scelta da architetti per esclusivi progetti residenziali in tutto il mondo. Tra i progetti più recenti spicca la Branch House, esclusiva dimora che si erge sulle colline di Montecito in California, al centro di un bosco di querce secolari.

Con sede centrale a Iserlohn, in Germania, Dornbracht è un’azienda attiva su scala mondiale nella produzione di rubinetteria e accessori di alta qualità per il bagno, la spa e la cucina. Fondata nel 1950, distribuisce i suoi prodotti in oltre 125 mercati.
Grazie alla particolare cura nella progettazione e alla costante attenzione nel rispondere alle esigenze degli utenti, Dornbracht offre prodotti caratterizzati da altissima qualità tecnica ed estetica, capaci di durare nel tempo. Amplia costantemente la sfera della propria consolidata esperienza nel design, nei rituali e nell’esperienza legati all’acqua, stabilendo nuovi standard per il settore: progettare – e coltivare – un nuovo modo di vivere sono alla base della sua mission.

Il marchio è sinonimo a livello internazionale di competenza nel design; da sempre, partner professionale per il mondo dell’architettura grazie agli elevati standard qualitativi come sottolinea anche il claim “Leading Designs for Architecture“. Per volere dei committenti, appassionati di arte, TOLO Architecture ha progettato la nuova Branch House di Montecito, USA, come un insieme di padiglioni aperti e ariosi, disposti a cerchio sulla proprietà, in forte relazione con la natura.

Le otto strutture distribuite sul terreno sono sollevate da terra. Più si avanza all’interno della proprietà, più gli spazi diventano privati e intimi: dalle aree pubbliche come il living, la sala da pranzo e la cucina, alla zona ufficio, alle camere da letto, ai bagni e allo studio privato. I singoli volumi sono collegati da un passaggio vetrato che funge anche da galleria d’arte privata.

Nei bagni rivestiti con piastrelle blu, rosa e gialle, l’iconica serie di rubinetteria Tara dimostra la versatilità del suo design.

Potrebbe sembrare casuale, ma l’ubicazione dei padiglioni è studiata per seguire il percorso del sole, la posizione degli alberi nativi e la funzione di ognuno di essi. Le diverse angolazioni e forme delle facciate in vetro, interconnesse tra loro e dei tetti rivestiti in rame forniscono la vista prospettica desiderata del paesaggio e, attraverso i lucernari, del cielo. Un’architettura funzionale e affascinante al tempo stesso il cui approccio programmatico, attraverso la funzione delle stanze e il legame con il paesaggio, richiama lo spirito delle Case Study, riletto in chiave moderna.

Gli arredi interni sono volutamente minimali; il pavimento è in cemento lucidato abbinato a superfici impiallacciate e pareti bianche che forniscono uno sfondo neutro per la collezione d’arte dei proprietari mentre ceramiche blu, rosa e gialle conferiscono carattere alla cucina e ai bagni. Grazie alle geometrie aperte e multidimensionali e alle superfici colorate l’atmosfera degli ambienti muta a seconda dell’ora del giorno e delle stagioni.

La luce zenitale, peculiarità del progetto, assicura grande carattere alla cucina a vista: la luce ricade infatti direttamente sulla grande isola che integra al piano di lavoro due lavelli di diverse dimensioni, arricchiti da tre miscelatori TARA che forniscono acqua potabile fresca mentre il rubinetto TARA POT FILLER è montato a parete accanto al fornello: una soluzione estremamente pratica per riempire d’acqua le pentole. L’iconica serie TARA è stata scelta anche per i bagni grazie alla versatilità del design definito da linee nette e la bocca slanciata e semicircolare. Le sue proporzioni equilibrate sono il complemento perfetto per questa affascinante dimora californiana.

Filosofarti torna in presenza: tutto pronto per l’edizione 2022

Filosofarti torna in presenza: tutto pronto per l’edizione 2022

Filosofarti torna in presenza: tutto pronto per l’edizione 2022

Il festival di filosofia organizzato dal Centro Culturale del Teatro delle Arti si svolgerà, in una doppia veste, fisica e digitale, dal 19 febbraio al 29 marzo

Un calendario fitto di incontri, di conferenze e di un “fare cultura” che, dopo un biennio “complicato”, finalmente torna in presenza, seppur con i dovuti punti di domanda dettati dagli sviluppi della pandemia. Dal 19 febbraio al 29 marzo si svolgerà la rassegna 2022 di Filosofarti, il festival di filosofia che in questa edizione tratterà il tema “Eredità, fare futuro”.

Un tema intenso, attuale, un ponte tra quello che è stato il passato e quello che sarà il futuro ben rappresentato dall’immagine scelta come icona dell’evento: l’Angelus Novus dell’artista svizzero Paul Klee. “Una immagine che rappresenta al meglio il tema dell’evento”, spiega Cristina Boracchi, curatrice del festival. “Un angelo che apre le ali e guarda il passato disgustato, indirizzandosi verso il futuro. È un tema importante con il quale abbiamo voluto confrontarci: ci poniamo come testimoni della contemporaneità, rifletteremo su chi siamo, su chi saremo e, soprattutto, su che cosa lasceremo. Abbiamo un patrimonio da costruire”.

Un patrimonio che verrà costruito in una doppia veste: fisica e in presenza fin dove possibile, digitale quando le condizioni lo imporranno.
Ci siamo assunti una grande responsabilità con questa nuova edizione: l’informatica, l’utilizzo di nuove tecnologie ci ha permesso di ampliare i nostri confini, di poter essere seguiti anche da spettatori in tutto il mondo – prosegue Cristina Boracchi –. In questo triennio la cultura online è stata particolarmente apprezzata, ma abbiamo sentito la necessità di fare quanto possibile per tornare in presenza, anche se ci siamo resi conto che c’è ancora un certo timore da parte del pubblico. Invitiamo comunque il nostro pubblico a consultare spesso il calendario dell’evento e seguirci per eventuali aggiornamenti o cambi di location/data”. In fondo, come sappiamo bene, basta un tampone positivo per cambiare le carte in tavola.

Come abbiamo accennato all’inizio, il fitto calendario di conferenze si aprirà il 19 febbraio con la lezione magistrale dal titolo “A che punto è l’educazione familiare e scolastica?” tenuta da Umberto Galimberti al Teatro delle Arti e si concluderà il 29 marzo in Sala Consiliare a Besnate, con l’intervento di Mauro Magatti. Nel mezzo una lunga serie di eventi, tra musica, filosofia, arte, architettura e tutte la sfere di una cultura che nel corso degli anni ha continuato a evolversi.

 

Il nostro impegno è quello di mantenere viva la nostra eredità con progetti sempre nuovi”, ha dichiarato Elena Balconi, presidente del Centro Culturale del Teatro delle Arti.
Un impegno che ha visto il patrocinio e l’appoggio di diverse enti provinciali, comuni e privati. “Filosofarti è un patrimonio di tutti”, ha commentato a proposito Enzo La Forgia, professore e assessore del comune di Varese. “Eredità è un tema che dovrebbe sempre al centro dei ragionamenti, dalla filosofia alla politica e siamo contenti di poter partecipare come Comune di Varese. In questi anni la nostra provincia è sempre stata ai primi posti a livello nazionale per produttività e benessere, ma più indietro per quanto riguarda la cultura e le iniziative. Per questo siamo convinti che Filosofarti sia una buona occasione per dimostrare quanto la cultura nella provincia di Varese possa fare di più”.

Cliccando qui potrete trovare il calendario degli eventi di questa edizione di Filosofarti.

 

Il Museo d’Orsay: l’impressionismo a Parigi

Il Museo d’Orsay: l’impressionismo a Parigi

Il Museo d’Orsay: l’impressionismo a Parigi

È uno fra i più importanti musei d’Europa che però, sovrastato dal Louvre, viene spesso sottovalutato: stiamo parlando del Museo d’Orsay.

[post-views]

Questo museo è molto conosciuto non solo perché ospita molti dei più famosi quadri impressionisti, ma anche perché in questo luogo di arte e cultura si trova una quantità esorbitante di opere risalenti all’arco temporale che va dal 1848 fino al 1914.

Cosa si può vedere?

All’interno del museo possiamo trovare moltissime opere di architettura, scultura e arte decorativa conservatesi in maniera eccezionale. In primo piano però vanno sicuramente le opere degli impressionisti e dei post-impressionisti, ma oltre a queste vi sono esposte anche opere di artisti del calibro di Claude Monet, Edouard Manet, Paul Gauguin, Vincent Van Gogh, Edgar Degas, Pierre-Auguste Renoir e tanti altri. Il museo oltre ad ospitare diverse mostre fotografiche e cinematografiche, vanta due gallerie esclusivamente dedicate a Gustave Courbet e a Henri de Toulouse-Lautrec.

Un’ex stazione ferroviaria

Una delle caratteristiche più affascinanti di questo museo è il fatto che si trovi in un’ex stazione ferroviaria creata durante l’Esposizione Universale del 1900 che fu dismessa 39 anni dopo. Durante il periodo della seconda guerra mondiale l’ex stazione fu utilizzata come zona di transito per i prigionieri dei nazisti e, solo dopo tanti tentativi di demolizione, finalmente nel 1986 divenne ciò che oggi chiamiamo Museo d’Orsay. Quando si entra in questo museo ci si sente completamente travolti e circondati dall’arte nella sua più pura espressione: sculture marmoree, dipinti ad olio, ritratti e paesaggi, immagini e figure di altri tempi mischiate al ferro e all’acciaio della modernità.

Prezzi e orari

Il biglietto per il Museo d’Orsay costa:

  • € 14 l’intero.
  • € 11 il ridotto per tutti a partire dalle ore 16:30 (tranne il giovedì).
  • € 11 il ridotto per tutti il giovedì a partire dalle ore 18.
  • € 11 il ridotto per gli accompagnatori dei minori di anni 18 residenti nell’Unione Europea (massimo due accompagnatori per minore), per i ragazzi.
  • Gratis per i minori di anni 18, per i portatori di handicap, per i ragazzi d’età compresa tra i 18 e i 25 anni cittadini o residenti da lunga data in un paese dell’Unione europea.
  • Gratis ogni prima domenica del mese.

Il museo è aperto tutti i giorni dal martedì alla domenica dalle ore 9.30 alle 18.00 salvo il giovedì in cui rimane aperto fino alle 21.45, mentre resta chiuso il lunedì, il 1° maggio e il 25 dicembre.

Per altri articoli simili, clicca qui.

di Cecilia Gavazzoni.

ARCHETYPE: tra artigianato, industria e simboli

ARCHETYPE: tra artigianato, industria e simboli

ARCHETYPE: tra artigianato, industria e simboli

Installazione realizzata per AATC marmi e graniti da VGA Architects
Milano Design Week 2021 04/10 settembre, piazza del Cannone Milano

In un salone del mobile inusuale, tra mascherine e green pass, tra la speranza della ripartenza ed i timori di un futuro incerto incontriamo l’Architetto Vittorio Grassi dello studio VGA Architects che ci racconta Archetype un’imponente installazione a base quadrata di 3 x 3 x 6 m, situata in piazza del Cannone a Milano, un’installazione ricca di significati e storie che racconta di tecnologia ed artigianalità.

L’installazione, collocata all’interno di DDN HUB (DDN è un sito giornalistico che si occupa di design e architettura), è realizzata per AATC marmi e graniti (azienda veronese specializzata nell’estrazione e lavorazione di marmi ed affini) e celebra la prima partecipazione dell’azienda alla Design Week di Milano.

Prima domanda per inquadrare l’evento e il suo contesto, ci dia le sue impressioni su questo salone del mobile tra mascherine, green pass, affluenza e limitazioni, fiducia e diffidenza. Insomma, le sue impressioni dato che lo vive da entrambe le facce del progettista, da un lato autore di un’installazione dall’altro fruitore degli altri eventi.
“Dunque, affluenza chiaramente ridotta poiché a causa delle restrizioni per molti che provengono da paesi come, ad esempio, Cina e Stati Uniti era più complicato arrivare in Italia, una buona affluenza invece dai paesi del Golfo, quindi affluenza ridotta rispetto agli anni precedenti ma che lancia un buon segnale di ripartenza.
Per quanto riguarda il salone a Rho Fiera invece la densità era maggiore, ma gli spazi erano anche più piccoli, mentre in città, essendoci più eventi, si percepisce di più il calo di visitatori, ci sono parecchie persone ma il numero è sicuramente inferiore rispetto agli altri anni”.

Spostiamoci ora su Archetype, ci spiega la genesi del progetto, come si è rapportato al ruolo della materia, al tema, insomma, come ha dato forma all’installazione.
“Siamo partiti con l’idea di realizzare un’installazione più architettonica che di disegno industriale, e poi dal luogo, quando è stato deciso che l’installazione sarebbe stata collocata in piazza del Cannone, tra il Castello Sforzesco e a parco Sempione; dunque, un luogo che si prestava ad una struttura di grande impatto, forte, e quindi abbiamo pensato di portare a Milano, al fuorisalone, in pratica una cava di marmo, con tutto quanto ne consegue, ovvero, artigianalità, fatica, logistica.
In questo senso sono emerse le capacità di AATC di seguire, con grande competenza, tutte le fasi della lavorazione della materia, dalla cava alla posa, e l’installazione voleva essere anche un’espressione di questi aspetti dell’azienda, anche perché abbiamo saputo dell’installazione il 28 di giugno, quindi il tempo era veramente poco. Dunque, abbiamo deciso di prendere otto blocchi di marmo Grolla di Chiampo, una cava di Vicenza, di 1.5 m per 1.5 m per 3 m, sbozzati, cioè tagliati in cava e lavorati solamente dove ci sarebbe stata interazione con il pubblico e con i bambini.
In questo senso l’aspetto grezzo richiama l’archetipo nel senso di qualcosa di molto antico ma che è lì per una ripartenza che si lega alla ripartenza post COVID e poi ha tanti altri significati anche legati al luogo dove si trova. Oltre alla pietra sulla quale si appoggia, al calcestre dei percorsi e della piazza come rimando cromatico, ma rimanda anche all’arco della Pace, al Castello Sforzesco, anche nei simboli utilizzati, ad esempio la bocca del coccodrillo che in realtà è la bocca del biscione che guarda il biscione dello stemma degli Sforza, alla pietà Rondanini dove dalla materia, dal pieno, esce la forma. Dunque, nonostante il poco tempo e lo sforzo proferito abbiamo cercato di mantenere la potenza del comunicare la vita della cava tra industrializzazione ed artigianalità”.

Lei prima accennava alla bocca del coccodrillo che poi è la bocca del biscione, però ci sono altri simboli che avete inserito nella composizione come, ad esempio, la fascia di specchi che taglia in due l’installazione, una scala ed altri ancora. Ce li racconta?
“Sì, dunque, sono sette elementi ricavati, il primo è lo specchio per dare l’idea in lontananza che la parte alta del blocco fosse sospesa, e questo aspetto è risultato molto evidente al momento della posa, la notte del 30 agosto, poi ovviamente il resto è stato montato nei giorni successivi, però la prima cosa posata è stata questa struttura.
Poi c’era la bocca del biscione; c’è un cannocchiale, una fenditura che attraversa tutto il blocco e guarda verso il cielo; c’è una scala al contrario che consente foto in pose “simpatiche”; una piccola porta sarà alta circa 70 cm, in basso, dove mio figlio è andato subito a giocare a calcio (ride ndr.) e si è nascosto dentro; molto interessante è quello che abbiamo chiamato “la voce della cava”, ovvero un punto dove accostando l’orecchio si sentono i rumori dei mezzi e degli strumenti che vengono utilizzati in cava, camion, gru, cicalino dei bulldozer, in somma, un po’ di soluzioni per avvicinare la struttura al pubblico.
Per esempio, c’è un punto composto da una seduta, da uno specchio e da una piccola scala, in un angolo sempre all’ombra che è stato imprevedibilmente utilizzato da moltissime persone per sedersi al fresco in questi giorni e riposarsi un attimo.”

Quindi si può dire che dal punto di vista del coinvolgimento del pubblico l’obiettivo è stato cercato, voluto e infine trovato?
“Sì, direi di sì, poi secondo me essendo nel parco, in una posizione non centrale ma comunque ben visibile per cui molte persone, magari diretti in Triennale, la trovano anche senza cercarla, notano l’installazione, alta, imponente e quindi vengono attirate, poi lo specchio è un vero e proprio magnete per foto.”

Prima lei ha accennato all’artigianalità, all’attenzione per le lavorazioni, avete dedicato quindi un’attenzione particolare ai dettagli, ovvero, capire fino a che punto lavorare la materia per ottenere l’effetto desiderato, grezzo in questo caso per essere toccato e percepito come tale, richiede comunque una riflessione e una certa attenzione verso la materia. Ci spiega un po’ questo aspetto?
“Certo, nonostante l’installazione abbia un aspetto così brutale, ha subito diverse lavorazioni, sia per il taglio che per il trasporto, soprattutto per alcuni punti particolari, sono stati resinati dei perni, i pezzi sono stati segati e poi ricomposti, però alla fine l’effetto è quello di un non finito. Però la cosa bella per me, che poi è la cosa bella del marmo, che è un materiale naturale, è che non è mai uguale a sé stesso sia nella stessa cava che tra marmi.
Nell’installazione si vede bene, in alcuni punti è tagliato lungo la vena e in altri punti contro la vena, aspetto questo che per un addetto ai lavori lo sa perfettamente, ma ad una persona non del mestiere fa sorgere delle domande tipo “ma è lo stesso marmo?” risposta “Si è lo stesso marmo, risultato della “stratificazione di milioni di anni in quel punto”e quindi ti racconta anche una storia.
Poi sono visibili, ad esempio, i segni lasciati dalle funi utilizzate per sollevare e trasportare i blocchi, quindi potrei raccontare ad un visitatore, ad esempio, la storia di quel blocco dal momento che è stato segato in cava, trascinato, sollevato e poi posato. Che poi è il fascino del marmo e della pietra, hanno dietro il racconto e la storia di persone che vanno in giro per il mondo a cercare le cave, e non si trovano mai in posti agevoli, ma sono in montagna o nelle foreste, in posti assurdi, un po’ come capita ad Indiana Jones (ride ndr).
E dunque, questi cercatori vengono in contatto con altre persone, comprano, opzionano i blocchi, li trasportano in Italia, paese leader nella lavorazione dei marmi, tanto che molti marmi provengono ad esempio dalla Cina o dalla Turchia, vengono trasportati in Italia solo per essere lavorati e poi tornano all’estero. Questo non è solo un discorso industriale e tecnologico legato ai materiali, ma c’è una grande conoscenza e sapienza, basti pensare che gli esami sui blocchi vengono fatti con gli ultrasuoni ma in alcuni casi il cavatore appoggiando l’orecchio sul blocco è in grado di capire se è un buon blocco o meno. E questa è una bellissima storia che secondo me valeva la pena di raccontare”.

a cura di Christian Vittorio Garavello