Atp Montecarlo: il principe è ancora Stefanos Tsitsipas

Atp Montecarlo: il principe è ancora Stefanos Tsitsipas

Atp Montecarlo: il principe è ancora Stefanos Tsitsipas

Il 23enne greco bissa il successo dello scorso anno. Male Djokovic

Il primo torneo Master 1000 sulla terra rossa europea vede iscrivere nel proprio Albo d’Oro la firma di Stefanos Tsitsipas; il ventitreenne greco riesce così a bissare il titolo dello scorso anno, quando trionfò nella asettica cornice del campo centrale del Country Club, con le tribune vuote per le restrizioni dovute alla pandemia.

Ambiente fortunatamente diverso per l’edizione 2022, con gli spalti del centrale dedicato a Ranieri III Grimaldi traboccanti di pubblico, pronto a rendere il dovuto omaggio al campione ellenico.

IL VINCITORE. Tsitsipas ha proposto il suo miglior tennis, confermando una naturale predisposizione per le superfici lente; tecnicamente questo si spiega con il suo gioco classico, con il rovescio giocato a una mano sola (è l’unico top ten che non lo esegue a due mani!) ed i colpi portati con una preparazione ampia; il rimbalzo alto della pallina gli concede infatti più tempo per ottenere il massimo dell’efficacia dal suo gioco. La statura superiore al metro e novanta e una preparazione atletica di primissimo ordine gli consentono anche di difendere la rete con risultati eccellenti.

In finale ha superato lo spagnolo Alejandro Davidovich-Fokina, avversario eliminato anche l’anno scorso nei quarti. Quest’ultimo si è aperto la strada con il suo robusto dritto e con doti di corsa notevoli; ha probabilmente tremato quando si è trattato di vincere in due set la semifinale ed ha dovuto compiere gli straordinari nel terzo, ma ha comunque chiuso con autorità.

Nell’incontro decisivo Tsitsipas ha imposto la sua maggior classe nel primo parziale, vinto 63; nel successivo la seconda palla di servizio del greco ha perso di efficacia e l’iberico ha portato la sfida al tie-break, che Stefanos si è aggiudicato agevolmente per 7 punti a 3.

Il greco compie il capolavoro nei quarti di finale contro l’argentino Diego Sebastian Schwartzman, giocatore brevilineo e dotato di eccelso gioco di gambe. Il campione in carica vince abbastanza facilmente il primo set, ma subisce il ritorno del “peque”, che si aggiudica la seconda frazione al tie-break e si porta sul 4 a 0 in quella decisiva. Partita chiusa? Nemmeno per sogno; Tsitsipas, che terminerà il match appoggiato alla rete a riprendere fiato per stringere la mano al gaucho col nome teutonico, mette in fila sei giochi e nel penultimo punto scende a rete e si tuffa sulla sua destra per intercettare un passante mortifero dell’avversario. Ne esce una volée smorzata di rovescio degna del miglior Boris Becker, che l’audience presente saluta con un boato.

RIENTRI E ASSENZE. Il torneo ha salutato il ritorno all’attività per Novak Djokovic. Il serbo numero uno del mondo era stato escluso a gennaio dal torneo di Melbourne per la sua volontà di non vaccinarsi contro il Covid-19, e da allora aveva disputato solo il torneo di Dubai, che non prevedeva obblighi sanitari. A Montecarlo ha perso al primo turno denunciando limiti di tenuta atletica, cedendo comunque al finalista della manifestazione; c’è da scommettere che presto lo rivedremo al massimo della forma, magari proprio a Roma in maggio.

L’entry list monegasca denunciava alcune assenze importanti: oltre a Roger Federer, che si è recentemente dichiarato fiducioso in merito ad un suo rientro in autunno dopo gli interventi al ginocchio, anche Daniil Medvedev (ernia) e Rafa Nadal (frattura da stress a una costola) hanno marcato visita.

PROTAGONISTI E ITALIANI. Detto di Djokovic, il secondo favorito del torneo Alexander Zverev si è issato fino ai quarti di finale perdendo solo un set, ma la battaglia contro il nostro Jannik Sinner ne aveva segnato il fisico, ed il giorno seguente ha ceduto nella semifinale in due set a Tsitsipas.

 

Il match più bello ed emozionante ex-aequo con Tsitsipas-Schwartzman, sperando non ci faccia velo un minimo di amor di patria, è stato infatti la sfida tra Jannik Sinner e Zverev; l’altoatesino, in difficoltà per problemi di vesciche, ha tenuto il campo in maniera ammirevole. In tre ore e sette minuti di gioco l’italiano vince il primo set rimontando da una situazione di 4 a 1 per il tedesco; mulinando il suo dritto come un ossesso porta a casa la frazione per 7 a 5. Nel secondo set Zverev rompe l’equilibrio al settimo gioco e pareggia il conto. Nella frazione decisiva più volte Zverev strappa il servizio a Jannik, ma il nostro portacolori ribatte colpo su colpo, forzando la conclusione della partita al tie-break. Sul 4 a 3 in suo favore ed il servizio in mano però un suo diritto d’attacco finisce in rete e consente il pareggio al tedesco, che poco dopo chiude grazie ad un rovescio sempre in rete di Sinner.

Grande e sfortunata prova per Jannik, che però conferma i miglioramenti e in generale le speranze che il movimento italiano ripone in lui.

Bene anche un altro italiano, il ventenne Lorenzo Musetti. Con il suo tennis ricco di talento e di variazioni di ritmo il giovanissimo toscano ha superato due turni; tra le sue vittime la testa di serie numero sei il canadese Felix Auger-Aliassime.  Negli ottavi si è arreso dopo tre set ad un infaticabile Schwartzman. Poco male: se continuerà a crescere tecnicamente e verrà amministrato con giudizio nella scelta degli impegni agonistici, saprà darci soddisfazioni.

Male invece il veterano Fabio Fognini; ha pescato al match d’esordio niente di meno che il futuro vincitore della competizione ed è stato annichilito: 63 60.

La stagione sul rosso prosegue ora con l’ATP 500 di Barcellona, che mentre scriviamo ha già dato il via agli incontri di primo turno; il favorito è proprio Tsitsipas. Nella settimana successiva avremo il secondo Master 1000 della stagione, Il “Mutua Madrilena”, con un parterre de roi di altissimo livello.

 

di Danilo Gori

MotoGP 2022: 4 giorni al via

MotoGP 2022: 4 giorni al via

MotoGP 2022: 4 giorni al via

A pochi giorni dalla partenza del campionato facciamo un punto sulla stagione alle porte

Ogni volta che finisce la stagione a Novembre, una sensazione di vuoto e smarrimento riempie gli appassionati di MotoGP. Una leggenda narra, che è possibile vederli davanti agli scaffali dei supermercati nel reparto meccanica, ad annusare i flaconi di olio motore. Tre lunghissimi mesi senza gare, diciamocelo, sembrano interminabili, anche perché capitano a pennello durante la stagione invernale, quando molti motociclisti mettono in letargo i loro giocattoli.

Ogni anno, poi, ci si ritrova alle porte della stagione senza quasi accorgersene. L’inverno scorre veloce, fioccano le presentazione dei nuovi team e i piloti si tolgono la ruggine nei test pre stagione, catapultandoci nel nuovo campionato. Dopo il periodo di congelamento delle evoluzioni tecniche a causa COVID, per il 2022 le case hanno lavorato molto rimescolando i valori in campo.

Il punto su case e piloti

Ducati, con la precocità a cui ci ha abituato dal 2017, ha vincolato Bagnaia. Per il torinese altri due anni con la rossa, nella speranza che riporti il titolo a Borgo Panigale, titolo vinto nel 2007 da un certo australiano. Un australiano in realtà in casa ce l’hanno anche, ma sembra non aver convinto i vertici Bolognesi e non è ancora stato confermato. A dirla tutta, il 2021 non è stata affatto una cattiva stagione per Miller, due vittorie in tanti se le sono sognate in una carriera intera, figurarsi in una stagione. Eppure a Jack sembra mancare qualcosa. Spesso è veloce sia in gara che in qualifica, ma finisce spesso col restituire la sensazione che gli manchi quel quid per essere completo. Con otto moto in pista a Ducati il “vivaio” non manca, sarà importante valutare chi gli convenga mettere di fianco a Pecco: una seconda punta con cui mirare al titolo o un buono scudiero che tenga il clima disteso nel box. Potrebbe essere una questione tutt’altro che secondaria, ma la gestione piloti non è mai stata il punto forte dei desmo vertici. Bagnaia dopo la conclusione, quasi, in bellezza, vorrà mettere nero su bianco il salto di qualità effettuato, mentre Bastianini e Martin, ormai privi delle giustificazioni date dallo stato di rookie, vorranno dare il tutto per tutto e dimostrare di far parte dei grandi. Una cosa è certa: dopo cinque anni in cui Ducati fa scuola sulla tecnica e la sua superiorità è evidente a tutti, la vittoria di qualsiasi altra casa sarà in primis una sua sconfitta.

Honda ha fatto un grande salto in avanti, la moto è stata rivoluzionata e si vede che l’ispirazione viene da Ducati. La nuova HRC deve essere una moto più umana e guidabile da tutti, i suoi piloti l’hanno chiesto a gran voce e il record fatto segnare a Mandalika da Espargaro sembra confermare l’imbocco della strada giusta. Marquez dopo due anni correrà una stagione sin dall’inizio e si spera fino alla fine. La sua forma fisica non è ancora al 100% dopo il problema alla vista e quello precedente alla spalla destra, ma sappiamo tutti di cosa è capace e quanta fame abbia.

Aprilia nei test è andata forte, la moto ha subito un’importante evoluzione e i suoi piloti hanno potuto beneficiare di qualche giorno in più di prova, grazie alle concessioni di cui gode. Il periodo di adattamento di Vinales dovrebbe essere concluso, se il feeling con la moto ci sarà, come è probabile che sia, sarà in grado di giocarsi qualche vittoria, anche se dubitiamo il titolo.

Suzuki ha fatto un gran passo avanti. Era già una moto molto equilibrata e da quest’anno anche il motore è in grado di dire la sua. Dalla sua ha due piloti, che sanno essere molto veloci e la nuova gestione del team affidata a Suppo, che potrebbe aiutarli a ritrovare la bussola. L’assunzione del piemontese è notizia fresca, e diciamocelo, un po’ fuori tempo. Far iniziare un team manager alla prima di campionato è una mossa un po’ azzardata. Alla squadra sarebbe stato utile quantomeno fare gli ultimi test a Mandalika con la sua presenza, probabilmente i giapponesi hanno sperato fino all’ultimo in un ritorno di Brivio. Mir dal canto suo, dopo vari rumors sulla sua dipartenza verso altri lidi, si trova in una situazione favorevole con una moto evoluta sotto una nuova gestione, anche se crediamo sarà difficile vederlo in lotta per il titolo.

KTM e Yamaha rimangono due grandi incognite. La prima l’anno scorso ha arrancato e non è riuscita a migliorarsi molto per questa stagione. La seconda ha deluso largamente Quartararo, che dice di averla già portata al limite durante i test, un limite molto vicino a quello dell’anno scorso. L’austriaca dalla sua ha i due rookie più promettenti dell’anno: il campione e il vice campione al debutto Moto2. La giapponese paga un grande divario di motore con le migliori e la cosa ha portato Fabio, l’unico ad aver avuto prestazioni di rilievo l’anno scorso, a guidare sopra al limite mettendoci una gran pezza. Il francese non sembra contento della situazione, ma si vocifera che Ezpeleta non sia disposto a far perdere l’attuale equilibrio alle case e, probabilmente, Quartararo resterà dov’è.

La grande differenza tra le due case è che la Yamaha nonostante venga data per spacciata ad inizio stagione, alla fine dei giochi porta a casa risultati di rilievo, mentre KTM dalla sua ha la forza di una casa giovane e aggressiva, dotata di un’elasticità sconosciuta a Iwata. Quartararo è sicuramente galvanizzato dal titolo vinto in precedenza ma, e spero di sbagliarmi, Yamaha non l’ha messo nella condizione ideale per lavorare serenamente. Le molte dichiarazioni di malcontento denotano da parte sua un inizio non dei migliori, che potrebbe costargli la conferma per il titolo. Morbido ha le carte in regola per fare bene e se le problematiche alla gamba sono finite potrà dire la sua, ma la sensazione è che la casa dei tre diapason non abbia fatto gli sforzi dei concorrenti.

Ventiquattro moto in griglia, un terzo Ducati e le altre case decise a smettere di inseguire. Quattordici campioni del mondo e il calendario più lungo di sempre, spalmato su 21 gare. Un capitolo appena chiuso, un grande ritorno e tanti giovani che voglione emergere. I presupposti per una delle stagioni più agguerrite di sempre ci sono.

Mattia Caimi

Appassionato di moto in tutte le salse, é cresciuto leggendo i "Pensieri sporchi" del Ciaccia. Ama scrivere del mondo del motociclismo, fingendo di capirne qualcosa.

Inventing Anna: quando l’apparenza ing-Anna davvero

Inventing Anna: quando l’apparenza ing-Anna davvero

Inventing Anna: quando l’apparenza ing-Anna davvero

È disponibile dall’11 febbraio 2022 la nuova serie Netflix Inventing Anna, scritta da Shonda Rhimes e prodotta dalla sua Shondaland, la casa di produzione che l’anno scorso a Natale ci ha regalato Bridgerton, la cui seconda stagione è in uscita sulla stessa piattaforma il 25 marzo.

L’intera storia è completamente vera, ad eccezione di tutte le parti che sono totalmente inventate”.

Con questa frase inizia ciascuna delle 9 puntate che compongono la miniserie televisiva di genere true crime dal titolo Inventing Anna, che in una settimana ha conquistato il pubblico di spettatori della piattaforma dello streaming Netflix.
Sin da subito capiamo che la confusione tra verità e inganno è la protagonista indiscussa della storia di una giovane ereditiera tedesca, sbarcata in America, e più precisamente a New York, che in poco tempo è riuscita inspiegabilmente a truffare l’élite della Grande Mela.
Tutta la serie parte e si regge su una sola, fondamentale domanda: chi diavolo è Anna Delvey?
Ereditiera o truffatrice? Donna d’affari o criminale? E se fosse tutto questo insieme?

Tratto da una storia “vera”

La vicenda che ruota introno ad Anna Delvey, conosciuta anche come Anna Sorokin (iniziamo con gli pseudonimi), è tratta da una storia vera, quella della “reale” Anna Delvey-Sorokin (“reale” che qui equivale a “inventata”, aiuto).
In breve, Anna si è spacciata per una ricca ereditiera tedesca per truffare molte persone dell’alta società, star e socialite, protagonisti della vita mondana di New York, ma soprattutto ricchi e straricchi. E non si è fermata qui, perché la scia di sangue (sarebbe meglio dire “di debiti”) si è estesa a numerosi hotel e diverse banche. Ma come ha potuto fare tutto questo? Come pagava i vestiti, gli eventi, i jet, le suite private, i massaggi, le vacanze, la bella vita che faceva se non aveva neanche un centesimo in tasca?
Seguendo le macerie che si è lasciata dietro si arriva dritti dritti in prigione, dove la ragazza viene sbattuta dopo l’ennesimo saldo insoluto di un albergo dove alloggiava. Anna è stata arrestata nel 2017 e poi condannata nel 2019 per 8 capi di imputazione (tra cui truffa, tentato furto e appropriazione indebita) a 12 anni di carcere. Uscita a febbraio 2021, è stata nuovamente arrestata sei settimane dopo perché il suo visto era scaduto.
La serie di Shonda Rhimes si basa sull’articolo “Come Anna (Sorokin) Delvey ha ingannato la gente di New York” scritto da Jessica Pressler del New York Magazine. La sua incredibile storia è stata già raccontata nel libro scritto dalla sua ex amica Rachel Williams, “My Friend Anna”, e verrà ancora tratta in una serie HBO che deve ancora andare in onda, in un documentario realizzato con la Bunim Murray Production a Los Angeles, in un libro della stessa Anna sul suo periodo trascorso in prigione, e in un podcast. Poi speriamo che Anna si lasci questa storia alle spalle.

La vera Anna Delvey-Sorokin a destra

Stiamo pagando una criminale mentre vediamo Inventig Anna?

Anna di certo non è una Lannister, perché la sua strada è lastricata di debiti insoluti. Durante il processo, si è stimato che la ragazza abbia rubato circa 275mila dollari.
A fronte di tutto ciò, il magazine statunitense Insider ha riferito che Netflix ha pagato a Sorokin la somma di 320mila dollari per avere i diritti della sua storia da adattare nella serie di Shonda Rhimes. Un bel gruzzolo da consegnare a una truffatrice. Per fortuna, quei soldi Anna li ha usati per iniziare a pagare i suoi debiti e i rimborsi. Si parla di 198mila dollari dovuti alle banche che il tribunale le ha imposto, 24mila dollari di multe statali, senza contare le spese legali a suo carico dopo la condanna. Speriamo che non finiscano in altri vestiti e vacanze di lusso, non sarebbe la prima volta. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, si dice, no?

 

Il giudizio sulla serie, senza spoiler

Tornando alla serie, Inventing Anna racconta una versione romanzata della vicenda. Il fatto che sia “tratta da una storia vera” non significa che sia meglio di una storia totalmente inventata. E questa in realtà lo è, perché – lo abbiamo ormai capito – in realtà Anna Delvey non esiste. O meglio, esiste ma non è quella che aveva portato tutti a credere che lei fosse. Confusi? Bene, vuol dire che siamo sulla strada giusta.

In virtù del “romanzato”, tratteremo Inventing Anna come ciò che è, cioè una serie con personaggi, trame e sottotrame, attori, costumi e tutto il resto.
La protagonista, Anna Delvey, è interpretata da Julia Garner, già vincitrice due Premi Emmy come miglior attrice non protagonista in una serie drammatica (Ozark), e notata dalla critica per la sua prova nel film The Assistant, per il quale ha ottenuto una nomina agli Independent Spirit Awards.
Il personaggio di Anna o si ama o si odia, ma più frequentemente suscita un misto tra i due estremi. All’inizio si è portati quasi ad ammirarla: la sua storia è avvolta nel mistero (un motivo che aumenta ancor di più l’attrattiva nei suoi confronti), emergono solo la sua acuta intelligenza, il fiuto per gli affari, il gusto per l’arte e la sua straordinaria e inspiegabile capacità di stregare tutti coloro che le stanno intorno. La sua ascesa sembra puntare molto in alto, mossa da un proposito che appare artistico e filantropico, quasi illuminato: la creazione della Fondazione Anna Delvey, un santuario super esclusivo per artisti selezionati e mecenati amanti dell’arte. Ovviamente, per realizzare questa visione le servono soldi, tanti soldi, sottoforma di donazioni o prestiti.
All’inizio quindi Anna sembra avere uno scopo, tanto grande quanto difficilmente realizzabile. Poi, man mano che procede la storia, la giovane socialite scade in quella che, brutalmente, chiameremmo “patetica scroccona”. Se ne sta lì in panciolle, ad aspettare che le venga approvato il prestito di 40 milioni che ha richiesto per la sua fondazione (a questo punto, chiara copertura per far finire i soldi direttamente nelle sue tasche). E nel mentre spende e spande soldi degli altri (ad esempio, della sua amica Rachel a Marrakkech), soldi che lei non possiede.
All’inizio della storia la troviamo già dietro le sbarre, e la sua avventura viene ricostruita tramite continui salti temporali dal presente al passato, sfruttando lo stratagemma delle interviste realizzate dall’altra protagonista della serie, la giornalista Vivian.


Il personaggio prende vita grazie all’attrice Anna Chlumsky. Vivian è una cacciatrice di storie implacabile. Incinta, tiene alla sua carriera forse più della nascitura in arrivo da lì a poche settimane. Farà di tutto per salvarla (la sua carriera, non la nascitura), dopo uno scandalo di presunto “cattivo giornalismo” che l’aveva vista coinvolta tempo prima. Per farlo si aggrappa alla storia di Anna, sicura di aver trovato qualcosa di importante e d’impatto da raccontare.
Nel corso delle puntate, Vivian ricostruisce il passato della misteriosa ereditiera-criminale incontrando e intervistando i suoi amici, le sue conoscenze, i suoi partner in affari, e creando un rapporto diretto con lei, andando a trovarla periodicamente in carcere (e comprandole riviste e mutande griffate).

“Vip è sempre meglio”

Inventing Anna ha spaccato quasi a metà la critica: alcuni apprezzano la forza e la portata sopra le righe dei personaggi, soprattutto femminili, su cui si basa la storia; altri tacciono la serie di non aver trovato un modo che funzioni davvero per far empatizzare lo spettatore con i vari personaggi, che appaiono così lontani, assurdi e sgradevoli.
Per non parlare delle accuse secondo le quali la serie dipinge Anna Delvey come una donna d’affari che ha mancato il successo, un personaggio brillante, quasi una sorta di modello da ammirare, nonostante le sue intricate truffe per ottenere milioni di dollari, le continue bugie ai suoi amici, lo sprezzo del valore della fiducia, e tutte le altre cose criminose che ha compiuto.
La recitazione di Garner e quella di Chlumsky è molto valida, l’ambientazione è quella di una New York alla Sex And The City (o forse sarebbe meglio dire, in questo caso, alla Scam And The City), anche se la trama presenta alcune debolezze in certi punti (perché nessuno conosce la ricca famiglia di Anna? Possibile che nessuno abbia pensato di googlarli? Va bene che stanno in Germania, ma non è mica Atlantide).

Il senso della vita è essere o possedere? Anna è entrambi, o meglio, vuole esserlo. Come un Mattia Pascal che vuol fuggire dalla sua vita mediocre (ops, piccolo spoiler), e si inventa un Adriano Meis che vince grandi somme al casinò di Montecarlo, frequenta belle donne e si da alla “bella vita”. Chi è arrivato in fondo al celebre romanzo di Pirandello sa come è andato a finire Pascal-Meis. Una sorte non così diversa da quella di Delvey-Sorokin, quasi vinta dal rischio di essere dimenticata da tutti, il suo più grande incubo, dietro le sbarre di una prigione. Ma Anna ha un’ultima chance per essere ciò che più brama: ricca e famosa. E Vivian (o è Shonda Rhimes?) è lì per quello.

In definitiva, forse dovremmo chiederci non “chi è Anna?”, ma “qual è la storia di Anna?”. E non “come ha fatto a rubare tutti quei soldi?”, ma “come ha fatto a non farsi beccare per così tanto tempo?”. Non vi resta che vedere la serie per scoprire le risposte.

Per altri consigli su serie tv da vedere, leggi qui.

Martina Costanzo

Sono Martina Costanzo, laureata in lettere moderne all'Università degli Studi di Milano e attualmente insegnante di italiano alle scuole medie e superiori. Oltre alla lettura, la mia grande passione è il cinema. Per IoVoceNarrante scrivo le recensioni dei film e delle serie tv di successo appena usciti, e classifico i migliori prodotti da vedere. Nessuno è mai rimasto deluso da un mio consiglio, provare per credere.

Più istituti tecnici, meno licei: i dati di Semrush sulla scelta delle scuole superiori

Più istituti tecnici, meno licei: i dati di Semrush sulla scelta delle scuole superiori

Più istituti tecnici, meno licei: i dati di Semrush sulla scelta delle scuole superiori

Chiuse le iscrizioni per le scuole superiori, l’istituto tecnico di meccanica è quello che registra la crescita maggiore (+46%), seguito dall’istituto professionale di grafica (+26%). Notevoli tassi di decrescita per i licei.

Capire chi vogliamo essere è difficile, ma necessario. Scegliere la scuola superiore, forse, lo è ancora di più. A tredici anni sai a malapena chi sei, figuriamoci chi vuoi diventare. Alla luce della chiusura delle iscrizioni al primo anno di scuole superiori di fine gennaio,  Semrush – piattaforma di Saas per la gestione della visibilità online – ha analizzato le ricerche sul web relative alle scuole superiori svolte nei mesi da settembre 2021 a gennaio 2022, confrontandoli con lo stesso periodo dell’anno precedente. Del resto, è normale aspettarsi che una generazione di nativi digitali, molto attiva su tutti i canali social e sempre connessa, cerchi in rete le informazioni di cui ha bisogno.

Si tratta di un momento importante, che rappresenta un primo mattoncino per costruire il proprio futuro. La generazione di oggi è per molti versi una generazione nuova: la prima a sperimentare la didattica a distanza, le quarantene e il distanziamento anche all’interno degli istituti scolastici, luoghi di socializzazione per eccellenza. Come avrà inciso questo momento di regole e incertezza sulla scelta dell’istituto a cui iscriversi?

Stando ai dati monitorati, l’indirizzo che ha visto crescere in misura maggiore il volume di ricerche è stato l’istituto tecnico di meccanica e meccatronica, con un incremento del 46%. Queste scuole consentono agli studenti di sviluppare competenze teoriche e pratiche nella meccanica, nello sviluppo dei macchinari e dell’automatizzazione dei sistemi di produzione industriale. Del resto, è questa la strada che sta prendendo la nostra società, e i ragazzi vogliono far parte del progresso ed aiutare a costruirlo.

Secondo posto in termini di crescita di interesse online per l’istituto professionale di grafica e comunicazione, a +26%, mentre sul posto d’onore del podio l’istituto tecnico turistico, con un miglioramento dell’11%. 

​Per quanto riguarda i licei, il dato migliore è registrato dal liceo musicale e coreutico, che cresce del 6%, seguito dal liceo artistico+5% e dal liceo linguistico a +2%. In calo, invece, l’interesse per il liceo delle scienze umane (-4%), liceo classico (-10%) e scientifico (-11%).

Nonostante a livello nazionale i licei sembrino destare poco interesse, le cose cambiano se analizziamo i dati locali. Ad esempio, le ricerche relative ai licei linguistici crescono a Roma del 612% (è il tasso più alto rilevato nello studio), a Milano del 300% e a Palermo del 100%. A Firenze in molti guardano al liceo delle scienze umane (+557%), così come a Torino (+550. Il liceo classico cresce a Napoli (+175%), mentre lo scientifico, fanalino di coda nel suo ambito a livello generale, cresce a Torino del 333%, a Bologna del 200% e a Padova del 141%.

“Una questione privata”: l’amore

“Una questione privata”: l’amore

Una questione privata: l’amore 

Una questione privata è un romanzo pubblicato nel 1963, dopo la morte dello scrittore che lo ha concepito, Beppe Fenoglio. Ambientato negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale, racconta la Resistenza senza esplicitarla. L’amore di Milton per Fulvia attraversa tutto il romanzo, e spinge il giovane partigiano a risolvere la propria questione privata.

Tutti abbiamo una questione privata da risolvere in mezzo al tempo che passa, a problemi più grandi, a una vita che scorre senza sosta. E per quella piccola questione privata saremmo capaci di mettere da parte tutto il resto, ormai sbiadito se confrontato a un amore perduto, a un tradimento subìto, a un’ossessione che ci divora. Tutti siamo stati, siamo o saremo Milton, ma senza lo sfondo atroce della guerra.

Milton ama Fulvia, e noi Fulvia la conosciamo soltanto tramite le parole di Milton. Fa parte di un passato che ci viene raccontato a posteriori, che non esiste più perché spezzato da un periodo storico che non lasciava spazio all’amore e alla spensieratezza di una giornata di sole. Eppure, siamo lettori di un romanzo che racconta la Resistenza senza esplicitarla. Ecco dove risiede la straordinarietà delle parole di Beppe Fenoglio.

L’amore muove all’azione, spinge la mente e il corpo ad agire, a lasciarsi tutto alle spalle pur di stargli dietro. Ci trasforma continuamente, ci costringe a guardarci allo specchio senza riconoscere l’immagine riflessa. Ci travolge e noi, inermi di fronte a una tale forza, lo seguiamo, lo impersoniamo e lo veneriamo come se fosse il nostro Dio. E se quell’amore è perduto, messo in dubbio o attraversato da una viscerale gelosia, nient’altro conta più al mondo.

La guerra, la Resistenza, le armi, la sofferenza, cosa sono per Milton quando il nome di Fulvia gli bagna le labbra, quando qualcuno insinua nella sua mente il dubbio? Niente, forse soltanto un impedimento, un ostacolo che è pronto ad affrontare, pur di scoprire, di trovare una risposta. Leggiamo insieme l’incipit.

La bocca socchiusa, le braccia abbandonate lungo i fianchi, Milton guardava la villa di Fulvia, solitaria sulla collina che degradava la città di Alba.

Il nome di Fulvia è subito presente, e già dall’inizio ci accorgiamo dell’importanza che riveste nella vita di Milton. Ne ricorda l’infinita bellezza, contrapposta al proprio aspetto; egli viene descritto, infatti, come un ragazzo brutto, alto e magro. Ricorda i momenti trascorsi insieme, i posti che ne facevano da sfondo e i loro dialoghi. Ricorda un prima, spezzato da un dopo che rappresenta ancora il presente. Cosa è stata la guerra se non questo? Una rottura con la vita di tutti i giorni, con gli amori imperfetti, con le amicizie intense, le passeggiate prive di paura. E con una punta di nostalgia, il narratore del romanzo ci restituisce quei ricordi:

«No, non sei splendida».
«Ah, non lo sono?»
«Sei tutto lo splendore».
«Tu, tu, – fece lei, – tu hai una maniera di mettere fuori le parole… Ad esempio, è stato come se sentissi pronunziare splendore per la prima volta».
«Non è strano. Non c’era splendore prima di te».

Come si fa a non amare i loro dialoghi, le parole che Milton le riserva e le risposte di Fulvia, lusingata e sorpresa. È un passato che ci manca anche solo leggendone i ricordi. Al di là dell’epoca in cui viviamo, se ci sia la guerra o meno, quel sentimento folle e imperfetto rimane lo stesso. Ecco perché riusciamo a comprendere Milton e Fulvia. E siamo in grado di capire perché egli ha bisogno di trovare Giorgio, il suo amico più caro.  

Milton va nella casa in cui Fulvia, che non vede da più di un anno, ha vissuto per un breve periodo, e rischia anche di essere catturato. È in questa casa che i ricordi ritornano, ancora più vividi e chiari. Qui incontra la custode della villa, che trasforma i pensieri del ragazzo, insinua nella sua mente un dubbio che attraverserà tutto il romanzo e muoverà le sue azioni. La custode racconta di Fulvia e Giorgio, alludendo a un legame tra i due mentre Milton era soldato. Gli rivela che erano sempre insieme, fino a tarda sera.

Era entrato per raccogliervi ispirazione e forza e ne usciva spogliato e distrutto.

Spogliato e distrutto”, come chi ha riposto la propria forza in una persona, in mezzo a un’immensa sofferenza, e ha ritrovato una più grande debolezza. Fulvia era il ricordo felice di un passato sereno, ora Milton non sa più niente. Ha bisogno di sapere, di ottenere delle risposte, di trovare Giorgio. Non esiste più nulla, neppure la guerra, tutto si confonde e svanisce di fronte a una forza maggiore. Siamo fragili quando amiamo, quando qualcun altro ci mette in discussione. Ci sentiamo esposti a un pericolo astratto, che non possiamo toccare con mano, ma che possiamo solo sentire. Vogliamo conoscere le ragioni di un’emozione, risolvere un ossimoro che non riusciamo a capire. Vogliamo che l’altra persona ci guardi come noi guardiamo lei, e vogliamo che nessuno la guardi nello stesso modo.

La guerra è l’ostacolo di tutti quanti. La guerra diventa l’ostacolo personale nella vita di Milton, che vuole risolvere ad ogni costo la sua questione privata, e tutto il resto non gli importa. Ecco, l’amore…

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Emily Dickinson e il coraggio di essere dei re

Emily Dickinson e il coraggio di essere dei re

Emily Dickinson e il coraggio di essere dei re

Il ricordo di Emily Dickinson, poetessa statunitense vissuta nell’800, rimane vivo grazie alle sue numerose poesie, fonte di riflessione e ricche di significato. Vogliamo omaggiarla ricordando una delle sue poesie più belle.

 

Emily Dickinson nasce il 10 dicembre 1830, e il suo nome rimanda subito alla nostra memoria le sue poesie: delicate, coraggiose e infinitamente belle. Semplici da comprendere ma prive di banalità, hanno il potere d’insegnarci ogni volta qualcosa che, forse, avevamo tralasciato.

Ha vissuto soprattutto nella casa della sua famiglia d’origine, borghese e di tradizioni puritane. Difficile è stato per la poetessa il rapporto col padre, che definì in questo modo: “Mi compra molti libri ma mi prega di non leggerli perché ha paura che scuotano la mente”.

All’età di venticinque anni decide di recludersi nella propria camera, e non uscì neppure quando morirono i suoi genitori.

In molti dei suoi componimenti possiamo scorgere la figura di un uomo, il reverendo Charles Wadsworth, di cui si innamorò. Era, però, già sposato con figli e l’amore che provò per lui rimase platonico.
Emily Dickinson morì di nefrite ad Amherst, medesimo posto in cui era nata, il 15 maggio 1886 all’età di 55 anni.

Non conosciamo mai la nostra altezza

Non conosciamo mai la nostra altezza
finché non siamo chiamati ad alzarci.
E se siamo fedeli al nostro compito
arriva al cielo la nostra statura.
L’eroismo che allora recitiamo
sarebbe quotidiano, se noi stessi
non c’incurvassimo di cubiti
per la paura di essere dei re.

Cos’è la nostra altezza se non il nostro valore? Quel che siamo in grado fare e, soprattutto, di essere, ma che spesso sminuiamo. Paradossalmente, è più facile riconoscere il valore e le capacità altrui, il loro essere all’altezza, e dimentichiamo quel che siamo noi. Ci nascondiamo dietro le nostre insicurezze, sempre in disparte, abbandoniamo il coraggio di metterci alla prova.

Quando siamo chiamati a tentare ci accorgiamo di essere meno piccoli di quel che credevamo. Dopo esserci alzati, se abbiamo la forza di continuare e di non lasciarci vincere dalla paura di non essere abbastanza, arriva al cielo la nostra statura.

Il nostro eroismo, però, non dovrebbe essere occasionale, ma quotidiano. Dovremmo abbracciare quel coraggio, quella voglia di uscire dall’oscurità delle nostre insicurezze. Dovremmo abbandonare la paura di essere dei re, senza accontentarci di una vita vissuta in disparte.

Siamo abituati a vivere tra la massa, come se il nostro contributo fosse insignificante. Ci disperdiamo tra la folla, non alziamo la voce, non ci esponiamo. Farlo significherebbe rischiare di non essere apprezzati da chiunque e a noi non piace gestire i rifiuti. Non siamo neppure in grado di farlo. È più facile osservare le vite degli altri, non indagare sulle nostre potenzialità e darci dei no a priori.

 

Solo due quartine, otto versi e poche parole, ma colme di significato. Emily Dickinson ci chiama ad agire, a riconoscere la nostra altezza, a fare i conti con la nostra autostima. Ci esorta a tentare pur riconoscendo la paura che comporta. Si rivolge a chi vuole essere coraggioso, ma non sa come.

Una poesia non deve essere solo letta, ma vissuta, interpretata e fatta propria. È un’esperienza che si consuma verso dopo verso, ma che non si esaurisce mai.

 

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.