Pink Floyd: The Wall, le angosce e le domande di Roger Waters
Pink Floyd: The Wall, le angosce e le domande di Roger Waters
Quarantatré anni dopo la sua uscita, “The Wall” è un concept album ancora attualissimo per l’universalità dei temi trattati sulla condizione umana, dallo straniamento all’impossibilità di comunicare.
Andare oltre il Muro leggendo i testi dell’opera rock “The Wall”, è un esercizio che ci permette di ritrovare alcuni temi che si andavano imponendo alla sensibilità della band inglese. I Pink Floyd erano all’apice del loro successo con il tour precedente legato all’album “Animals”; le cifre di vendita e le presenze ai concerti sono sbalorditive e cresce nel leader di quegli anni, il bassista e cantante Roger Waters, la vertigine e la sensazione che il megaconcerto sia un luogo dove non ci sia un vero incontro, ma una festa vuota, dove si erge un bastione invalicabile tra la band e la gente. Il doppio vinile uscito nel novembre del 1979 ha le sue radici quindi nel precedente tour mondiale dei Pink.
Straniamento, impossibilità di raggiungere i fan, alienazione mentale; quest’ultima è una impressione forte nel gruppo, che alcuni anni prima ha visto uscire dalla formazione il fondatore Syd Barrett proprio per progressivi disturbi mentali. Il muro della copertina, completamente bianco di mattoni tutti della stessa dimensione, ci ricorda le pareti immacolate e Marcello Mastroianni con la frusta in mano, regista in crisi che non sa più cosa dire e come dirlo del capolavoro felliniano “8 e ½”.
Nel primo vinile dominano la paura e le domande. Certo la paura della guerra, che priva il piccolo Roger del padre, caduto nella Battaglia di Anzio del 1944, e che si palesa con il rumore degli aeroplani nella prima traccia “In the flesh?”. Ma anche quella di vivere.
Da qui in avanti si impone la figura della madre, che instilla nel figlio le proprie fobie: in “The thin ice” lo mette in guardia dal rischio di camminare sul “ghiaccio sottile della vita moderna”. Ricorrono le parole fear (paura, appunto), reproach (rimprovero) dei milioni di occhi rigati di lacrime (tear-stained), ossia il ricatto dei cari in pena per il piccolo. Quando il ghiaccio si rompe il bambino cade nell’abisso ed esce di testa (out of his mind). La scena si completa con l’immagine del figlio spaesato che si aggrappa al ghiaccio frantumato.
Nella canzone “Mother” ritorna il terrore della guerra, del non essere accettato, dell’essere bullizzato come accadeva a scuola; la paura di soffrire per amore. Tutto viene espresso con domande che Waters pone alla madre: “mamma, pensi che sganceranno la bomba? Che la mia canzone piacerà? Che io mi potrò fidare del governo? Mamma, mi spezzerà il cuore?
Ai suoi dubbi risponde il chitarrista David Gilmour, che, come controcanto, utilizza le parole nightmare (incubo) e di nuovo fear, e per contrasto afferma che la madre lo terrà cozy and warm (coccolato al caldo), che gli sceglierà le fidanzate, ma che lo terrà sempre d’occhio.
Nella tripla “Another brick in the wall” parte prima e seconda e “The happiest days of our lives” Waters ricorda i professori che evidenziavano le debolezze (weakness) dei bambini, e immagina gli stessi a casa frustrati e succubi di mogli psicopatiche, di nuovo parlando di disagio mentale, come visto in precedenza. Il coro degli alunni che chiedono urlando “non abbiamo bisogno di questa educazione, professori, lasciate i ragazzi da soli” è uno dei pezzi più famosi dell’opera e della musica moderna in generale; quasi un sogno, il desiderio del giovane Roger.
La riflessione sulla guerra ritorna in “Goodbye blue sky”, ed è la fine dell’innocenza. Ritornano gli uomini spaventati (frightened), che scappano. Ritornano le domande: “perché scappiamo se ci avevano promesso un mondo nuovo sotto un cielo blu chiaro?”.
Pink (questo il nome del protagonista, alter ego di Waters) è ormai adulto ed è diventato una rockstar, ma il suo processo di alienazione prosegue; sta costruendosi il muro che lo separa da tutto. Affronta una crisi (One of my turns) e domanda alla donna che è con lui se vuole dormire, fare l’amore o imparare a volare (la vuole uccidere?) o se vuole vederlo volare. “The Wall” è ormai costruito.
Nel secondo vinile il protagonista prende la scena, e i testi si soffermano maggiormente sulle sue azioni; la madre, l’assenza del padre, il maestro e la moglie lo hanno aiutato a porre mattoni su mattoni.
Ora assistiamo alla sua ricerca di qualcuno oltre la parete. In “Hey you” domanda aiuto e chiede se qualcuno lo sente. Come sempre nel tentativo di risalire ci sono momenti in cui tutto sembra vano, e una voce dice: “il muro è troppo alto, e i vermi gli stanno mangiando nel cervello”, con un nuovo riferimento all’aspetto psichico. Nel finale appare però anche uno sguardo al futuro: “hey tu, non dirmi che non c’è speranza; uniti resistiamo, divisi cadiamo”.
Pink si rende conto che a casa non c’è nessuno, che è da solo; nella famosissima “Confortably numb” (Piacevolmente intontito) vince le paure che ne derivano con delle pillole, e in una traccia precedente c’è un riferimento alle siringhe. Anche il ricordo del passato e del padre sembra scomparire.
In “The show must go on” Pink continua a riflettere, prega i genitori di riportarlo a casa, e si chiede: “è troppo tardi?”. È forse possibile invertire la strada intrapresa?
Forse lo sarà, ma il protagonista dovrà passare attraverso un incubo in cui il suo altro è un dittatore che cerca i diversi, neri, ebrei o omosessuali. Allora aspetta che il delirio passi, per prendersi una pausa (“Stop”) e di nuovo chiedersi: “è sempre stata colpa mia?”.
La redenzione passa attraverso il processo (The trial). Riappaiono quindi il maestro e la madre, i rimproveri e le offerte di rifugio sicuro nella casa di quando era bambino.
Il giudice lo dichiara quindi colpevole di aver fatto soffrire tante persone, e lo condanna a tornare in mezzo ai suoi pari. Pink deve riprendere a mostrare le sue paure più profonde. Il muro va abbattuto! La sua salvezza passa proprio attraverso le angosce di esporsi.
Le parole dell’ultima traccia, “Outside the wall”, ossia “Fuori dal muro” sono forse una riflessione generale sui rapporti umani: le persone buone, che ci vogliono bene, ci sostengono e ci fanno stare in piedi. Alcuni cadono, dopotutto non è facile resistere quando si sbatte contro il muro di un idiota matto.
I rapporti umani si interrompono contro le pareti che, a turno, ognuno di noi alza e abbassa, senza soluzione di continuità.
Danilo Gori