Colazione da Tiffany: la paura di mettere radici e il fascino del provvisorio
Il 20 gennaio 1993 scompariva la diva più graziosa del cinema del ‘900: Audrey Hepburn. Ricordiamola con l’iconico tubino nero Givenchy, collana di perle, cappuccino e brioche, rapita dalla seducente vetrina Tiffany di New York.
Si apre così Colazione da Tiffany, film del 1961 del regista Blake Edwards ispirato all’omonimo romanzo del 1958 di Truman Capote. Regina indiscussa della scena è la Hepburn che nel film riveste il ruolo di Holly Golightly. Bastano pochi secondi per essere catapultati nel suo mondo: siamo nella New York degli ultimi anni Cinquanta, alle prime luci dell’alba, un taxi si ferma davanti a Tiffany, scende la protagonista di ritorno da una festa e, raffinata ed elegantissima,con inaspettata disinvoltura, tira fuori da un cartoccio la sua colazione (click qui per la scena). Holly è così. Affascinante ma sbarazzina, dolce ma imprevedibile e goffa. Il suo modo di approcciarsi alla vita è leggero e impulsivo, proprio come il cognome, ‘go lightly’, conferma. È la tipica donna che sa indossare una collana di perle e con la medesima verve fischiare con le dita per chiamare un taxi.
Certamente una figura e uno spirito brioso, di quelli che attraggono, travolgono e diffondono energia positiva attorno a sé. Eppure nemmeno Holly è perfetta. Vive in ristrettezze economiche e si mantiene facendo la prostituta d’alto rango,offrendo sorrisi (e qualcosa di più) ai distinti e attempati frequentatori dei party di Manhattan. Svolgerà indubbiamente una professione disdicevole, ma alla grazia molto si perdona, specialmente quando dietro batte un cuore che sa rimanere puro e genuino.
La protagonista però, oltre a dover sopportare il peso di quel difficile mondo, deve convivere ogni giorno con la sua paura più grande: quella di legarsi per sempre a qualcuno e ‘mettere radici’ in un luogo. Sì perché benchè lei viva a New York da ormai un anno, non ha ancora arredato la casa, né svuotato del tutto le valigie, né dato un nome al gatto che chiama semplicemente ‘Gatto’. Tutto nella vita di Holly è ‘provvisorio’ e forse possiamo capirla: fare programmi significa costruirsi delle aspettative e, spesso, rimanere disillusi da queste. Preferisce vivere libera, come un animale randagio, sola, indipendente e al sicuro nel suo vacillante universo di incertezze.
Anche l’amore la spaventa. Per Holly amare e farsi amare significa ‘appartenere’ a qualcuno, cadere in trappola. Ma il suo è un meccanismo difensivo o solo un modo usato per celare poco coraggio e tanta paura? Paul, lo scrittore nuovo vicino di casa di Holly e poi l’unico a cui lei avrà l’ardire di legarsi davvero, ha le idee chiarissime in merito: “Vuoi sapere qual è la verità sul tuo conto? Sei una fifona, non hai un briciolo di coraggio […] Tu ti consideri uno spirito libero, un essere selvaggio e temi che qualcuno voglia rinchiuderti in una gabbia. E sai che ti dico? Che la gabbia te la sei già costruita con le tue mani ed è una gabbia dalla quale non uscirai, in qualunque parte del mondo tu cerchi di fuggire, perché non importa dove tu corra, finirai sempre per imbatterti in te stessa.”.
Tutti vorremmo un po’ essere Holly, provare a realizzare il proposito di vivere sempre leggeri e forti da soli, senza bisogno di niente e nessuno. O forse ci serve solamente trovare il nostro luogo com’è Tiffany per Holly, un luogo in cui sentirsi al sicuro e protetti, lontani dalle più malinconiche ‘paturnie’.
Matilde Vitale
Mi chiamo Matilde e sono una laureata in Lettere moderne. Nella scrittura ho trovato la simbiosi perfetta tra le tre ‘c’ che regolano e orientano la mia vita: conoscere, creare e criticare. Sono tre c impegnative e dinamiche, proprio come la mia mente e personalità che corrono sempre troppo veloci. Se ti interessa scoprire qualcosa di me o di ciò che scrivo non ti resta che iniziare a leggere, buona lettura!