Agostino: un paradigma del romanzo di formazione

Agostino: un paradigma del romanzo di formazione

Agostino: un paradigma del romanzo di formazione

Agostino, pubblicato nel 1943, è la narrazione di una scoperta conseguente a una rottura: il sesso al venir meno del quasi edipico rapporto con la madre. Torbida, corrotta e insidiosa, la sessualità priva Agostino di ogni innocenza, gettandolo prepotentemente nell’intricato mondo degli adulti.

Additato come romanzo “scabroso” dalla censura fascista, Agostino, scritto da Alberto Moravia nel 1943, è ascrivibile al genere del romanzo di formazione, come narrazione del traumatico ingresso del suo protagonista nel mondo della sessualità e della piena adolescenza. Agostino ha infatti appena tredici anni, vive con la madre e ogni anno trascorre con lei le vacanze estive in Toscana. Verso la madre, donna bella e ancora nel fiore degli anni, Agostino nutre una sorta di venerazione che lascia pensare a un irrisolto complesso edipico. Godendo del privilegiato momento delle vacanze per poter trascorrere del tempo da solo con lei, Agostino vede turbato il proprio equilibio dall’arrivo di un giovane di nome Renzo, con il quale presto la donna intreccia una relazione a danno delle attenzioni rivolte al figlio.
L’evento è per Agostino causa di profondo turbamento, gelosia e conflitto con la madre, al punto che un giorno, lasciato solo dalla donna decide di allontanarsi dal proprio lido imbattendosi nel giovane Berto e in un gruppo di ragazzi che giocano a guardia e ladri sulla spiaggia. Agostino apprende da loro che la madre è considerata una donna facile. La notizia, produce nel giovane un radicale cambiamento di atteggiamento, arrivando addirittura a provare fastidio per il modo di lei di trattarlo ancora come un bambino.

Agostino avverte sempre più il bisogno di entrare nel “mondo dei grandi”, di avere un rapporto con una donna, di sentirsi “uomo”; la ricerca di una donna “altra” è il segno più evidente del tentativo di sostituzione della figura materna, e liberazione da essa. Venuto a conoscenza dal giovane Tortima dell’esistenza di una casa di appuntamenti nella città, procuratosi i soldi necessari, cerca di accedere al postribolo ma viene allontanato perché troppo giovane.
Agostino verte in una condizione di incomunicabilità con l’esterno, che sembra parzialmente infrangersi e aprire la strada a una nuova maturità quando alla delusione nel postribolo, segue la richiesta di Agostino alla madre di tornare a casa, e che da quel momento lei impari a trattarlo da uomo e non più da bambino.
La distruzione delle certezze che accompagnano la fanciullezza e la necessità di ritrovare sé stessi a partire da nuovi presupposti segnano quel momento di complicato passaggio e ingresso nell’adolescenza. La narrazione dagli occhi di un adolescente scandaglia nel profondo i turbamenti interiori, oltrepassando i confini del piatto naturalismo e ricercando i meccanismi più profondi che fanno di ogni giovane un uomo.

La rappresentazione delle frustrazioni e della ricerca di precarie certezze che sembrano costantemente infrangersi alla prova dei fatti, funge da specchio per ogni lettore che riveda un po’ di sé stesso in quel senso di smarrimento, innalzando la prosa di Moravia a dettato intimo e collettivo.
E così osservò il critico Geno Pampaloni in merito:
“La primitiva ispirazione rigoristica, che è all’origine del libro, si risolve in una sorta di languore, che lo scrittore identifica con grande maestria nella spossatezza sfibrante di un’estate assolata lungo la spiaggia […]. Proprio mentre scopre, nelle memorabili pagine finali del libro, che egli è lasciato solo con la sua responsabilità di giudizio di fronte anche agli affetti più gelosi e profondi come quello per la madre, Agostino è trascinato a essere complice con la vita quale che è”.

Martina Tamengo

U. Eco una volta disse che leggere, è come aver vissuto cinquemila anni, un’immortalità all’indietro di tutti i personaggi nei quali ci si è imbattuti.

Scrivere per me è restituzione, condivisione di sè e riflessione sulla realtà. Io mi chiamo Martina e sono una studentessa di Lettere Moderne.

Leggo animata dal desiderio di poter riconoscere una parte di me, in tempi e luoghi che mi sono distanti. Scrivo mossa dalla fiducia nella possibilità di condividere temi, che servano da spunto di riflessione poiché trovo nella capacità di pensiero dell’uomo, un dono inestimabile che non varrebbe la pena sprecare.

About women: La cultura del possesso

About women: La cultura del possesso

About women: La cultura del possesso

Il reato di violenza sulle donne concerne una rosa di fenomeni comprendenti: femminicidio, violenza fisica e psicologica, stalking, subordinazione. L’ONU si è impegnata a bollare questo fenomeno come atto di violazione dei diritti della persona, ma né le organizzazioni internazionali né le singole nazioni sembrano essere in grado di intervenire adeguatamente, e l’Italia tra di loro.

La recente “brutta figura” di Barbara Palombelli in merito alle vittime di femminicidio può servire da spunto a una considerazione che, si intenda, non giustifica nessun tipo di aggressione e/o omicidio ma presuppone un discernimento tra l’atto di omicidio in quanto tale e quello di femminicidio, tenendo a mente che: non tutte le morti di donne sono ascrivibili alla dinamica di “femminicidio”, a differenza di quanto spesso i giornalisti “gridano” sulle maggiori testate. Per poterne parlare è infatti necessario un atto di omicidio doloso o preterintezionale, preceduto da comportamenti misogini da parte di un individuo di sesso maschile e di fatto fondato su una presunta disparità di genere dove la donna è considerata inferiore e dunque sottoponibile a una dinamica patriarcale di subordinazione e assoggettamento tanto fisico quanto psicologico.
Da alcune rilevazioni Istat (Istat-2014) risulta che circa il 31.5% delle donne italiane in età compresa tra i 16 e i 70 anni abbia subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, di cui solo il 13.6% da partner o ex partner. La maggior parte delle violenze subite avvengono infatti da estranei. Il dato, già sconcertante in sé, lascia intendere che per questi uomini, una donna in quanto tale, possa essere posseduta fisicamente per il solo fatto di essere donna, inferiore, strumento di conseguimento di un personale piacere: illegale e lesivo della persona che subisce ma, evidentemente, irrilevante per il carnefice.
La violenza fisica non risulta tuttavia essere l’unica forma di violenza, a essere coinvolte sono anche forme violenza psicologica, economica, svalorizzazione e intimidazione, che colpiscono il 26,4% delle donne. Dinamica che aprirebbe un più ampio, ma poco attinente, discorso sulla disparità di genere di salario e impiego in Italia, disparità che spesso rende le donne economicamente dipendenti dai partner, in una logica di possesso che sembra cifra della cultura italiana da decenni.
La recente pandemia sembra non aver migliorato la situazione. Nel corso del 2020 infatti, le chiamate al 1522 (numero di emergenza contro la violenza sulle donne e stalking), sono aumentate rispetto allo stesso periodo del 2019 del 79.5%. Segnalazioni perlopiù circa violenze di carattere fisico, tra le quali aumenta la quota di vittime under 24 di 2 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Neppure in termini di femminici la situazione sembra migliore, nel 2021 dati raccolti dal Dipartimento di Sicurezza del Ministero dell’Interno hanno rilevato l’essersi verificati già 178 femminicidi dall’inizio dell’anno, dove le regioni maggiormente soggette sono state: Lombardia, Emilia Romagna, Lazio e Sicilia.
Sembra “solo” retorica, ma i dati smentiscono le infondate accuse. Un problema sociale in Italia, non certo irrilevante, sembra essere la logica maschile di predominio sulla donna. Molti uomini dimenticano come ogni atto di violenza sia una violazione di un diritto umano, diritto riconosciuto dall’ONU. Ogni atto di violenza provoca gravi ripercussioni tanto sulla salute fisica, quanto su quella mentale delle vittime (ed eventuali figli e famiglie), segnandole indelebilmente per tutto l’arco della loro vita. La Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, celebrata ogni 25 novembre, pone sotto gli occhi di tutti una drammatica verità: che il fenomeno è globale, che non appartiene solo a culture indigene, “poco progredite” diremmo noi, ma coinvolge tutti i cittadini del mondo e assegna loro la responsabilità di intervenire per estirpare una dinamica profondamente radicata nel sesso maschile da secoli.

Fonti:
Istat, 2014
Sky Tg24
Il Fatto Quotidiano
Ministero della Salute

Martina Tamengo

U. Eco una volta disse che leggere, è come aver vissuto cinquemila anni, un’immortalità all’indietro di tutti i personaggi nei quali ci si è imbattuti.

Scrivere per me è restituzione, condivisione di sè e riflessione sulla realtà. Io mi chiamo Martina e sono una studentessa di Lettere Moderne.

Leggo animata dal desiderio di poter riconoscere una parte di me, in tempi e luoghi che mi sono distanti. Scrivo mossa dalla fiducia nella possibilità di condividere temi, che servano da spunto di riflessione poiché trovo nella capacità di pensiero dell’uomo, un dono inestimabile che non varrebbe la pena sprecare.