Il tradimento degli opposti

Il tradimento degli opposti

Il tradimento degli opposti 

L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera possiede due opposti: la leggerezza e la pesantezza. C’è chi cerca la libertà di una vita priva di pesantezza, tradendo e tradendosi, e chi non può farne a meno. Viviamo cercando l’una ed evitando l’altra, ma se non ci fossero due estremi, se anche la leggerezza fosse insostenibile?

Milan Kundera ci consegna il viaggio di quattro amanti diversi: Tereza e Franz vivono nella stasi di una vita fedele ai doveri sociali e contrassegnata dalla pesantezza. Thomáš e Sabina sono alla continua ricerca di dinamicità, libertà, disprezzano le relazioni stabili e vivono una vita contrassegnata dalla leggerezza. Ma se fosse soltanto un’illusione?

Il romanzo è attraversato dal tradimento, vissuto diversamente da ciascuno di essi. C’è chi lo commette e chi lo subisce, c’è chi non può farne a meno e chi è divorato dal pesante fardello della gelosia, di un amore a metà.
Il tradimento è la ricerca della trasgressione e della fugacità, la conoscenza di un altro corpo, diverso da quello che si ha accanto ogni notte. Tradire serialmente significa vivere una vita fatta di ritorni mai definitivi: il ritorno dall’uomo o dalla donna che dorme accanto a noi e ci ama; il ritorno da un amante stabile o sconosciuto che ci permette di sbagliare ancora e ancora. Chi tradisce è consapevole dell’errore commesso, ma se continua a sbagliare rende quell’errore parte della propria vita. Ne ha bisogno, forse si disprezza, accettando di svegliarsi con un perenne senso di colpa pur di non rinunciarvi.

Thomáš ha molte amanti e spesso ritorna da una sola, Sabina. Tereza, invece, diventa improvvisamente la donna con cui condivide il letto di notte, per dormire.

Thomáš si diceva: fare l’amore con una donna e dormire con una donna sono due passioni non solo diverse ma quasi opposte. L’amore non si manifesta col desiderio di fare l’amore (desiderio che si applica a una quantità infinita di donne) ma col desiderio di dormire insieme (desiderio che si applica a un’unica donna).

Prima di lei, Thomáš non dormiva mai con le sue amanti, ma in Tereza vede qualcosa di diverso. Ha bisogno di averla accanto, ma non è abbastanza. La sua vita da donnaiolo continua e Tereza accetta i suoi abbandoni e brama i suoi ritorni a casa. Thomáš rappresenta la nostra necessità d’evasione, la paura di stare fermi e di lasciarci appesantire da un amore unico e totalizzante. Rappresenta ciò che facciamo per prevenire ciò che non è ancora accaduto, ma che sappiamo potrebbe accadere. L’amore per Teresa è fatto di tenerezza, premura e sostegno nei momenti difficili. Il desiderio per le donne che cerca rappresenta la conoscenza dell’altro, di luoghi non vissuti ma di cui si coglie la bellezza, fugace e intensa. In loro cerca il senso di una vita che non sa capire fino in fondo, s’illude che quello sia l’unico modo per trovare un significato nascosto.

Tereza porta sulle spalle il peso di un passato difficile e si rifugia tra le braccia di Thomáš, accetta i suoi ripetuti tradimenti e lo aspetta.

Tereza sa che il momento in cui nasce l’amore si presenta così: la donna non resiste alla voce che chiama all’aperto la sua anima spaventata; l’uomo non resiste alla donna la cui anima presta orecchio alla voce.

Tereza rappresenta il nostro modo d’amare quando accettiamo dei compromessi che non dovremmo neppure valutare. Accettiamo l’altro perché siamo sicuri di non poterne fare a meno, riponiamo in una sola persona le nostre debolezze, la nostra vita. Amiamo in modo folle e sincero, ma tolleriamo le bugie altrui pur di non perdere quell’abbraccio che ci calma, quel bacio che ci rassicura, quei ritorni a casa. Ci accontentiamo affinchè il nostro amore possa bastare per entrambi.

Cosa succede se si reitera il medesimo atteggiamento per tutta la vita, rifiutando l’amore e sposando soltanto il desiderio? Si insegue la leggerezza e si scopre essere insostenibile quando tutto quel che si è tradito scompare, e non rimane più niente da tradire. Si rimane soli con momenti troppo brevi per essere ricordati. Sabina, pittrice di talento e donna affascinante, è l’amante più stabile che Thomáš abbia mai avuto, ma dopo una vita vissuta all’insegna della leggerezza acquista una nuova consapevolezza:

Una persona può tradire i genitori, il marito, l’amore, la patria, ma quando poi non ci sono più né genitori, né marito, né amore, né patria, che cosa resterà da tradire?

Sabina è anche l’amante di Franz, un professore universitario. Dopo poco tempo Franz rivela alla moglie i suoi tradimenti perché si innamora di Sabina e anche Sabina nutre un sentimento per Franz. Il suo tradimento è molto diverso dai tradimenti di Thomáš, e ci fa capire che tradire non ha sempre lo stesso significato. Franz rappresenta la nostra fragilità quando l’amore ci lascia inermi e disarmati, completamente esposti.

Per lui l’amore non era un prolungamento della sua vita pubblica bensì il polo opposto. Significava per lui il desiderio di darsi in balìa dell’altro. Chi si dà all’altro come un soldato si dà prigioniero, deve prima consegnare tutte le armi. E così privato di ogni difesa, non può fare a meno di chiedersi quando arriverà il colpo. Posso dunque affermare che per Franz l’amore era una continua attesa di un colpo imminente.

Il romanzo di Kundera ci mostra le diverse facce dell’amore e del tradimento, ci permette di comprendere i problemi di una vita troppo pesante e le conseguenze di una vita troppo leggera. Forse vivere sposando gli estremi porta nella stessa triste direzione. Scappare ci rende soli, restare ad ogni costo ci rende deboli.

 

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

“Una questione privata”: l’amore

“Una questione privata”: l’amore

Una questione privata: l’amore 

Una questione privata è un romanzo pubblicato nel 1963, dopo la morte dello scrittore che lo ha concepito, Beppe Fenoglio. Ambientato negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale, racconta la Resistenza senza esplicitarla. L’amore di Milton per Fulvia attraversa tutto il romanzo, e spinge il giovane partigiano a risolvere la propria questione privata.

Tutti abbiamo una questione privata da risolvere in mezzo al tempo che passa, a problemi più grandi, a una vita che scorre senza sosta. E per quella piccola questione privata saremmo capaci di mettere da parte tutto il resto, ormai sbiadito se confrontato a un amore perduto, a un tradimento subìto, a un’ossessione che ci divora. Tutti siamo stati, siamo o saremo Milton, ma senza lo sfondo atroce della guerra.

Milton ama Fulvia, e noi Fulvia la conosciamo soltanto tramite le parole di Milton. Fa parte di un passato che ci viene raccontato a posteriori, che non esiste più perché spezzato da un periodo storico che non lasciava spazio all’amore e alla spensieratezza di una giornata di sole. Eppure, siamo lettori di un romanzo che racconta la Resistenza senza esplicitarla. Ecco dove risiede la straordinarietà delle parole di Beppe Fenoglio.

L’amore muove all’azione, spinge la mente e il corpo ad agire, a lasciarsi tutto alle spalle pur di stargli dietro. Ci trasforma continuamente, ci costringe a guardarci allo specchio senza riconoscere l’immagine riflessa. Ci travolge e noi, inermi di fronte a una tale forza, lo seguiamo, lo impersoniamo e lo veneriamo come se fosse il nostro Dio. E se quell’amore è perduto, messo in dubbio o attraversato da una viscerale gelosia, nient’altro conta più al mondo.

La guerra, la Resistenza, le armi, la sofferenza, cosa sono per Milton quando il nome di Fulvia gli bagna le labbra, quando qualcuno insinua nella sua mente il dubbio? Niente, forse soltanto un impedimento, un ostacolo che è pronto ad affrontare, pur di scoprire, di trovare una risposta. Leggiamo insieme l’incipit.

La bocca socchiusa, le braccia abbandonate lungo i fianchi, Milton guardava la villa di Fulvia, solitaria sulla collina che degradava la città di Alba.

Il nome di Fulvia è subito presente, e già dall’inizio ci accorgiamo dell’importanza che riveste nella vita di Milton. Ne ricorda l’infinita bellezza, contrapposta al proprio aspetto; egli viene descritto, infatti, come un ragazzo brutto, alto e magro. Ricorda i momenti trascorsi insieme, i posti che ne facevano da sfondo e i loro dialoghi. Ricorda un prima, spezzato da un dopo che rappresenta ancora il presente. Cosa è stata la guerra se non questo? Una rottura con la vita di tutti i giorni, con gli amori imperfetti, con le amicizie intense, le passeggiate prive di paura. E con una punta di nostalgia, il narratore del romanzo ci restituisce quei ricordi:

«No, non sei splendida».
«Ah, non lo sono?»
«Sei tutto lo splendore».
«Tu, tu, – fece lei, – tu hai una maniera di mettere fuori le parole… Ad esempio, è stato come se sentissi pronunziare splendore per la prima volta».
«Non è strano. Non c’era splendore prima di te».

Come si fa a non amare i loro dialoghi, le parole che Milton le riserva e le risposte di Fulvia, lusingata e sorpresa. È un passato che ci manca anche solo leggendone i ricordi. Al di là dell’epoca in cui viviamo, se ci sia la guerra o meno, quel sentimento folle e imperfetto rimane lo stesso. Ecco perché riusciamo a comprendere Milton e Fulvia. E siamo in grado di capire perché egli ha bisogno di trovare Giorgio, il suo amico più caro.  

Milton va nella casa in cui Fulvia, che non vede da più di un anno, ha vissuto per un breve periodo, e rischia anche di essere catturato. È in questa casa che i ricordi ritornano, ancora più vividi e chiari. Qui incontra la custode della villa, che trasforma i pensieri del ragazzo, insinua nella sua mente un dubbio che attraverserà tutto il romanzo e muoverà le sue azioni. La custode racconta di Fulvia e Giorgio, alludendo a un legame tra i due mentre Milton era soldato. Gli rivela che erano sempre insieme, fino a tarda sera.

Era entrato per raccogliervi ispirazione e forza e ne usciva spogliato e distrutto.

Spogliato e distrutto”, come chi ha riposto la propria forza in una persona, in mezzo a un’immensa sofferenza, e ha ritrovato una più grande debolezza. Fulvia era il ricordo felice di un passato sereno, ora Milton non sa più niente. Ha bisogno di sapere, di ottenere delle risposte, di trovare Giorgio. Non esiste più nulla, neppure la guerra, tutto si confonde e svanisce di fronte a una forza maggiore. Siamo fragili quando amiamo, quando qualcun altro ci mette in discussione. Ci sentiamo esposti a un pericolo astratto, che non possiamo toccare con mano, ma che possiamo solo sentire. Vogliamo conoscere le ragioni di un’emozione, risolvere un ossimoro che non riusciamo a capire. Vogliamo che l’altra persona ci guardi come noi guardiamo lei, e vogliamo che nessuno la guardi nello stesso modo.

La guerra è l’ostacolo di tutti quanti. La guerra diventa l’ostacolo personale nella vita di Milton, che vuole risolvere ad ogni costo la sua questione privata, e tutto il resto non gli importa. Ecco, l’amore…

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Le donne raccontate da Jane Austen

Le donne raccontate da Jane Austen

Le donne raccontate da Jane Austen 

Jane Austen, scrittrice inglese vissuta nel Settecento, ha posto al centro dei suoi romanzi l’universo femminile, l’amore in tutte le sue forme e personaggi pienamente caratterizzati. Tra i romanzi più celebri ricordiamo Orgoglio e pregiudizio, Emma e Ragione e sentimento.

Jane Austen nasce il 16 dicembre 1775 a Steventon, nello Hampshire. Penultima di otto figli, cresce in un ambiente stimolante dal punto di vista culturale, impara infatti il francese e l’italiano. Non si sposa e trascorre in casa la maggior parte del tempo. Si dedica integralmente alla scrittura, una passione destinata a non spegnersi mai. Il suo legame con la sorella Cassandra è molto forte e le due sorelle si scambiano diverse lettere che, purtroppo, Cassandra brucia, e a noi non rimane nessuna traccia. Muore a soli 41 anni, nel 1817.

Si può scrivere d’amore in infiniti modi, lo si può chiamare per nome o prenderne i pezzi che lo compongono e costruirci sopra una storia. Si può scrivere d’amore all’interno di una poesia, si può dire ti amo a qualcuno pur sapendo di non essere ricambiati. Lo si può ripetere ogni giorno alla stessa persona. Si può fare, costruire, trasformare. Poi si può anche trasmettere a persone sconosciute, attraverso le pagine di un libro scritto duecento anni prima, conservando la stessa magia. Questo è ciò che Jane Austen ha saputo fare magistralmente.

L’amore raccontato dalla celebre scrittrice inglese si adatta ai personaggi che lo hanno incontrato. Si mostra sfacciato o silenzioso, timido o audace, attraverso le donne che abita. L’epoca in cui nascono i romanzi di Jane Austen è vissuta da donne poco libere, che potevano affidarsi soltanto al matrimonio. Le loro voci, però, emergono in queste storie e stregano da sempre innumerevoli lettori.

Orgoglio e pregiudizio

Pubblicato nel 1813, racconta le vicende e i sentimenti di Elizabeth Bennet e Darcy. Una storia connotata da un continuo scontro tra amore e odio. Inizialmente si detestano, appaiono incompatibili, sono orgogliosi e pieni di pregiudizi. Si provocano, si innamorano, si inseguono e si lasciano. Il loro amore è coraggioso, caparbio e ancora attuale. I due amanti non sono i protagonisti di un amore classico e convenzionale, ma di un amore difficile che fa fatica a compiersi pienamente.

Emma

Pubblicato nel 1815, è un romanzo completamente diverso. Noi lettori inizialmente non sopportiamo il carattere di Emma Woodhouse, una ragazza snob, viziata e vanitosa. Pianifica matrimoni per gli altri, ma manifesta il desiderio di non sposarsi, eppure ciò che si evince è l’esatto opposto. Soltanto in un secondo momento impariamo ad apprezzarla e a seguirne gli sviluppi con interesse.
Emma vive col padre e si occupa della casa, essendo l’unica donna rimasta. Sua madre è morta e sua sorella Isabella si è sposata. In questo romanzo emergono i desideri, i pensieri e le contraddizioni di un personaggio affascinante e fastidioso al tempo stesso, una donna tutta da scoprire attraverso le parole di Jane Austen.

Ragione e sentimento

Del 1881, pone al centro delle vicende due sorelle, Marianne e Elinor. Vivono in una campagna inglese da sole dopo la morte del padre e devono affrontare i conseguenti problemi economici. Nonostante vivano una situazione difficile, si innamorano. L’amore di cui sono protagoniste, però, è diverso poiché differenti sono i loro modi di amare. Marianne è libera, si lascia andare e vive l’amore pienamente. Elinor è una donna razionale e pacata. In un romanzo che vede contrapposti la ragione e il sentimento, le due donne che li incarnano nel rapporto con l’altro capiscono che, forse, l’una ha bisogno dell’altra e viceversa.

Protagoniste indiscusse nei romanzi di Jane Austen sono le donne che, in un’epoca così restrittiva e limitante per il genere femminile, si mostrano intraprendenti, intelligenti e innamorate. Sono donne normali, non eroine, sono fragili e forti al tempo stesso. Filo rosso che lega i romanzi di Jane Austen è infatti l’amore, e noi rimaniamo stregati dal modo in cui ce lo racconta.

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Emily Dickinson e il coraggio di essere dei re

Emily Dickinson e il coraggio di essere dei re

Emily Dickinson e il coraggio di essere dei re

Il ricordo di Emily Dickinson, poetessa statunitense vissuta nell’800, rimane vivo grazie alle sue numerose poesie, fonte di riflessione e ricche di significato. Vogliamo omaggiarla ricordando una delle sue poesie più belle.

 

Emily Dickinson nasce il 10 dicembre 1830, e il suo nome rimanda subito alla nostra memoria le sue poesie: delicate, coraggiose e infinitamente belle. Semplici da comprendere ma prive di banalità, hanno il potere d’insegnarci ogni volta qualcosa che, forse, avevamo tralasciato.

Ha vissuto soprattutto nella casa della sua famiglia d’origine, borghese e di tradizioni puritane. Difficile è stato per la poetessa il rapporto col padre, che definì in questo modo: “Mi compra molti libri ma mi prega di non leggerli perché ha paura che scuotano la mente”.

All’età di venticinque anni decide di recludersi nella propria camera, e non uscì neppure quando morirono i suoi genitori.

In molti dei suoi componimenti possiamo scorgere la figura di un uomo, il reverendo Charles Wadsworth, di cui si innamorò. Era, però, già sposato con figli e l’amore che provò per lui rimase platonico.
Emily Dickinson morì di nefrite ad Amherst, medesimo posto in cui era nata, il 15 maggio 1886 all’età di 55 anni.

Non conosciamo mai la nostra altezza

Non conosciamo mai la nostra altezza
finché non siamo chiamati ad alzarci.
E se siamo fedeli al nostro compito
arriva al cielo la nostra statura.
L’eroismo che allora recitiamo
sarebbe quotidiano, se noi stessi
non c’incurvassimo di cubiti
per la paura di essere dei re.

Cos’è la nostra altezza se non il nostro valore? Quel che siamo in grado fare e, soprattutto, di essere, ma che spesso sminuiamo. Paradossalmente, è più facile riconoscere il valore e le capacità altrui, il loro essere all’altezza, e dimentichiamo quel che siamo noi. Ci nascondiamo dietro le nostre insicurezze, sempre in disparte, abbandoniamo il coraggio di metterci alla prova.

Quando siamo chiamati a tentare ci accorgiamo di essere meno piccoli di quel che credevamo. Dopo esserci alzati, se abbiamo la forza di continuare e di non lasciarci vincere dalla paura di non essere abbastanza, arriva al cielo la nostra statura.

Il nostro eroismo, però, non dovrebbe essere occasionale, ma quotidiano. Dovremmo abbracciare quel coraggio, quella voglia di uscire dall’oscurità delle nostre insicurezze. Dovremmo abbandonare la paura di essere dei re, senza accontentarci di una vita vissuta in disparte.

Siamo abituati a vivere tra la massa, come se il nostro contributo fosse insignificante. Ci disperdiamo tra la folla, non alziamo la voce, non ci esponiamo. Farlo significherebbe rischiare di non essere apprezzati da chiunque e a noi non piace gestire i rifiuti. Non siamo neppure in grado di farlo. È più facile osservare le vite degli altri, non indagare sulle nostre potenzialità e darci dei no a priori.

 

Solo due quartine, otto versi e poche parole, ma colme di significato. Emily Dickinson ci chiama ad agire, a riconoscere la nostra altezza, a fare i conti con la nostra autostima. Ci esorta a tentare pur riconoscendo la paura che comporta. Si rivolge a chi vuole essere coraggioso, ma non sa come.

Una poesia non deve essere solo letta, ma vissuta, interpretata e fatta propria. È un’esperienza che si consuma verso dopo verso, ma che non si esaurisce mai.

 

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Dostoevskij: lo scrittore dei demoni interiori

Dostoevskij: lo scrittore dei demoni interiori

Dostoevskij: lo scrittore dei demoni interiori 

Fëdor Dostoevskij, scrittore e filosofo russo, ha dato vita a romanzi straordinari e a personaggi controversi e affascinanti. La vita dello scrittore ha subìto una svolta a causa della finta condanna a morte, una vita già attraversata dal fardello dell’epilessia, che avrà un forte impatto nella scrittura dei suoi romanzi.

Dostoevskij, secondo di sette figli, nacque nel 1821 da un padre dispotico e autoritario e da una madre molto credente e amante della musica. Gli insegnò a leggere e gli fece conoscere il testo biblico.
Il primo episodio di epilessia avvenne in seguito alla morte del padre, ucciso probabilmente dai contadini che maltrattava.

Dopo tale evento, si avvicinò al Circolo di Petrasevskij, un gruppo che discuteva di politica e socialismo ogni venerdì, che poco dopo venne arrestato. Anche il giovane Fëdor subì l’arresto e venne condannato a morte. Si trattava, però, di una finzione architettata dallo spietato zar Nicola I. La pena di morte si trasformò nell’esilio in Siberia, un periodo lungo e travagliato, caratterizzato dalla violenza, che inevitabilmente cambiò la sua vita per sempre e che precedette la scrittura dei suoi grandi romanzi.

Dostoevskij avrebbe scritto ugualmente Delitto e castigo, Memorie dal sottosuolo o L’idiota se non avesse subito una serie di drammi, esperienze terrificanti e una finta condanna a morte? Molto probabilmente no. Forse avrebbe scritto d’altro, con il medesimo talento che lo contraddistingue, ma quelle tematiche, quei dialoghi e quei personaggi non sarebbero esistiti.

Personaggi pienamente caratterizzati e riconoscibili, a partire dal loro aspetto fisico, coerente con la loro personalità. Sono memorabili per i loro pensieri intensi e contorti. Sono controversi, ribelli e fragili per le azioni che compiono, per le strade pericolose che percorrono e che saranno al centro dei loro pensieri e dialoghi.

Memorie dal sottosuolo è un romanzo pubblicato 1864, ma in Italia la prima edizione risale al 1919. Leggiamo l’incipit:

Io sono una persona malata… sono una persona cattiva. Io sono uno che non ha niente di attraente. Credo d’avere una malattia al fegato. Anche se d’altra parte non ci capisco un’acca della mia malattia, e non so che cosa precisamente ci sia di malato in me. Non mi curo e non mi sono mai curato, anche se la medicina e i dottori io li rispetto. Per di più sono anche superstizioso al massimo grado; o per lo meno quanto basta per rispettare la medicina.

Difficile affermare cosa sia Memorie dal sottosuolo, sicuramente sappiamo cosa non è: un romanzo banale, convenzionale e leggero. Leggere i testi di Dostoevskij e della letteratura russa in generale, non è semplice, bisogna essere ben disposti, pronti, forse lettori maturi abbastanza da riuscire ad apprezzare lunghi periodi, pensieri contorti, personaggi sofferenti e bizzarri, fuori dal comune.

L’uomo del sottosuolo è il protagonista di un romanzo che ha l’aspetto di un lungo monologo. Non presenta una vera e propria trama, ma il vissuto interiore, i problemi, i dubbi, gli impulsi di un uomo che rifiuta di essere come gli altri. E chi sono gli altri? Le persone perbene, che reprimono pensieri che non si possono dire a voce alta. È un uomo perso, smarrito in un’esistenza priva di luce, alla ricerca di quella stessa luce che non riesce a trovare. Il sottosuolo è il posto in cui trova rifugio, lontano da tutti gli altri.

Pensieri e dialoghi sulla pena di morte attraversano Delitto e castigo, pubblicato nel 1866 e giunto in Italia nel 1889. Incipit:

All’inizio di un luglio straordinariamente caldo, verso sera, un giovane scese per strada dallo stanzino che aveva preso in affitto in vicolo S., e lentamente, come indeciso, si diresse verso il ponte K. Sulle scale riuscì a evitare l’incontro con la padrona di casa. Il suo stanzino era situato proprio sotto il tetto di un’alta casa a cinque piani, e ricordava più un armadio che un alloggio vero e proprio.

Il protagonista è Raskòl’nikov, un giovane studente universitario che vive in una stanza molto piccola e angusta, dorme sul divano perché non possiede un letto, indossa sempre gli stessi vestiti e vive in una condizione di povertà. Porta avanti idee problematiche per chi le ascolta, come la libertà assoluta, che apparterrebbe agli uomini superiori, che possono appropriarsi di qualsiasi forma di libertà perché a loro tutto è concesso.

Il romanzo è attraversato da un delitto, di cui qualcuno si macchia, dall’ossessione per il castigo che potrebbe ricevere ma che non è pronto a subire. Ogni personaggio all’interno di Delitto e castigo ha qualcosa da dire, nulla è lasciato al caso e i pezzi di un puzzle che sembra non risolversi mai alla fine combaciano tutti.

Concludiamo il nostro breve percorso, nonostante ci siano tanti altri incredibili romanzi scritti dallo scrittore russo, con L’idiota, del 1869, e incominciamo sempre dall’incipit:

Verso le nove del mattino d’una giornata di sgelo, sul finir di novembre, il treno della ferrovia Pietroburgo-Varsavia si avvicinava a tutto vapore a Pietroburgo. Il tempo era così umido e nebbioso, che a stento si era fatto giorno; difficile era distinguere qualche cosa dai finestrini della carrozza a dieci passi di distanza, a destra come a sinistra della linea.

La stesura di quest’opera fu contemporanea al periodo in cui Dostoevskij visse in esilio in Siberia. “L’idiota” è Lev Nikolaevic Myškin, un giovane principe appena ritornato in Russia dalla Svizzera, dopo essere stato curato dall’epilessia. Egli osserva il mondo con stupore e ingenuità, a causa della malattia che per molti anni lo aveva reso incosciente. Il mondo appare ai suoi occhi per la prima volta e ascolta le persone che gli parlano con meraviglia, come se non avesse mai ascoltato nessuno in vita sua.

L’idiota non sa mentire, non sa reagire di fronte agli insulti ed è confuso, è buono e per questo viene definito idiota.

Il punto forte di romanzi di Dostoevskij è la costruzione e caratterizzazione dei suoi personaggi. Le trame passano in secondo piano, nonostante catturino l’attenzione di chi legge. Le riflessioni e i pensieri conferiscono ai suoi testi un’originalità inimitabile.

Aprire uno di questi libri per la prima volta ci rende confusi, ci chiediamo cosa stiamo leggendo, non riusciamo a capire. Poi, se abbiamo la pazienza e la voglia di continuare, ci accorgeremo che sarebbe stato folle non farlo. Chiudere uno di questi libri per l’ultima volta, dopo aver terminato la nostra lettura, ci lascerà un senso di vuoto e pienezza al tempo stesso.

Dostoevskij morì il 9 febbraio 1881, i suoi personaggi sono immortali.

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.