Aldebaran: un ponte tra uomo e scienza

Aldebaran: un ponte tra uomo e scienza

Aldebaran: un ponte tra uomo e scienza

Aldebaran. Ecco il titolo della pièce teatrale scritta da Giacomo Gamba nel 2012. Il progetto poi realizzato nel 2020 ha apportato modifiche al testo originale, ma il focus è rimasto il medesimo: portare alla ribalta il rapporto tra uomo e scienza

Il buio si dirada. Dal ventre del palco provengono voci ritmate, cadenzate.
Un accenno debole, seguito da un sussurro, poi un cambio di ritmo repentino, quasi uno squittio.

Le luci a poco a poco infrangono l’oscurità.
Il palco è quasi spoglio. In fondo a sinistra si staglia un attaccapanni e due piccole cassettiere a rotelle dal lato opposto, bilanciando così perfettamente lo spazio scenico.
Tutto è in equilibrio. Tutto è asettico.

Al centro di quel mondo troneggia un carrello.
In quel carrello, su tre ripiani diversi, fuoriescono gli arti di tre individui.
Sono i protagonisti, o meglio le protagoniste della storia.

Sono tre scienziate: Zhen, Olga e Petra.
Le creature iniziano a mostrarsi nella loro fisicità, nelle loro movenze.
Tre individui abissalmente diversi, eppure uniti in una magmatica sinergia continua.

Si comprende fin dai primi istanti che le donne vivono un momento drammatico.
Parlano di un nucleo: un nucleo che sta per spegnersi per sempre.
Forse è il nucleo della Terra.
Si ha solo la certezza che una volta morto, non vi sarà più alcuna speranza.

Ognuna di loro allora si scervella a modo proprio tendando di trovare un rimedio alla catastrofe imminente.

Il primo passo è recuperare il nucleo.
Sarà Zhen, Marta Bertoletti, a portare a termine tale compito.
Specializzata in mutazioni di ogni genere, come una cavia impazzita si immola in un turbinio di follia, e ingoia il nucleo stesso.
Zhen così delira, come posseduta da un demone.

Le colleghe sono costrette a operare la caleidoscopica Zhen con…un cesareo.
Il nucleo, infatti, le si è proprio depositato nel ventre.
L’operazione riesce perfettamente!
Olga e Petra si trovano così tra le mani…un orsacchiotto.

Il nucleo tanto temuto altri non è che un tenero, minuscolo pelouche!

Così Olga, al secolo Flavia Gilberti, culla il piccolo cantando una ninna nanna.
Il personaggio, carico di pathos, è il più profondamente preoccupato per quanto potrà accadere al nucleo, che apparentemente sembra essere quasi morto.

Solo un respiro flebile lo rende in bilico tra il sonno e la veglia.

Tra i deliri ossessivi di Zhen e la palpabile angoscia di Olga si incastona Petra.
Federica Capuzzi conferisce al proprio personaggio un’alterità degna di una dea.
Come la dea Atena segue algida i passi di Odisseo, suo protetto, così Petra osserva con distaccata attenzione i progressi delle colleghe.

 

Si decide allora di mettere in atto un piano oltremodo rischioso per salvare la vita al nucleo.
Le tre uniscono le proprie forze e capacità verso tale scopo comune.

Così Olga predice il glorioso futuro che attende il nucleo, compitando calcoli su calcoli.
Zhen lo nutre, tramutandosi in un coniglio impazzito che tagliuzza saltellando rondelle di carote.
Petra, infine, intona con voce suadente un canto che pare provenire dalle profondità della terra.

Terminata anche la piccola pièce teatrale messa in scena per dilettare il nucleo, le tre si ritrovano al punto di partenza.

Il nucleo sembra avere acquistato vigore, ma non è sufficiente.

Qualcosa però è cambiato: hanno riso insieme, nell’atto di salvare il nucleo.
Hanno giocato come bambine spensierate, in un momento così terrificante.
Hanno sperimentato un pizzico di magia, dopo tanto tempo.

La scienza purtroppo è giunta al limite delle proprie capacità.
Le tre allora si posizionano sul carrello che prima le inghiottiva.
Alzano lo sguardo, e come fossero un solo paio d’occhi, osservano con rapimento il cielo stellato.

Ora solo la magia dell’impossibile le può salvare.
L’ultima battuta: “Non ci resta che chiedere al cielo”.
Prima del buio, una luce le illumina.

Sipario.

 

 

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.

Lo Schiaccianoci: un valzer tra neve e confetti

Lo Schiaccianoci: un valzer tra neve e confetti

Lo Schiaccianoci: un valzer tra neve e confetti

La notte di Natale nulla è ciò che sembra. Una dolce ragazzina può diventare una regina, uno schiaccianoci con le sembianze di un soldatino può tramutarsi in principe.

Un pizzicato delicato. Come un carillon che suona una melodia dolce, riporta alla mente i fiocchi di neve cadenzati, spensierati, i quali si depositandosi sul morbido guanciale di una coltre di neve placida.

Queste sono le immagini che suscita la Danza della fata Confetto, nel capolavoro di Pëtr Il’ič Čajkovskij, Lo Schiaccianoci.

La meravigliosa opera lirica ha origine dal racconto di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, ma la trama venne rivisitata, in quanto considerata troppo cruenta.

Così si decise di affidarsi alla revisione effettuata da Alexandre Dumas, conferendo così alla vicenda un alone di delicatezza con un carezzevole rimando alle atmosfere dei teneri sapori dell’infanzia.

Il sipario si apre e la prima scena che si offre agli spettatori è ambientata durante la Vigilia di Natale, agli inizi del XIX secolo, presso la casa del Signor Stahlbaum.

Per la lieta occasione l’uomo organizza una festa per i suoi piccoli figli, Clara e Fritz, cui partecipano amici e parenti. Tra di essi vi è lo zio dei ragazzi, che li intrattiene con dei buffi giochi di prestigio, nell’attesa dell’apertura dei regali.

Così a Clara viene regalato dallo zio uno schiaccianoci a forma di soldatino. La gioia della bambina è immensa! Ma il fratellino, per dispetto, lo rompe. Per fortuna lo zio ripara prontamente il giocattolo, per rendere di nuovo felice l’adorata nipotina.

Una volta terminate le danze, la piccola Clara si addormenta e inizia a sognare. Allo scoccare della mezzanotte ogni oggetto della sua stanza inizia ad aumentare di dimensione, diventando gigantesco.

A un tratto dei topi minacciosi tentano di trafugare il prezioso schiaccianoci!

Quando Clara sta per avere la peggio, nel tentativo di salvare lo Schiaccianoci, questi prende vita e inizia a combattere contro i nemici, con l’aiuto dei soldatini ricevuti da Fritz.

Lo schiaccianoci e il Re Topo sono soli e quest’ultimo sta per vincere il duello, quando la bambina lo distrae, lanciando la sua scarpetta, così da permettere allo Schiaccianoci di colpirlo a morte.

Il vincitore si trasforma in principe e conduce Clara nel Regno dei Dolci, la cui prima immagine è una meravigliosa foresta innevata.

Così i due protagonisti giungono al cospetto della Fata Confetto presso il Palazzo Reale. Le narrano le avventure vissute durante quella magica notte. Terminato il racconto il Palazzo si anima di danze meravigliose, che culminano nel celebre Valzer dei Fiori.

Infine si innalza il delicato Pas de Deux tra la Fata Confetto e il Principe, a seguito del quale si ha un ultimo incantevole Valzer.

La piccola Clara si desta da quel magico sogno e ripercorre gioiosa il ricordo del mondo incantato, abbracciando il suo Schiaccianoci.

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.

Eduardo de Filippo: dal palco all’immortalità.

Eduardo de Filippo: dal palco all’immortalità.

Eduardo de Filippo: dal palco all’immortalità

La dedizione di una vita votata all’arte drammatica

Nulla si ottiene senza fatica e sacrificio! Quanto costa fatica arrivare alla meta! Ma quando il sacro fuoco che giace silente nel profondo dell’anima si accende, allora nasce un incendio di passione. L’incendio che conduce alle stelle.

Eduardo De Filippo conosceva bene questa magica ricetta. I meriti artistici del grande arista furono premiati ampiamente: dalla nomina a senatore a vita nel 1981, alle due lauree honoris causa in Lettere sia presso Birmingham, sia presso “La Sapienza” di Roma.

Eduardo nacque a Napoli, nel quartiere Chiaia, il 24 maggio 1900 e si può affermare che fin dalla propria nascita il teatro gli scorresse nelle vene. L’artista era il figlio, infatti, del famoso attore Eduardo Scarpetta e della sarta teatrale Luisa De Filippo.

Sin da bambino calcò il palcoscenico in occasione della rappresentazione dell’opera La Geisha, presso il Teatro Valle di Roma.

Crebbe a stretto contatto con l’ambiente teatrale Napoletano, affiancando i fratelli Titina e Peppino. La prima aveva un ruolo stabile nella compagnia del fratellastro, Vincenzo Scarpetta, mentre il secondo appariva saltuariamente con Eduardo sul palcoscenico per piccoli ruoli, data la loro giovane età.

Al termine della Grande Guerra l’artista prestò servizio di leva nel corpo dei Bersaglieri e organizzò delle piccole recite per i commilitoni su incarico dei superiori.

Eduardo capì così quanto la propria passione per la direzione di scena, oltre che per la recitazione, fosse radicata.

Nel 1920 scrisse la sua prima commedia, intitolata Farmacia di turno: un atto unico, poi rappresentato nel 1921 dalla compagnia di Scarpetta.

Eduardo fondò in seguito una cooperativa di artisti, che prese il nome di compagnia Galdieri- De Filippo. Il debutto Napoletano fu un successo con La rivista…che non piacerà.

Gli anni Trenta iniziano in modo sicuramente positivo per i tre fratelli De Filippo: infatti, nel 1931, Eduardo fonda la compagnia del Teatro Umoristico.

Lo stesso anno Eduardo recita in Ogni anno punto e a capo, con lo pseudonimo Tricot, in occasione della festa di Piedigrotta. Durante tale rappresentazione il talento dei tre fratelli si scatenò in un climax ascendente di risate e delirio, sulla falsariga della Commedia dell’Arte.

Tra le opere più note e ragguardevoli di Eduardo si annovera Natale in casa Cupiello. La prima rappresentazione avvenne il giorno di natale del 1931 presso il Teatro Kursaal di Napoli. Il successo della commedia fu così immenso che si dovette prolungare la messa in scena fino al maggio dell’anno successivo!

L’artista fu inoltre sempre molto attivo politicamente, tanto che fu nominato senatore a vita e portò avanti la battaglia per i diritti dei minori rinchiusi nei penitenziari. Inoltre nel 1963 fu insignito del Premio Feltrinelli a seguito della rappresentazione Il sindaco del rione Sanità.

Infine nel marzo 1974 la sua salute iniziò a vacillare: venne colto da un malore durante una rappresentazione. Dopo di che gli fu applicato un pacemaker, che fortunatamente gli permise di ritornare alla ribalta alla fine dello stesso mese.

Si spense il 31 ottobre 1984 all’età di 84 anni, a causa di un blocco renale. Le sue spoglie riposano presso il Cimitero del Verano a Roma.

Quel giorno l’Italia e il mondo intero persero un grande attore, ma guadagnarono un astro immortale.

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.

In Viaggio: le donne che guidano Odisseo

In Viaggio: le donne che guidano Odisseo

In Viaggio: le donne che guidano Odisseo

Le donne del mito che tessono il filo del viaggio più celebre di tutti i tempi

Il viaggio di un uomo, dell’umanità, del mito: di Odisseo.

A causa di una donna tutto ebbe inizio, grazie a una donna tutto potrebbe avere fine.
Potrebbe.

Questa la trama del viaggio più famoso della storia della letteratura è
narrata da un canto ancestrale. Nello spettacolo L’altra metà del mare: le donne dell’Odissea, la voce narrante è Marta Ossoli, attrice diplomata presso l’Accademia dei Filodrammatici.

Le sue parole, calde e profonde, vengono accompagnate dal violoncello di Francesca Ruffilli e dal violino di Silvia Mangiarotti, riprendendo le antiche melodie rievocate da Irene Papas in “Odes”, di Vangelis.

Nasce così un mantra che celebra il panismo della dimensione femminile. Cresce una narrazione
che culla e scuote allo stesso tempo lo spettatore, catapultandolo in una dimensione panica, femminea, potente.
Si riprendono le parole di Valerio Massimo Manfredi, autore di Il mio nome è Nessuno.

Marta fa il proprio ingresso, camminando fiera.
Gli archi ritmano il suo passo e i suoi respiri.

L’attrice incarna magnificamente ognuna delle donne
da cui Odisseo ha attinto forza, cibo, vita.

Nel ritmato susseguirsi di archetipi junghiani
la prima a venire alla luce dalle quinte è Elena, dalle candide braccia,
ammantata di rosso sangue, sensuale, con il capo cinto da una corona dorata.

Allora lei racconta con voce rotta dal pianto, ma trattenuta dalla sua regalità
di regina. La donna per cui il mondo intero si era mosso sotto i colpi
degli odi tra uomini non ha ottenuto l’unico essere che la facesse tremare: Odisseo.

Il rifiuto dell’eroe, al momento della scelta del marito, le trapassò il cuore,
facendolo sanguinare, per sempre.

Una notte, mentre Troia bruciava,
Elena condusse l’eroe dalla mente veloce all’intero del palazzo.
Lo lavò, lo profumò come fosse suo marito e…

Con le sue parole lo guidò da Circe. Marta entra di nuovo in scena,
ora gli archi pronunciano un suono lento, come lo strisciare di un grande serpente.

Ecco Circe sovrana, con la veste nera, catalizza lo sguardo del pubblico con un ancestrale canto profondo. Lei, archetipo di guerriera e maga,
vendica donne mute straziate da uomini bruti,
tramutandoli in maiali.

Odisseo, unico individuo che lei non poté penetrare con la magia,
la considerò propria pari, vivendo con lei per lungo tempo.

E così, come un bambino che cerca rassicurazione presso la gonna della madre,
le chiese che cosa sarebbe stato di lui e dei propri compagni, non più porci.

La maga condusse il filo del viaggio verso il mondo dove mai nessuno
si è recato. Tiresia sarà il passo da compiere tra il destino e il fato.

E Odisseo dall’agile mente salpa di nuovo. Così il mare lo conduce
da colei che, candida come il suo abito, nasconde l’eroe dallo scorrere
del tempo: Calipso.

Ma il mare lo richiama a sé,
strappandolo a un paradiso non suo e alla promessa di immortalità.

E le onde cullano l’itacese verso la felice isola dei Feaci.
Lì, lacero, nudo e sanguinante viene ritrovato riverso sulla spiaggia da…
una creatura. Poco più che bambina, non ancora giovane donna: Nausicaa.
In quell’età in cui le corse da bambina vengono alternate ai primi timidi tiepidi palpiti d’amore.

Così la bambina lo salva, lo conduce alla casa del padre: il giusto sovrano Alcinoo.
Lì l’eroe naufrago narra la propria storia e la bambina, incantevole nel suo abito
color del mare, custodisce il primo barlume di una luce che conoscerà, tempo dopo: l’Amore.

Poi: Itaca. La capanna del porcaro Eumeo. L’incontro con il figlio Telemaco, lasciato all’età
di soli tre mesi, ora giovane uomo con la prima barba.

La casa, i proci: sgozzati, trafitti come un’ecatombe di giovani tori boriosi.
Infine la prova più temuta: Penelope.

Fulgida, fiera, nel suo peplo nero ornato d’oro avanza, siede sul trono dal quale ha amministrato con senno l’isola. Lei è lui e lui è lei.
L’ultimo inganno: un letto che non si può spostare. L’abbraccio atteso da 20 anni.

E poi, di nuovo, il mare.
Lei, Penelope, donna dalla mente veloce viaggia, con la mente.
E crede, spera, vive.

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.

Edoardo: il coraggio di aspettare l’Amore.

Edoardo: il coraggio di aspettare l’Amore.

Edoardo: il coraggio di aspettare l’Amore.

Edoardo.
Un titolo così semplice per un video: un nome.

Edoardo Magro, classe 1994, è un celebre content creator, noto con il nome de Il Masseo. Ha avuto il coraggio di mettere a nudo il proprio cuore: con grande delicatezza racconta in un video come abbia atteso 26 anni prima di perdere la verginità.

Edoardo è solo nel suo studio, ma moltissime persone sono in ascolto. Chi riesce a vedere solamente colui che urla, scalpita, bestemmia perde la ricchezza della sua umiltà.

“Mi sono fatto le spalle larghe tra insulti, pregiudizi, giudizi” e la superficialità che porta a scrivere commenti che danneggiano non come lame, ma come mille lente gocce di veleno. Alcuni non riescono a scindere il personaggio dalla persona, Il Masseo da Edoardo, il content creator dal giovane uomo gentile e dagli occhi dolci.

Apparire o Essere, that is the question. Quanto siamo stanchi della perfezione costantemente propugnata in ogni singolo istante. Per fortuna a poco a poco questi muri di finto marmo stanno cedendo: hanno delle crepe dentro di sé, così la verità e la dolcezza scavano in essi come rivoli di acqua, facendo esplodere quel marmo inutile.

L’elogio dell’imperfezione, per citare la meravigliosa Rita Levi-Montalcini, è forza che dà luce. L’essere umano è la creatura più fragile che esista: la sua anima è così delicata, così volubile, ma al contempo immensa.

Edoardo scioglie un macigno. Vuole l’Amore, vuole innamorarsi. Pazientare fino a quando il suo cuore non vibrerà e capirà che quel momento è arrivato. Il momento di donare se stesso a un’altra persona.

 

Questo il coraggio di essere pazienti in un mondo che non lascia tempo all’incertezza.

È la stessa lezione impartita dal Piccolo Principe: “Se avessi cinquantatré minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana”. Antoine de Saint-Exupéry aveva colto l’essenza del bambino timido e gentile che è in ogni uomo d’animo nobile.

Qual è il senso della vita se non trovare la bellezza in ogni cosa, anche nella più inaspettata? Lo sa bene Luigi Meneghello, conterraneo di Edoardo, che nel suo capolavoro Libera nos a Malo ha cesellato un personaggio unico. Non è un re, non è un principe, ma un bestemmiatore-poeta che incanta lo scrittore bambino: il Cicàna.

Ecco il piccolo Luigi Meneghello con i suoi amici, mentre ascoltano incantati quell’uomo, la cui cantilena “era come una lauda pervasa da un vivo sentimento della natura e da un attento spirito di osservazione”.

Edoardo ha permesso di vedere ciò che ha dentro, nel cuore. Pochi animi avrebbero avuto questa delicatezza. Chi giudica solo dalle apparenze non potrà mai vedere ciò che viene custodito nell’anima.

 

 

 

Da ragazzino Edoardo si innamorò, giurò che a Lei sola avrebbe donato il proprio cuore. Questa ragazza viene chiamata Beatrice. Edoardo ne protegge l’identità, perché preziosa. Beatrice è stata una guida, come per Dante.
Come nella Commedia anche qui Beatrice lascia che l’uomo percorra a un certo punto la propria via con altre guide, incamminandosi così verso il punto più alto del suo viaggio.

Ed è ciò che Edoardo sta facendo: sta costruendo la propria vita, non temendo di annunciare di essere accompagnato da una psicologa. Quanto è potente questo messaggio! E che meraviglia osservare quanto la cura per la propria salute interiore sia finalmente considerata pari a quella fisica.

Edoardo ama se stesso, si prende cura del proprio animo. Si è sentito pronto a compiere questo passo, chiarendo però di non essere fidanzato. E poi…

Poi la vedrà, capirà che sarà lei, umile e alta più che creatura. E non avrà più dubbi. Dovrà solo seguire la via.

 

Maria Baronchelli

Sono Maria Baronchelli, studio Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano. La lettura e la scrittura hanno da sempre accompagnato i miei passi. Mi nutro di regni di carta, creandone di miei con un foglio e una penna, o una tastiera. Io e i miei personaggi sognanti e sognati vi diamo il benvenuto in questo piccolo strano mondo, che speriamo possa farvi sentire a casa.