Breve fonomenologia del comico che non fa ridere: Massimo Boldi

Breve fonomenologia del comico che non fa ridere: Massimo Boldi

Breve fenomenologia del comico che non fa ridere: Massimo Boldi

Una sola cosa è certa riguardo la figura di Massimo Boldi e cioè che – per citare l’incipit del più famoso commento su facebook di un anno fa di Roberto Burioni, guarda caso rivolto proprio al cipollino milanese – “No, non fa ridere”

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Allora la domanda sorge spontanea: è davvero possibile che un comico non faccia ridere? Sì, e Massimo Boldi ne è la prova ontologica. Ma facciamo un passo indietro a qualche giorno fa, quando Massimo Boldi, ospite al podcast Muschio Selvaggio di Fedez e Luis, ha dato prova ancora una volta di non sapere nemmeno che cosa significhi fare quel lavoro che ha fatto per tutta la sua vita: il comico. Boldi durante l’intervista rivendica la comicità situazionale perché, a suo dire, il comico non deve per forza comunicare un messaggio più grande e quindi, in definitiva, è meglio che non tratti argomenti seri.

E allora se possiamo essere d’accordo sul fatto che la comicità non debba insegnare, dobbiamo però tenere in conto che si può prendere in giro qualcuno o qualcosa solo se quel qualcuno o qualcosa lo si conosce davvero bene e lo si ha studiato.

Che quindi Boldi abbia affermato ai tempi dell’uscita di Tolo Tolo di Checco Zalone che il film non facesse ridere, forse anche per la questione sociale affrontata nella pellicola, riconferma quanto detto e denota, se non altro, una certa coerenza nei ragionamenti dell’attore milanese.

Eppure il bello arriva poco dopo nell’intervista, quando l’attore mette le basi per entrare in un bel discorso complottista degno dei più attivi no-vax che popolano facebook: come già aveva affermato nel sopracitato post, Boldi riconferma di credere nel complotto planetario dei potenti dietro il Covid-19. E oltretutto lo scacco intellettuale che Boldi si autoinfligge sta in maniera paradossale nel fatto che fanno più ridere questi suoi deliri lucidi che tutte le battute della sua carriera messe insieme.

Si scaglia inoltre contro il politically correct che rende la società troppo “perfetta”: peccato che forse, se si fosse sforzato di comprendere di cosa si tratta, avrebbe evitato di fare quella pessima figura sotto il post di Conticini nel novembre 2020, nel quale non solo aveva dimostrato tutto il sessismo praticato nei peggiori bar di quartiere a Milano e corroborato in anni di cinepanettoni, ma anche di non saper leggere il contesto e di non avere cognizione di cosa sia il tempo comico e riconfermando ancora una volta di non saper suscitare il riso.

Boldi è dunque l’apoteosi del boomer, tutto quello che non va nella società, ma che purtroppo bisogna accettare.

Massimo Boldi è uno di quei pochi casi che confermano l’eccezione alla regola per il quale non è proprio possibile separare l’artista dalla persona: la pochezza e la viscidità che contraddistinguono la sua comicità affondano le radici nell’infecondo humus della sua ignoranza e della sua ambiguità caratteriale e intellettuale. Il tutto condito da un’assenza totale di umiltà e aderenza alla realtà nel momento in cui afferma di non apprezzare la denominazione di “cinepanettone” perché dispregiativa e denotativa di un prodotto non impegnato. Forse che i critici della settima arte non debbano rivalutare l’opera omnia dell’attore per scoprire qualche filosofico messaggio non ancora decriptato? Non si sa, ma nel frattempo, per fugare ogni dubbio, troviamo un valido social media manager e un esperto di comunicazione per Boldi. 

di Giorgia Grendene

Giorgia Grendene

Sono Giorgia e amo le cose vecchie e polverose (come la mia laurea in lettere classiche), le storie un po’ noiose che richiedono tempo per essere raccontate e apprezzate, i personaggi semplici con storie disastrose. Mi piacciono il bianco e nero e il technicolor molto più del 4K, i libri di carta molto più degli e-book, il salato molto più del dolce, i cani molto più dei gatti.

Come Orson Welles ha cambiato la storia del cinema

Come Orson Welles ha cambiato la storia del cinema

Come Orson Welles ha cambiato la storia del cinema

Sceneggiatore, attore, drammaturgo e rivoluzionario produttore cinematografico: Orson Welles è stato tutto questo e molto altro. Il suo modo di fare film, diventato iconico e fondamentale per la storia della settima arte, ha cambiato le regole del cinema classico americano, ispirando per esempio la rivoluzione cinematografica della Nouvelle Vague.

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L’esordio di Welles è Quarto Potere (Citizen Kane, 1941), il più bel film della storia del cinema: lo dice l’American Cinema Intitute, che lo ha inserito nella lista dei film da conservare e tramandare ai posteri.

Quando si parla di Quarto Potere, infatti, non si parla solo di un film virtuoso sotto il profilo tecnico, ma del film che ha rivoluzionato la rappresentazione della Hollywood classica e gettato le basi per la grammatica del cinema moderno e della recitazione.

Prima del 1941 lo studio system hollywoodiano era sottoposto alle rigide regole del decoupage classico, una ben precisa codificazione estetica e formale ancillare a tre finalità:

  • la chiarezza del racconto (rendere comprensibile e semplice la narrazione);
  • il primato dell’azione, con il motto “se non succede nulla allora non serve”;
  • il far dimenticare allo spettatore di essere spettatore e immergerlo totalmente nel mondo della finzione.

Pur in un sistema così rigido e ben definito, Orson Welles, da vero enfant prodige, a soli 25 anni realizza Quarto Potere ritagliandosi nell’industria di del cinema americano un posto in cui muoversi in totale libertà.

Dopo gli esordi brillanti in teatro e in radio, Welles trova la porta aperta a Hollywood e in particolare alla casa di produzione RKO. Con questa sottoscrive un contratto che all’epoca era considerato particolarmente libero e vantaggioso per l’artista, e che non veniva concesso facilmente ai registi: forte della plena potestas concordatagli, Welles ricopre contemporaneamente i ruoli di attore, sceneggiatore, regista e produttore – con estesi poteri decisionali riguardo il montaggio e la gestione dei fondi –  nella sua prima pellicola.

TRAMA:

Il personaggio di Charles Foster Kane, interpretato in maniera magistrale dallo stesso Welles, è liberamente ispirato all’ascesa e il declino del magnate dell’editoria William Randolph Hearst; egli, sulla strada verso ilsuccesso e il potere, lascia indietro gli affetti e la volontà di amare in modo diverso dalle sue possibilità.

Rispetto ai tradizionali film hollywoodiani le innovazioni apportate da Welles in Citizen Kane riguardano fondamentalmente 3 ambiti: la recitazione, la composizione, l’intreccio.

Negli anni ’40 siamo ancora ben lontani dal method acting e da tutte le tecniche che permettono all’attore di immedesimarsi nel personaggio; gli attori di Hollywood negli anni ‘30 sfruttano la loro formazione e impostazione teatrale anche sui set cinematorgafico.

Welles scardina la rigidità tipica del metodo recitativo teatrale e, partendo dalla sua esperienza radiofonica, permette agli attori di accavallarsi uno sull’altro per ricreare un effetto di maggior realismo.

Nella celebre sequenza dei 9 anni di matrimonio tra il protagonista e la moglie Elizabeth, i due attori sfruttano l’accavallamento delle voci e le interruzioni l’uno dell’altra e rendono il tutto più fluido, dinamico e vicino alla realtà.

A questo si aggiunge il lavoro fatto dagli attori sulla comunicazione non verbale: l’impostazione teatrale infatti non permetteva agli attori di poter mettere il proprio corpo a servizio della battuta. Il lavoro di Welles è invece molto più fine, sottile e vicino alla recitazione contemporanea: gli sguardi, le espressioni, la postura dei due amanti rivelano il climax discendente della loro relazione.

Alle innovazioni recitative si affiancano le rivoluzioni estetiche e compositive.

Andando polemicamente contro ogni norma compositiva del decoupage classico di Hollywood, Welles opta per scelte estetiche inconsuete o addirittura inedite; spesso infatti riempie la sua cornice mantenendo a fuoco sia gli elementi in primo piano che gli elementi dello sfondo. Riesce ad ottenere questo effetto attraverso l’uso della stampatrice ottica, con l’obiettivo principale di sottolineare l’importanza che tutti gli elementi in scena hanno.

Le sequenze composte con questa tecnica condensano moltissime informazioni: quasi sempre sullo sfondo intravediamo il protagonista mentre in primo piano ci sono persone che parlano di lui. Il fatto che tutto sia a fuoco crea un’inquadratura ambigua e impegnativa, per cui sembra quasi che il Kane sullo sfondo non sia solo protagonista assoluto della pellicola, ma contemporaneamente protagonista del dialogo in primo piano nonostante non sia parte dello stesso. Il Modo di Rappresentazione Istituzionale sarebbe ricorso a un montaggio analitico oppure avrebbe semplicemente separato il primo piano, completamente a fuoco, dallo sfondo; in questo modo invece lo spettatore è chiamato a partecipare attivamente nella lettura e nella codifica dell’immagine e dei rapporti fra i personaggi.

Rivoluzionaria, infine, è la complessità di intreccio, mai vista prima in un film fino all’opera di Welles.

Dopo l’inizio nella contemporaneità lo spettatore è chiamato a trasgredire: di fronte al cartello “No trespassing” la macchina da presa valica il cancello, si insinua nella villa Xanadu e assiste alla morte del protagonista mentre pronuncia il nome “Rosebud”. Segue un montaggio serrato di titoli di cinegiornali mondiali che rimanda ai momenti salienti della vita del magnate.

Welles articola la risoluzione del mistero tramite una serie di flashback raccontati da chi l’ha circondato in vita che restituiscono una narrazione frammentata, fortemente scomposta e, soprattutto, soggettiva. Alla fine, però, nessuno riesce a capire chi o casa “Rosebud” sia: soltanto lo spettatore risolve il mistero e realizza quanto il protagonista sia molto più complesso e intrigante di quanto le parole degli altri non lo descrivano.

Il risultato è un film innovativo rispetto a molti dei canoni del cinema classico, una vera e propria alternativa estetica capace di esercitare duratura influenza su quello che andrà configurandosi negli anni successivi come il cinema moderno.

L’esordio di Welles è l’esempio tangibile di cosa sia il cinema per come lo consideriamo noi oggi: è  narrazione di intrattenimento, è opera artistica che può suscitare  riflessioni e dibattiti su argomenti esistenziali (la caduta del sogno americano, la solitudine del potere, il controllo dell’informazione), e non solo: è soprattutto radicale rivoluzione del linguaggio nel contenente e nel contenuto. 

di Giorgia Grendene

 

Giorgia Grendene

Sono Giorgia e amo le cose vecchie e polverose (come la mia laurea in lettere classiche), le storie un po’ noiose che richiedono tempo per essere raccontate e apprezzate, i personaggi semplici con storie disastrose. Mi piacciono il bianco e nero e il technicolor molto più del 4K, i libri di carta molto più degli e-book, il salato molto più del dolce, i cani molto più dei gatti.