Italiani tutti pazzi per lo shopping online!

Italiani tutti pazzi per lo shopping online!

Italiani tutti pazzi per lo shopping online!

Quanto ci piace lo shopping online? Secondo i dati più recenti, 33,3 milioni di consumatori in Italia lo preferiscono allo shopping fisico.

Più di 45,9 miliardi di euro: si attesta attorno a questa cifra l’e-commerce in Italia ottenuto nel primo trimestre del 2022. Un incremento di valore sostanziale, +14% rispetto all’anno precedente raggiunto grazie a 33,3 milioni di consumatori che hanno scelto di acquistare online.  Il Food&Grocery si conferma il comparto più dinamico, con una crescita del +17% anno su anno, rallentano il proprio percorso di crescita l’Abbigliamento con +10% rispetto al 2021 e l’Informatica & Elettronica di consumo con +7%.

Il popolo italiano si rivela essere quindi molto dinamico e avvezzo alla pratica dell’acquisto online, ma come si posiziona se paragonato ai consumatori europei?

A questo interrogativo risponde Seven Senders, piattaforma di consegna leader nella spedizione di merci, che in una recente analisi di mercato ha esaminato le abitudini di acquisto online dei consumatori di sette paesi europei, compresa l’Italia. Utile, infatti, è comprendere come il bel Paese si posiziona all’interno dell’Europa.

L’azienda tedesca – in collaborazione con l’istituto di ricerche di mercato Appinio – ha intervistato 3.500 consumatori in Italia, Germania, Francia, Paesi Bassi, Austria, Spagna e Svizzera in merito ai loro comportamenti d’acquisto e alle loro aspettative riguardo la sostenibilità nella vendita online. Prossimamente verrà divulgato lo studio completo commissionato da Seven Senders che saprà dare risposte in merito alla propensione di acquisto degli italiani rispetto ad altre sette nazioni europee, offrendo nuove best pratice per gli e-tailer. 

Stay tuned!

Kavinum, il vino della “generazione Netflix” raccontato da chi lo ha ideato

Kavinum, il vino della “generazione Netflix” raccontato da chi lo ha ideato

Kavinum, il vino della “generazione Netflix” raccontato da chi lo ha ideato

Kavinum è sostenibilità, rispetto del territorio e vini biologici per i giovani che amano stare insieme e vogliono imparare di più su questo mondo. L’intervista a chi ha reso possibile tutto questo.

Avevamo già parlato su questi schermi di Kavinum, l’e-commerce di vini sostenibili che con un quiz promette di scegliere il vino più adatto ai tuoi gusti al posto tuo. Sorpresi ed entusiasti di questa novità abbiamo deciso di intervistare Franck-Morel Beugré, la mente che si nasconde dietro Kavinum, per farci raccontare come nasce l’idea (e qualche segreto sul mondo del vino naturale, di cui purtroppo non sappiamo ancora abbastanza).  Fondatore e CEO di Kavinum, 29 anni e un percorso formativo che con il vino ha poco a che fare, ma che ha molto a che vedere con la passione e la curiosità: dopo un importante inizio nel mondo della moda, Franck si è dedicato al mondo dell’enologia per amore nei confronti della bevanda di Bacco. Dalla nostra intervista emerge perché noi siamo così contenti di questo suo “cambio di rotta”.

La scheda prodotto

Iniziamo con le presentazioni. Qual è il percorso che ti ha portato a fondare Kavinum?
“La mia formazione è molto lineare. Dopo il diploma professionale in ambito turistico ho iniziato a lavorare nel campo della moda con la celebre casa di moda statunitense Abercrombie&Fitch. Un ambiente giovanile, gioioso e molto accogliente che mi ha permesso di maturare esperienze nel marketing e customer service e nella gestione aziendale e di capire alcuni KPI (Key Performance Indicators, un insieme di misure quantificabili che un’azienda utilizza per valutare le sue prestazioni nel tempo, ndr.). L’avvento della pandemia ha scombussolato un po’ tutti e molti, come me, hanno deciso di cambiare vita. Avevo bisogno di nuovi stimoli e di nuove sfide: sono un ex giocatore di basket a livello agonistico, uno sportivo, e per me questi elementi sono vitali. Da quel momento ho iniziato a sviluppare l’idea Kavinum”.

Come nasce Kavinum?
“Kavinum si basa su una semplice idea: ‘Acquistare un ottimo vino che ami dovrebbe essere più facile, meglio se sostenibile’. Il prezzo rispetto al valore è sempre stato un problema chiave per l’acquisto di una bottiglia di vino. Kavinum parte quindi alla base dei problemi che potrebbero incontrare sia i neofiti che gli appassionati di vino: una bottiglia è buona perché è costosa? Come posso determinare il valore di una bottiglia? Una bella etichetta significa vino buono? Mi piacerà di più questa bottiglia solo perché è costosa? Il prezzo significa qualità? Mi stanno fregando?
Cercare di rispondere a queste domande è uno dei nostri obiettivi principali. Il cliente grazie al nostro servizio avrà più possibilità di provare vini che altrimenti non sarebbe stato in grado di scegliere da solo. Non solo, le opzioni di prezzo renderanno il suo viaggio nel vino personalizzato per adattarsi al suo budget mensile e soprattutto ai suoi gusti. Abbiamo semplificato le schede di degustazione che accompagnano ogni scatola di vino e reso le informazioni più intuitive per offrire un’esperienza di apprendimento gioiosa su un argomento spesso considerato proibitivamente intimidatorio.
Tornando alla domanda, Kavinum è un servizio online in grado di trasformare i gusti di ogni consumatore in bottiglie di vino consegnate direttamente a casa sua. Con il nostro team esperto, fatto di “persone reali”, e della nostra tecnologia di personalizzazione, offriamo un servizio digitale che aiuta l’utente a scoprire le migliori gemme da tutto il mondo (vino biologico o biodinamico, altrimenti prodotto e vinificato in modo sostenibile), spesso difficili da trovare, e riserva questi vini esclusivi ‘naturalmente’ prodotti in piccoli lotti. Kavinum è l’unico wine club che seleziona vini in base alle recensioni o preferenze di ogni membro. È il vino a modo tuo!”.

Il nome “Kavinum” invece da dove arriva?
“Volevo qualcosa che iniziasse con la lettera “K” come punto di partenza. Dietro questa “K” c’è tanto! Kavinum è la nostra filosofia che non si vuole fermare solo alla vendita di una semplice bottiglia di vino, ma vorrebbe essere una cultura. Il tema di Kavinum è amici, vino e bei momenti e per questo le prime due lettere “KA” rappresentano la casa, elemento ripreso anche nel logo: questo è composto da acini di uva su cui la stessa kappa è sistemata in modo da rappresentare un tetto. Gli acini che stanno sotto rappresentano ovviamente il vino, “vinum”. Qui non si valorizzano solo produttori di vino indipendenti che hanno scelto di produrre il vino in un modo molto più vicino alla natura senza nessuna aggiunta né chimica, solo l’uva che viene trasformata, ma rappresentano anche tutte le persone che stanno sotto Kavinum, sotto la nostra casa, nel segno dell’inclusione. Che tu sia qualcuno che non sa nulla di vino, qualcuno che ne sa o qualcuno che si colloca nel mezzo, siamo tutti qui insieme, attorno ad una sola cultura, quella del vino. Dobbiamo solo assaggiare e decidere se quello che stiamo bevendo ci piace o meno senza linguaggi troppo specifici. Perché alla fine l’unica cosa che chiunque debba fare con il vino è gustarlo in buona compagnia”.

Una foto dal sito kavinum.com

In Italia il vino naturale è ancora poco conosciuto. Si sente tanto parlare di vini ancestrali, vini biologici, vini biodinamici e su Kavinum ce n’è un’ampia scelta… cosa significano queste parole?
“In giro è molto difficile reperire del buon vino naturale, persino nel milanese, dove l’offerta della ristorazione è più ampia. Quando si trova qualcosa, la persona che hai davanti fa molta fatica a spiegare e raccontare la bottiglia. Posso dedurre che alcuni si affidano al concept per fare business, pochi sono quelli che sanno davvero ciò che trattano. 
Ho avuto la fortuna di avere tanti amici vignaioli che sono riusciti a spiegarmi di cosa stiamo parlando e a farmi capire che il vino naturale è molto semplice: uva che viene trasformata in un prodotto, il vino, senza nessuna aggiunta. Si prende l’uva, si fa la pigiatura, dalla pigiatura si ottiene il mosto che si lascia fermentare e si porta alla vinificazione, il vino viene poi imbottigliato ed è fatta. Questo è il vino naturale, non si aggiunge niente, l’uomo usa le sue mani e usa solo la materia prima raccogliendo solo i grappoli più buoni, poi la porta nel processo di produzione.
Per il vino biologico, bisogna sottolineare che è più una certificazione per poter vendere su mercati esteri all’export. La certificazione più conosciuta qui in Italia è quella rilasciata da ICEA (Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale, ndr.), ma ce ne sono anche tante altre che permettono di vendere in paesi esteri come il continente americano – perché gli statunitensi amano molto il vino italiano, soprattutto nel campo dei naturali – o l’Asia. I vignaioli naturali che desiderano richiedere la certificazione si recano presso l’ente ICEA e la richiedono direttamente lì, ma il processo per ottenerla è abbastanza lungo e può durare anche tre o quattro anni. Poi, una volta ottenuta, può vendere. Il vignaiolo naturale produce piccoli lotti in base alla sua raccolta. Una piccola produzione, che ora con il cambiamento climatico diventa ancora più vincolante poiché spesso in seguito a grandinate o alluvioni i produttori si ritrovano il più delle volte con il 90% della produzione che va persa.
Quando ci addentriamo nell’agricoltura biodinamica il discorso è ancora diverso: puoi essere certificato biologico sia in vigna che in cantina, ma è il tuo metodo di approccio alla natura a essere biodinamico. Esiste un’agricoltura biodinamica, ma non esiste un vino biodinamico. Si tratta di un’agricoltura che  utilizza preparati naturali che vengono messi in vigna e riescono a mantenere in salute la vite. Un concetto molto interessante che spieghiamo sul blog “Bicchieri a Tavola” del nostro sito. 
Il metodo ancestrale, invece, è un metodo molto antico, che prevede una tecnica simile a quella che usavano i nonni per i vini spumanti. Sono i vini che vengono imbottigliati con il tappo a corona per immagazzinare all’interno della bottiglia la CO2 necessaria a creare le bollicine senza utilizzare i classici metodi (metodo charmat o metodo classico, ndr.) per non aggiungere nulla al vino, ma per lasciare che sia la natura a completare il processo”.

È un mondo complesso e sono poche le figure che te lo sanno raccontare…
“Persino i sommelier non sono preparati in questo campo e li capisco, durante il percorso di studi viene loro insegnato ciò che è sempre stato spiegato e fatto nel settore del vino, ciò significa metodi e processi convenzionali. I vini convenzionali sono quelli che si trovano nella grande distribuzione, l’esatto contrario dei vini naturali che non hanno nessuna tecnica di produzione, sono puri, allo stato grezzo e molto buoni, perché quando li bevi si sente che sono fatti di sola materia prima: l’uva.
Il progetto Kavinum poggia su tre pilastri: etica, innovazione e sostenibilità. Etica significa prezzi accessibili per tutti, comprensione dei vini per tutti grazie alle nostre schede che inseriamo nei vari ordini che riportano informazioni sui produttori, le storie dietro alle bottiglie, le note di degustazione e le ricette abbinate ad ogni bottiglia nella tua scatola per offrire al cliente un’esperienza personalizzata. L’innovazione è rappresentata dal nostro algoritmo, che traccia le preferenze del singolo membro e va a ricercare quello che può piacere. La sostenibilità riguarda il fatto che Kavinum seleziona solo vignaioli che abbiano adottato una certa filosofia di vita, che eseguono un lavoro quanto più vicino possibile alla natura senza usare additivi che vadano a distruggere il suolo, spesso non usano neanche un trattore eseguendo ogni lavoro manualmente. Vogliamo far conoscere questo tipo di lavoro, quello delle persone brave e buone che hanno a cuore il loro territorio”. 

Parliamo invece dei vostri clienti. Chi è il vostro cliente tipo? Cosa apprezza di voi?
“Amiamo definire il nostro target come la “generazione Netflix”. Siamo giovani, adoriamo i contenuti, le esperienze personalizzate, le cose che ci piacciono, la convivialità: i nostri clienti sono come noi, persone che amano il vino buono, siano esse neofiti, appassionati o esperti. Sono persone che cercano una buona bottiglia, ma che non hanno tempo di scorrere i soliti cataloghi online con milioni di etichette, che non hanno voglia di perdere le ore davanti allo schermo cercando qualcosa che possa piacere loro perché il loro tempo è molto prezioso. Quando si rivolgono a noi, ricercano qualcosa di buono e nuovo che possa soddisfare le attese del loro palato, senza offendere le loro papille gustative. Il quiz sulla nostra piattaforma è ciò che fa per loro. Un quiz, sole sei domande e hanno le tre bottiglie di vino più adatte ai loro gusti che verranno consegnate direttamente a casa in meno di 24 ore (48 per le località italiane più difficili da raggiungere)”.

Una delle domande del quiz

Come vi è venuta l’idea del quiz? Come funziona l’algoritmo che c’è dietro?
Ancora una volta parliamo di diversità, però nel campo del vino. C’è chi ha iniziato da poco a bere vino. C’è chi compra vino regolarmente e c’è chi è interessato al vino e vorrebbe ampliare i suoi orizzonti, ma non ha abbastanza tempo di cercare bottiglie “nei soliti cataloghi”. Quindi l’idea alla base era avere una piattaforma digitale che ci consenta di soddisfare i palati di tutti. Sono una persona molto curiosa e quando ho iniziato con il vino ho iniziato a informarmi su tutte le cose che non sapevo per poterle interiorizzare. Questa curiosità l’ho portata verso il quiz: gli altri hanno un catalogo, noi vogliamo creare un club. Molti produttori fanno fatica a vendere le loro bottiglie e devono passare attraverso intermediari come grossisti, distributori, importatori e questo ha delle conseguenze anche sui prezzi. Noi cercavamo invece qualcosa che ci permettesse di non avere nessuno in mezzo per poter rendere il prezzo più accessibile a tutti, quindi fungiamo noi direttamente da intermediario fra il produttore di vino indipendente e il cliente finale.
Fondamentalmente ciò che facciamo è cercare di rendere l’esperienza di acquisto del vino un processo meno intimidatorio rispetto a quello che ha sempre presentato l’industria del vino per il consumatore medio. Il cliente può quindi scegliere il vino prima di tutto in base al tipo di cibo che abbinerà o al suo budget (perché è molto importante), altrimenti può semplicemente trovare il vino che risponda al suo gusto personale.
Il quiz ci aiuta allora ad accorciare i tempi e ad assegnare la bottiglia adatta a ogni palato. Abbiamo così stabilito tre range di prezzo e li abbiamo inseriti fra le domande: fino a 15€, da 16 a 25€ e da 26 a 40€. Dovevamo poi capire come riuscire a fare amare il vino a chiunque, quindi il quiz si informa riguardo le preferenze sui cibi salati e in base a quello sappiamo quanta mineralità il cliente ricerca in un vino, la salinità che apprezza. Domande come ‘quali sono i frutti che vorresti sentire nel tuo vino‘ o ‘quale cioccolato vorresti poter mangiare per sempre senza ingrassare‘ ci aiutano a capire quali profumi e quanto tannino si ricerca in una bottiglia – cioccolato bianco per un basso tannino, al latte per un tannino medio dal corpo medio, o fondente per un tannino persistente. Così possiamo trovare la bottiglia perfetta per chiunque. Tutto questo è in realtà solo la prima parte di Kavinum, grandi cose arriveranno”.

Come selezionate le bottiglie che scegliete di vendere su Kavinum?
“Il nostro modello di business ci consente di andare solo da chi il vino lo produce, quindi niente intermediari: nessun grossista, distributore o venditore.  È un processo stancante, molto impegnativo e ci consideriamo ‘esploratori del vino’ proprio per questo. Non tutti i produttori sono organizzati per dare un veloce feedback alle mail.
I produttori ci fanno vedere i loro poderi e le loro terre e li trattiamo come se fossimo amici. All’inizio ho detto che Kavinum è tre cose, amici, vino e bei momenti, e la parte dell’amicizia è fondamentale, sacra: il primo contatto con una persona deve sempre essere amichevole, poi si va a creare questa convivialità, questo modo di stare insieme che è il nostro obiettivo. Cerchiamo di far diventare i produttori nostri amici fin dal primo momento. Assaggiamo e selezioniamo personalmente quello che ci piace affinché possa piacere anche ai nostri clienti. Quindi, i vini scelti vengono mappati all’interno della nostra tecnologia di personalizzazione e da lì parte tutto il processo di vendita”.

Etichette in vendita su Kavinum con schede di degustazione

Qual è la parte più impegnativa di questo lavoro? E quale la più divertente?
“Il mondo del vino ha tante sfumature. Parliamo proprio dei vini di oggi dove troviamo il rosso, bianco, macerato ‘alias orange wine’, rosé e perfino i diversi stili di bollicine… Incontrare e conoscere nuovi produttori è impegnativo, ma allo stesso tempo anche divertente. Ci si incontra, si assaggiano i vini, si chiacchiera. Si nota che ognuno ha la propria filosofia. Ad esempio, alcuni vinificano solo in legno, altri invece non lo utilizzano assolutamente perché preferiscono che nei loro vini si senta solo il gusto puro dell’uva e non i sentori che a volte si sviluppano all’interno delle barrique.
La parte difficile invece è proprio la tecnologia di personalizzazione. Quando c’è l’inserimento di nuovi vini diventa molto fastidioso perché ogni bottiglia va mappata per poter soddisfare tutti i nostri utenti. Non dimentichiamo che abbiamo tutti un palato diverso, quindi meglio non dare del riesling a chi preferisce il pinot. Vogliamo offrire un’esperienza di vino completamente personalizzata al cliente. Crediamo fortemente che il vino debba essere divertente e per questo forniamo ai nostri membri una piattaforma per consumare contenuti, conoscere il vino, valutarlo, incontrare le persone dietro le bottiglie e fornire informazioni dettagliate per una selezione migliore. Penso che tutto questo rappresenti la parte più eccitante.

Quante persone siete oggi in Kavinum?
“Kavinum ad oggi è un piccolo team di appassionati del buon vino ‘sostenibile’. Persone unite dietro a quelli che sono anche i valori della piccola azienda: inclusione, avventura, passione e attenzione alla biosfera. Siamo partiti in tre a luglio 2021: io, il mio braccio destro nonché responsabile marketing e PR Barbara Saronni e un esperto sommelier certificato dall’AIS (Associazione Italiana Sommelier, ndr.) con più di vent’anni di esperienza. Le giornate sono lunghe, impegnative, ma soprattutto belle. Perché ci alziamo la mattina? Perché stiamo facendo del nostro meglio per scuotere un intero settore. Siamo diversi, offriamo qualcosa di diverso, ma siamo tutti uniti attorno a quel buon succo di uva”.

Quali sono i vostri obiettivi per il futuro?
“Gli obiettivi di Kavinum sono diversi, che siano a medio o lungo termine. L’obiettivo primario che si è fissato Kavinum è quello di aprire il mondo del vino sostenibile (in tutte le sue sfumature) a tutti, dal neofita all’appassionato, reinventando l’esperienza di acquisto al dettaglio del vino online a vantaggio dei nostri clienti. Vogliamo che tutti possano provare la gioia di un vino eccezionale, con un buon rapporto qualità-prezzo, senza le pretenziosità e l’esclusività della tradizionale industria del vino. Spiegare che cos’è un vino da agricoltura biologica e/o biodinamica non è per niente facile. Ecco perché per evitare di essere troppo accademici abbiamo aperto una nuova parte sul nostro sito, il nostro blog “Bicchieri a Tavola”, che permette di scoprire e comprendere di più di questo fantastico mondo del vino. I nostri utenti potranno capire facilmente termini come Vecchio vs. Nuovo Mondo del vino, le diverse filosofie dei loro produttori, le regioni del vino, l’abc del vino con le spiegazioni di termini come acidità, dolcezza, tannino, mineralità o corpo…”. 

Alcune bottiglie in vendita su Kavinum

Un mondo affascinante, ampio e diversificato che al giorno d’oggi risulta ancora estraneo anche a chi il vino lo conosce bene. Eppure, di vini naturali se ne sente parlare sempre più spesso. Che sia questa la piega che l’enologia prenderà in futuro? È ancora troppo presto per dirlo, ma siamo sicuri che la “rivoluzione-Kavinum” non passerà inosservata e darà del filo da torcere ai palati più titubanti. Provare per credere.

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Sito web: www.kavinum.com
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Tutte le immagini sono gentile concessione dell’intervistato.

Gaia Rossetti

Sono una gastrocuriosa e sarò un'antropologa.
Mia nonna dice che sono anche bella e intelligente, il problema è che ho un ego gigantesco. Parlo di cibo il 60% del tempo, il restante 40% lo passo a coccolare cagnetti e a far lievitare cose.
Su questi schermi mi occupo di cultura del cibo e letteratura ed esprimo solo giudizi non richiesti.

Rock Targato Italia 2022: i candidati alle “Targhe”

Rock Targato Italia 2022: i candidati alle “Targhe”

Rock Targato Italia 2022: i candidati alle “Targhe”

Parallelamente al concorso dedicato agli artisti emergenti, Rock Targato Italia rinnova anche la tradizione di assegnare delle Targhe Speciali agli artisti che negli ultimi dodici mesi si sono distinti nel panorama della musica italiana per qualità, coraggio e sensibilità.

Il 29 e 30 luglio, nelle giornate clou dell’estate rock milanese al Legend Club, Rock Targato Italia consegnerà anche tre targhe all’autore del miglior album dell’anno, all’artista rivelazione e all’etichetta che in quest’ultimo periodo si è maggiormente distinta, a cui se ne aggiunte altre due dedicate al miglior live e al miglior libro scritto da un musicista e una terza, dedicata a Stefano Ronzani (giornalista di musica morto nel 1996 in seguito a una lunga lotta contro la leucemia, ndr.), riconoscimento alla carriera.

Chi sono e che genere propongono i candidati che lo staff di Rock Targato Italia ha selezionato? Partecipate alla votazione online che il pubblico potrà esprimere sul sito ufficiale di Rock Targato Italia qui: https://bit.ly/3QXLUOz
Ma quali sono le categorie e i candidati?

MIGLIOR ALBUM

ALESSANDRO FIORI – “Mi sono perso nel bosco” (42 Records)
Canzone d’autore, pop e psichedelia accompagnano una scrittura delicatissima e poetica.

ALIA – “Io so come sei riuscito a sopravvivere senza gli altri” (RadiciMusic)
Un disco pop raffinato e moderno venato di malinconia e di una poesia garbata e sincera.

ALTERIA – “Vita imperfetta” (VRec)
Una frustata rock tutta al femminile. Energia, rabbia e desiderio di urlare la propria verità.

DIAFRAMMA – “Ora” (autoproduzione)
Suoni asciutti, approccio rock e la poetica inconfondibile di Federico Fiumani. Non serve altro.

MARIO PIGOZZO FAVERO – “Mi commuovo, se vuoi” (Dischi Soviet Studio)
Fra canzone d’autore dolente, romanticismo decadente, malinconie alcoliche e ombre letterarie.

RANCORE – “Xenoverso” (Universal)
Un viaggio in chiave rap in un futuro distopico. Quando la musica diventa letteratura e filosofia.

ARTISTA RIVELAZIONE

BARABBA
Ombre e disillusione in un progetto moderno e personale a cavallo fra urban e new-wave.

CIGNO
Un artista imprevedibile che rimescola le carte fra inquietudini attuali e incubi “timburtoniani”.

CIRCUS PUNK
Rock’n’roll, schegge di blues elettrico, punk, sudore e tanta voglia di non scendere mai dal palco.

EMILY BREVA
Fra pop, blues e rock contemporaneo con tanta voglia di raccontarsi in modo sincero e diretto.

IL PEGGIO È PASSATO
Un approccio smaccatamente pop personale e ironico che nasconde un retrogusto agrodolce.

IL VUOTO ELETTRICO
Un pugno in faccia in chiave noise fra chitarre taglienti e una voce che snocciola inquietudini.

MIGLIOR ETICHETTA 

42 Records
Dischi Soviet Studio
I Dischi Del Minollo
Fiori Rari
Trovarobato
VRec Label

A queste tre targhe si sono aggiunte quella per il miglior live, che è stata assegnata a Giancarlo Onorato per l’affascinante tour “Liturgie”, e quello per il miglior libro scritto da un musicista, che è andata a Pieralberto Valli per il coraggioso romanzo “Il nodo”. Lo speciale premio alla carriera, che da quest’anno sarà intitolato al giornalista Stefano Ronzani, andrà infine a Omar Pedrini che proprio sul palco di Rock Targato Italia ha mosso i suoi primi passi artistici nella storica prima edizione del 1987.

MIGLIOR LIVE

GIANCARLO ONORATO
Un artista dalla sensibilità sopraffina e dallo sguardo chirurgico capace di scavare con eleganza fra spirito e carne, elevando il primo senza dimenticare la seconda.

MIGLIOR LIBRO SCRITTO DA UN MUSICISTA

 PIERALBERTO VALLI – “Il Nodo” (Gagarin Edizioni)
Un romanzo distopico che, con uno stile lucidissimo, ci racconta l’incubo del transumanesimo e il senso umano del dolore.

PREMIO STEFANO RONZANI

OMAR PEDRINI
Non ha bisogno di presentazioni. Un artista che ha vissuto almeno tre vite senza perdere mai il desiderio di giocare con il rock e la poesia.

www.rocktargatoitalia.eu

 

Giornata nazionale della birra artigianale, boom del mercato globale a 38 miliardi di dollari

Giornata nazionale della birra artigianale, boom del mercato globale a 38 miliardi di dollari

Giornata nazionale della birra artigianale, boom del mercato globale a 38 miliardi di dollari

Il 23 giugno si è celebrata la Giornata Nazionale della Birra Artigianale. Dopo il calo di produzione e fatturato superiore al 70% del periodo pandemico, il mercato globale è tornato a fiorire nel 2021 ed entro il 2027 si stima che il tasso annuo di crescita composto raggiungerà il 14,1%. Il valore del comparto della birra artigianale in Italia raggiunge il 4% del mercato nazionale, fatturando oltre 250 milioni di euro e dando lavoro a 7.000 addetti secondo Unionbirrai. Cresce l’ambizione di ampliare sedi e referenze, come dimostra il caso made in Italy Doppio Malto: “Apriremo nuovi ristoranti in diverse città e proseguiamo l’innovazione di prodotto, lanciando proprio la nuova O Sole Mio” dichiara il CEO Giovanni Porcu

Dopo un biennio complesso come quello del 2020-2021 a causa della crisi pandemica, dei rallentamenti nella catena di approvvigionamento delle materie prime e della carenza di manodopera, dove il comparto delle birre artigianali ha sofferto una perdita della produzione e del fatturato superiore al 70% (stimato dall’ultimo report di Assobirra), il mercato della birra ha nuovamente raggiunto traguardi importanti che fanno guardare al futuro con positività. A partire dal riconoscimento nella Legge di Bilancio della filiera brassicola, per cui ad oggi le filiere di orzo da birra e del luppolo sono certificate quali vere e proprie filiere. Un riconoscimento necessario che certifica il valore del comparto della birra artigianale in Italia: il 4% del mercato nazionale, che produce in media 500.000 ettolitri l’anno e che fattura oltre 250 milioni di euro, dando lavoro a 7.000 addetti (fonte: Unionbirrai).

La birra artigianale convince sempre più famiglie e giovani, soprattutto nella segmentazione anagrafica Millennial: il 60% si dichiara, infatti, un conoscitore attento delle varie tipologie di birra, da quelle delle bottiglie da collezione, alle profumate e variopinte (Istat). E i dati importanti, stavolta a livello globale, non finiscono qui: attualmente ilsegmento della birra artigianale rappresenta un valore di oltre 38 miliardi di dollari nel mercato globale e crescerà del 14,1% l’anno fino al 2027, secondo quanto riportato recentemente da MarketWatch.

Sul mercato europeo, invece, stando ai dati legati alla produzione dello studio di Technavio, si prevede che laquota del comparto della birra artigianale aumenterà di 666,34 milioni di litri entro il 2025 (+6,20%). Buone notizie, quanto meno in termini di popolarità, in generale per la birra italiana, che secondo l’Annual Report 2020 di Assobirra, risulta tra quelle con migliore reputazione in Europa, terza in classifica, battendo tutti i paesi a grande tradizione birraria, inclusa la Germania, ad eccezione di Polonia e Romania. E se Germania e Regno Unito rimangono i mercati con la più rapida crescita di mercato, l’Italia è al quarto posto in Europa per numero di birrifici artigianali solo dietro Regno Unito, Germania e Francia (fonte: Unionbirrai).

Una popolarità che non può che lasciare soddisfatto chi la birra artigianale italiana la produce e la distribuisce attraverso una catena di food retail di successo, come Doppio Malto. “Continueremo quest’anno ad aprire nuovi ristoranti in diverse città italiane ed europee – dichiara il fondatore e CEO di Doppio Malto, Giovanni Porcu – È questo infatti ad oggi il principale canale distributivo della nostra birra artigianale, mentre stiamo lavorando per approdare alla grande distribuzione nel 2023”. Positive le previsioni di produzione del brand per i prossimi anni, prosegue Porcu: “Prevediamo di chiudere il 2022 con una produzione nel nuovo birrificio di Iglesias di 1,5 milioni di litri e passare a 3,5 milioni di litri entro il 2024. Previsioni supportate dalle innovazioni e dagli investimenti che puntano al miglioramento dell’offerta, come un nuovo parco maturatori, dedicati alla maturazione della birra ed un carbonicatore, necessario per garantire un corretto contenuto di anidride carbonica.

 Investire, soprattutto in momenti di crisi, è il segreto del successo: da qui il nostro piano di sviluppo”. Un piano di sviluppo e di crescita che riguarda tanto il retail quanto la produzione di birra. Precisa Giovanni Porcu: “Per una felice coincidenza lanciamo proprio oggi, nella Giornata Nazionale della Birra Artigianale, una nuova birra: O Sole Mio. È già disponibile in anteprima sul nostro EHI! Commerce per poi arrivare anche, sia in bottiglia che alla spina, in tutti i locali Doppio Malto”. “La O Sole Mio è una birra molto estiva, a bassa fermentazione, in stile American Wheat – spiega Simone Brusadelli, Mastro Birraio di Doppio Malto – Birra di frumento con impiego massiccio di bucce di limone, che respira sia Oceano che Mediterraneo. Bianca la schiuma e densa, pieno sole il colore, profumo balsamico di limone, ma anche mango, ananas e pompelmo, con un finale di pane croccante”.

 

 

In volo su Wimbledon con Matteo Berrettini, l’amico ritrovato

In volo su Wimbledon con Matteo Berrettini, l’amico ritrovato

In volo su Wimbledon con Matteo Berrettini, l’amico ritrovato

Pensieri liberi a pochi giorni dalla partenza del torneo più prestigioso del calendario. L’esclusione di russi e bielorussi, l’ATP che risponde togliendo ai championships i punti-classifica; gli organizzatori che alzano il montepremi. Sullo sfondo, i giocatori. Soprattutto uno, gentleman Matteo.

Matteo è stato via. Per 84 giorni. Sul cemento di Indian Wells a marzo ha dovuto ritirarsi al cospetto di Kecmanovic. Il dolore alla mano destra imponeva una decisione drastica e tempestiva, e la soluzione poteva essere solo di tipo chirurgico.

E così è stato. Una corsa contro il tempo, un sacrificio necessario quello della intera stagione sulla terra rossa, compreso l’amatissimo torneo nella sua città, quegli Internazionali D’Italia al Foro Italico che attendono un vincitore italiano dal lontano 1976, quando a trionfare fu un altro romano, Adriano Panatta. Obbiettivo: rientrare in tempo per il circuito sul verde.

Italiano atipico Matteo. Interrompe la teoria di giocatori nostrani ancorati alle logiche del polveroso tennis su mattone tritato con i suoi rimbalzi alti e le rotazioni estreme, per adattarsi come un australiano agli happening sull’erba; ai rimbalzi bassi e irregolari, sfuggenti e traditori, agli scambi più corti e alle tentazioni di scendere a rete come un volleatore d’altri tempi. Persino alle atmosfere inglesi compassate, ai siparietti per divertire la platea britishanche fuori dal Regno Unito; come se lo spettatore del gioco sui prati fosse diverso, più propenso ad una inconscia allegria generata forse dall’ambiente agreste, dallo strawberry and cream che fa molto classy picnic.

Matteo è stato via. Strano destino, il suo. A ventitré anni nel 2019 finisce la stagione nella top ten; gioca la semifinale agli US Open venendo superato solamente da Nadal, e a fine anno si qualifica per le ATP Finals. Nel girone eliminatorio vince una partita, primo italiano di sempre a riuscirci.

Matteo Berrettini a Wimbledon

Ma il 2019 è anche l’anno di Jannik Sinner; il diciottenne altoatesino vince il Next Gen, una sorta di Masters tra i migliori giovanissimi del circuito. In molti, colleghi compresi, gli pronosticano un futuro da numero uno: “in prospettiva è più forte di Berrettini”, “dominerà il circuito”. E già che ci siamo, si parla anche di Lorenzo Musetti, classe 2002, un ragazzino che gioca con il tocco magico.

Matteo, appena festeggiato per i successi raggiunti, sembra già vecchio, ed in prospettiva superato dai due prodigiosi teenager. Ma non ci fa caso, forse anche perché sa che i due hanno più talento di lui; ma sa anche che la sua voglia di arrivare è tale da colmare ogni tipo di divario tecnico, ed è sufficientemente salda da continuare a parlare al suo sogno di gloria. E tre anni dopo, oggi, a pochi giorni dall’inizio di Wimbledon, può guardare con fiducia alle sei partite che lo separano dalla finale, traguardo da lui raggiunto l’anno scorso. Chi si era dimenticato di lui è servito.

L’otto di giugno rientra a Stoccarda; gioca quattro partite e vince il torneo; perde tre set, non pochi, manca ovviamente di continuità. Ma serve 65 ace e perde il servizio solo tre volte. Nella settimana seguente al prestigioso Queen’s di Londra perde un solo set e trionfa sommerso dall’affetto dei Londoners; nel discorso del vincitore parla dell’operazione alla mano e sorride dicendo “a noi italiani piace lamentarci un po’” tra le risate del pubblico che ama the italians purchè gli vengano raccontati attraverso i cliché più triti e rassicuranti. Poi fa i complimenti per la carriera a Sue Barker, sessantaseienne ex giocatrice e giornalista alla BBC prossima alla pensione. “Such a nice guy”, dirà poi la signora.

Wimbledon

Romano come Nicola Pietrangeli e come Adriano Panatta, i due più forti connazionali. Ma senza l’atteggiamento spavaldo e mattacchione del primo, e la simpatia e la verve polemica del secondo. Senza il loro braccio d’oro forse, ma con una dedizione maggiore al sacrificio.

Tecnicamente il suo feeling con l’erba si spiega con il suo ottimo rovescio slice, ossia portato con movimento dall’alto verso il basso; in questo modo il suo colpo meno forte, il rovescio appunto, diventa un’arma in più, potendo contare sull’esecuzione tagliata, che produce un rimbalzo molto basso e mette sulla difensiva l’avversario. Sui campi erbosi picchiare forte è meno importante che non imprimere effetti che, complice la superficie, rendono il colpo difficilmente controllabile al contendente.

​IL TORNEO

Al momento in cui scriviamo sono già state sorteggiate le prime sedici teste di serie. Assente il numero uno del mondo Daniil Medvedev, gli inglesi hanno saggiamente messo come primi due favoriti Djokovic e Nadal, dividendone i percorsi fino a non prima della finale. In questo Wimbledon è già meglio di Parigi.

Come tre e quattro ci sono invece due giocatori di valore ma non amanti dell’erba: Casper Ruud e Stefanos Tsitsipas: il primo non ha mai vinto una sola partita a Londra, il secondo ha raggiunto una volta gli ottavi nel 2018, per poi raccogliere solo delusioni. Il numero cinque di Carlos Alcaraz pare un azzardo per il giovane spagnolo, di sicuro avvenire ma per cui il verde è ancora un’incognita.

Il successivo tris appare meglio equipaggiato per i prati: Felix Auger-Aliassime, Hubert Hurkacz, vincitore domenica scorsa a Halle, e infine Matteo nostro. Ritengo assurdo porre sul terzo scranno lo spaesato Ruud e all’ottavo Berrettini, per puro ossequio alla classifica generale; si comprende bene l’importanza del ranking, ma la brevità della stagione verde e le peculiarità del suo gioco potrebbero meritare graduatorie avulse, che in qualche modo premino maggiormente stato di forma del momento e risultati ottenuti on grass.

Come è noto, il triste scenario della guerra in Ucraina ha portato gli organizzatori ad escludere tennisti russi e bielorussi. L’associazione dei giocatori per rappresaglia ha tolto i punti destinati ai partecipanti, con la conseguenza che chi è andato bene l’anno scorso, ora perderà quel punteggio e non lo rimpiazzerà nemmeno vincendo. È il caso, tra gli altri, di Berrettini.

Gli organizzatori hanno deciso di alzare il montepremi, per mettersi al riparo da eventuali boicottaggi per solidarietà da parte di altri giocatori: dai 35 milioni complessivi del 2021 si passa ai 40 del 2022, due milioni a testa per i vincitori dei singolari. Roba da ricchissimi.

A prescindere dai soldi, noi guarderemmo il tennis di Church Road anche senza montepremi, spalti e raccattapalle, che è poi il torneo delle prime edizioni centocinquanta anni fa, quando partecipavano solo inglesi vestiti come dei dandy nel pieno dei loro pomeriggi ricreativi.

Altri tempi, stesso fascino. Signore e signori, Wimbledon.

di Danilo Gori