Vi.Na.Ri: le voci del vino naturale si riuniscono a Milano

Vi.Na.Ri: le voci del vino naturale si riuniscono a Milano

Vi.Na.Ri: le voci del vino naturale si riuniscono a Milano

Vi.Te. e VinNatur unite per la prima grande manifestazione dei Vignaioli Naturali Riuniti.
A Milano più di 150 espositori italiani ed esteri, banchi d’assaggio e masterclass

Arriva a Milano un evento storico che vede per la prima volta due associazioni unite nell’organizzazione di una manifestazione dedicata al vino naturale. Vi.Na.Ri è la due
giorni ideata e organizzata da Vi.Te. e VinNatur, aperta a chiunque ami il mondo del vino naturale, in cui tutte le aziende aderenti rispettano gli stessi requisiti qualitativi e di produzione.

La prima edizione della rassegna, in programma domenica 12 e lunedì 13 febbraio 2023, avrà protagonisti più di 150 produttori in unica grande location a pochi passi dall’aeroporto di Linate. Sarà proprio Studio Novanta lo spazio collettore in cui vignaioli italiani ed esteri potranno presentare i loro prodotti e la loro filosofia enologica e agronomica.

Vi.Na.Ri nasce a inizio agosto 2020 quando avviene l’incontro tra Angiolino Maule e Gabriele Da Prato, rispettivamente presidenti di VinNatur e Vi.Te., per gettare le basi di un percorso condiviso. “È stato evidente il bisogno di fare chiarezza nel movimento del vino naturale – dichiarano i due presidenti – e questo è stato possibile unendo le forze e collaborando per dare maggiore autorevolezza al vignaiolo e al suo messaggio. Da qui un evento congiunto, fuori dagli schemi abituali, che possa trasmettere la voglia dei vignaioli di raccontare e spiegare i territori, le vigne e i vini”.

 

Giallo è il colore di Milano

Giallo è il colore di Milano

Giallo è il colore di Milano

Milano non è grigia come la scighèra e lo smog. Milano è gialla, Giallo Milano.

Esiste davvero il colore “Giallo Milano” o è semplicemente uno di quegli aneddoti da blog per spingere il turismo? Il Giallo Milano è, in realtà, qualcosa di cui i milanesi vanno da sempre oltremodo fieri. Perché non è vero che i milanesi non abitano più a Milano: i milanesi abitano nei condomini giallo Milano, e guai a chi cerca di cambiare i colori delle facciate. Perché?

Non c’entrano nulla il risotto allo zafferano o il colore dei vecchi tram, anzi, semmai, è il contrario. Questa particolare tonalità di giallo prende il nome “Milano” perché si tratta del colore che venne scelto sul finire del Settecento, sotto il dominio austriaco di Maria Teresa, per dipingere le case della città. Si rovinava di meno e aveva bisogno di una sola mano, un investimento estremamente favorevole per la casata d’Austria che voleva in ogni modo nascondere l’invecchiamento dell’intonaco bianco che si degradava estremamente in fretta a causa della fuliggine dei camini.

Molti edifici mantengono tutt’ora il colore originale, ma non si tratta solo di abitazioni popolari e case di ringhiera: fino al restauro del 1999 anche il Teatro alla Scala era dipinto di giallo, così come Palazzo Reale e la Pinacoteca Ambrosiana (che lo è ancora).

All’inizio del Novecento, ogni casa popolare che si rispettasse veniva dipinta di Giallo Milano, proprio per ragioni economiche e storiche. Negli anni Trenta, invece, si usavano molto di più la pietra, i marmi e il laterizio lasciato a vista. Oggi si tenta di tornare alle facciate originali chiedendo riferimenti agli anziani del palazzo o vedendo i vari documenti dei lavori effettuati nel corso degli anni.

Si tratta di un colore così chiaro da perdere intensità nel corso del tempo, infatti esistono varie tonalità di Giallo Milano. Il Giallo Milano originale, però, è il Ral 1023 di Pantone, lo stesso giallo ripreso anche dai tram fin dal 1928.

Oggi, quel colore pastello si può trovare ancora con estrema facilità in giro per la città, basti solamente pensare alle case che si affacciano sul Naviglio Grande o sulla Martesana, dove gli edifici sono più vecchi, sebbene negli ultimi anni molti edifici abbiano cambiato il loro aspetto e sono stati tinteggiati di bianco o color tortora.

Alzate la testa, quando saremo così fortunati da poter vivere un altro Fuorisalone. Così, oltre agli spritz e alle mostre nei cortili, sarà facile ammirare un pezzo della nostra storia. Senza entrare in un museo.

Gaia Rossetti

Sono una gastrocuriosa e sarò un'antropologa.
Mia nonna dice che sono anche bella e intelligente, il problema è che ho un ego gigantesco. Parlo di cibo il 60% del tempo, il restante 40% lo passo a coccolare cagnetti e a far lievitare cose.
Su questi schermi mi occupo di cultura del cibo e letteratura ed esprimo solo giudizi non richiesti.

Leonardo da Vinci: una storia di follia e innovazione culinaria

Leonardo da Vinci: una storia di follia e innovazione culinaria

Leonardo da Vinci: una storia di follia e innovazione culinaria

Leonardo Da Vinci aveva una smisurata passione per la cucina, tanto da aver provato in ogni modo a inserirsi in questo mondo in parallelo con la sua attività di pittore. Fu geniale come nel resto delle cose che fece? Spoiler: no.

L’amore di Leonardo per il mondo agroalimentare nacque quando, da bambino, il nonno lo portava a visitare i mulini attorno a Vinci e il suo patrigno Piero dal Vacca, pasticcere, gli concesse di averlo vicino nel suo laboratorio. Leonardo già allora creava modellini dentro cui mettere gli impasti per i dolci, ma la pasticceria gli piaceva così tanto che faceva anche qualche dolcino, soprattutto di marzapane.

A ventuno anni, dopo le ore di lavoro nella bottega di un pittore, Leonardo faceva gli extra. Un giorno si presentò alla Taverna delle Tre Lumache, al Ponte Vecchio di Firenze, un locale molto frequentato dell’epoca, dove Leonardo voleva imparare i segreti della cucina. Il locandiere, in realtà, non aveva necessità di assumere altri cuochi, ma questo giovane Leonardo gli stette così simpatico che lo prese per servire ai tavoli. E chi lavorava insieme a Leonardo? Un nome a caso: Botticelli.

Colpo di scena: i tre cuochi della locanda muoiono tutti insieme, improvvisamente. Pare che avessero assaggiato qualche cibo da cui rimasero avvelenati. Leonardo, il quale aveva molti difetti, ma di certo non la stupidità, capì al volo che era il suo momento e prese uno dei tre posti vacanti. La cucina della locanda, frequentata per lo più dai mercanti fiorentini, era molto pesante e untuosa, fatta soprattutto di sughi, carni bollite e molti grassi e Leonardo decise di stravolgere il menù e sostituire le portate abbondanti di prima con altre più leggere, con una grande cura per l’estetica. Leonardo puntava sulle affumicature, sui contrasti, e utilizzava molto aromi e spezie: fu dunque uno sperimentatore anche in cucina, praticamente un avanguardista della nouvelle cuisine.

Il cavatappi progettato da Leonardo da Vinci

Il problema è che faceva tutto da solo: apparecchiava e serviva ai tavoli, puliva i pavimenti, portava le scorte dalla cantina. Cosa fece allora per aiutarsi? Progettava macchinari: un piccolo macinapepe, un affetta uova a vento, un girarrosto meccanico e persino l’antenato del cavatappi. Ad un certo punto, però, successe un’altra catastrofe e la locanda venne spazzata via da un incendio. Ma Leonardo e il suo amico Sandro Botticelli non si diedero per vinti e vollero mettersi in società, aprendo insieme un’altra locanda. Il nome era spaziale: “All’insegna delle tre ranocchie di Sandro e Leonardo”. Com’era fatto il menù? Tavole speculari foderate contenenti dei fogli dove, sulla sinistra, vi era il disegno che spiegava il piatto e, sulla destra, il menù scritto di pugno da Leonardo. E Botticelli disegnava nel menù le pietanze. Un menù di difficile decifrazione e un locale destinato ad avere vita breve, che infatti chiuse presto.

Rimasto senza lavoro, Leonardo si dedicò alla creazione di modellini e inviò a Lorenzo de’ Medici, in guerra con il Papa, un augurio per la guerra accompagnato da biscottini in marzapane a forma di modellini da guerra. Lorenzo de’ Medici però non capì il regalo e non gli rispose mai. Leonardo allora volle lasciare Firenze, Lorenzo de’ Medici lo scoprì e gli fece recapitare una lettera dove però Leonardo non trovò nessuna referenza come cuoco, né come pittore, ma solo come abile suonatore di liuto. Stufo di quella città che non lo apprezzava come meritava, fece le valigie e si trasferì a Milano.

Nemmeno a Milano, però, si arrese all’idea della cucina, e si propose di creare qualche marchingegno per migliorare la cucina del Castello Sforzesco e di organizzare l’inaugurazione. Secondo il suo concetto di sobrietà, la festa di inaugurazione si doveva svolgere dentro una grande torta: bisognava creare una copia del palazzo degli Sforza realizzata con torte di polenta rivestite di marzapane e accatastate l’una sopra l’altra. Gli ospiti avrebbero varcato porte dolci, si sarebbero seduti su sgabelli dolci, su tavoli dolci e avrebbero mangiato dei dolci. Tra le cose più singolari, Leonardo da Vinci studiò il modo di mandar via i cattivi odori e il fumo e costruì un apparecchio per automatizzare l’arrosto. Per tenere pulito il pavimento, invece, impiegò due buoi che spingevano uno spazzolone.

Come andò l’inaugurazione del castello? I marchingegni crearono disagio fra le centinaia di invitati e i buoi impauriti cominciarono a correre e a insudiciare la cucina con i loro escrementi. Inoltre, Milano pullulava già abbondantemente di piccioni, oltre che di ratti, e gli uomini degli Sforza passarono la notte precedente a fare una carneficina. Ludovico il Moro cercò allora di liberarsi di lui mandandolo al convento di Santa Maria delle Grazie, ma nemmeno così Leonardo riuscì a placare la sua fame di conoscenza. Recita infatti una lettera del priore a Ludovico il Moro: 

Mio signore, sono passati due anni da quando mi avete inviato il maestro Leonardo; in tutto questo tempo io e i miei frati abbiamo patito la fame, costretti a consumare le cose orrende che lui stesso cucina e che vorrebbe affrescare sulla tavola del Signore e dei suoi apostoli

Comunque, la sua permanenza qui la trascorse così, creando il suo dipinto più importante:

Il Cenacolo vinciano

Gaia Rossetti

Sono una gastrocuriosa e sarò un'antropologa.
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I 5 migliori piatti mangiati nel 2022 a Milano e dintorni

I 5 migliori piatti mangiati nel 2022 a Milano e dintorni

I 5 migliori piatti mangiati nel 2022 a Milano e dintorni

È partito il conto alla rovescia per l’anno nuovo, e con esso è arrivato il momento dei bilanci. Ecco dunque i cinque migliori piatti assaggiati nel 2022 (più uno) fra Milano e provincia.

Se il 2022 è stato un anno per certi versi poco confortante (ne abbiamo parlato qui), dal punto di vista gastronomico è stato invece particolarmente avvincente. Si sa, a noi italiani piace mangiare, è parte di ciò che siamo e di come affrontiamo la vita, per cui un motivo per riunirci davanti a un bicchiere di vino o una pizza lo troviamo sempre.

Di occasioni per uscire a mangiare un boccone ne abbiamo avute tante nel corso dell’anno, dalla pausa pranzo alla cena di compleanno passando per un aperitivo con le amiche, ma sia chiaro: non tutto quello che abbiamo mangiato valeva l’assunzione di quelle calorie. Per questo, nelle settimane che precedono l’arrivo dell’anno nuovo, è giunta l’ora di tirare le somme di quello che abbiamo mangiato e stilare un elenco dei cinque migliori piatti mangiati quest’anno.

Non vogliatecene, nonne di tutta Italia. Le vostre cotolette e paste al forno sono assolutamente imbattibili e nessuno chef tristellato potrà mai competere con l’affetto che mettete quotidianamente nelle vostre delizie. Ma a ogni nonna amorosa corrisponde un cuoco appassionato, e anche a loro occorre dare giustizia.

Attenzione: non è una classifica né un elenco esaustivo che debba necessariamente rispettare i gusti di tutti, ma una personalissima sintesi di quello che ci è piaciuto di più quest’anno fra Milano, provincia, Varesotto e Brianza. Una hit parade del nostro piacere personale.

Il tuo piatto preferito non compare in questo elenco? Segnalacelo, andremo a provarlo personalmente e chissà che non compaia nell’elenco del prossimo anno.

Il risotto con crema di piselli, harissa, rucola e limone sotto sale di Distreat (Milano, Naviglio Pavese)

Non è uno scherzo. Questi tre ingredienti insieme danno origine a un abbinamento da urlo, elegante, ma anche un po’ pop in cui il tocco orientale dell’harissa incontra la tradizione italiana degli agrumi. Un risotto estivo, fresco, grazie all’acidità del limone che si combina perfettamente con la ruvidezza della rucola e la cremosità dei piselli, in cui l’harissa fa da padrone senza però sovrastare gli altri sapori. Senza dubbio, uno dei piatti migliori assaggiati nel 2022.

Il risotto di Distreat

Il baccalà mantecato, cipolla e capperi di SPAZIO – Niko Romito (Milano, Duomo)

SPAZIO è il bistrot dello chef Niko Romito, che in Abruzzo ha guadagnato ben 3 stelle Michelin nel suo ristorante Reale di Castel di Sangro (L’Aquila). La chiave del menù è quella di scoprire i piatti del territorio in chiave gourmet, grazie anche alla creatività dei giovani cuochi della scuola di Niko Romito. In cucina, infatti, la brigata ha studiato dallo chef e propone piatti di alta cucina senza troppi fronzoli con vista sul Duomo. Sebbene l’intera carta meriti, a parer nostro, un assaggio, il piatto che più ci ha colpiti è il baccalà mantecato. Un pesce povero che da SPAZIO viene valorizzato al meglio e che sprigiona tutta la sua golosità grazie all’abbinamento con una crema di cipolla da volare via e una polvere di capperi che contrasta con la grassezza del baccalà. Provare per credere.

Il baccalà mantecato di SPAZIO

Il chorizo al vino rosso con puré di patate dolci di Posada Pop Kitchen (Vimercate, MB)

Il comfort food che tutti vorremmo poter mangiare a cucchiaiate sul divano davanti a una serie tv. Le patate dolci più cremose mai assaggiate fanno da sfondo a un chorizo sapido e gustoso, così morbido da sciogliersi in bocca. Posada Pop Kitchen è un locale di cucina messicana a Vimercate in cui si sta bene, si beve bene, ci si sente a casa. Dove il chorizo al vino rosso è solo la punta dell’iceberg di un menù curato, deciso, attento alla materia prima.

Il filetto di canguro alla liquirizia, soia e spinacino di Meat Eat (Varese, VA)

Nonostante l’apertura fresca fresca nell’aprile appena trascorso, Meat Eat si è già conquistato un posto nel nostro cuore. Non solo per il personale giovane e preparato, ma soprattutto per la qualità dei piatti proposti. La carta ruota attorno alla carne, ovviamente, e la loro specialità sono i tagli dry aged: fiorentine, costate e tomahawk frollate a secco nell’arco di 5-8 settimane per far sì che la carne ceda fino al 20% dei liquidi e risulti tenera, marmorizzata alla perfezione e con un aroma unico. Quello che ci ha particolarmente colpiti è, però, un antipasto, il filetto di canguro alla liquirizia, soia e spinacino. Il canguro è una carne morbida e ferrosa che qui viene scottata sui lati e servita con germogli di soia e croccanti foglie di spinacino irrorati da una golosissima salsa di soia e liquirizia. Chi avrebbe mai detto che carne e liquirizia fossero un abbinamento così perfetto?

Gli spaghetti tirati a mano serviti con salsa di sesamo, arachidi e pepe di Sichuan de Le Nove Scodelle (Milano, NoLo)

L’indirizzo a Milano per mangiare cucina cinese del Sichuan è, senza ombra di dubbio, Le Nove Scodelle in Piazzale Loreto. Trattoria tradizionale piccolina a cui corrisponde un menù piuttosto breve: nove piatti principali serviti in scodelle di ceramica (il 9 è il numero sacro all’imperatore), qualche antipasto e due o tre primi a diversi gradi di piccantezza, ma comunque tutti dai sapori decisi. Il nostro piatto preferito sono stati senza dubbio gli spaghetti tirati a mano: pasta di grano lunga, spessa, ben condita e cotta al punto giusto che quando la addenti ti fa dubitare delle tue origini italiane. Può la Cina offrire una pasta fresca degna delle migliori sfogline emiliane? Eccome se può.

Gli spaghetti tirati a mano de Le Nove Scodelle

 


Fuori lista: La pizza con ragù alla bolognese di Enosteria Lipen (Triuggio, MB)

Vi aspettavate cinque piatti, lo sappiamo, ma la pizza al ragù di Lipen ci è piaciuta così tanto che non potevamo escluderla da questa compilation. E non siamo solo noi a dirlo: premiata con i tre spicchi Gambero Rosso anche nell’edizione 2023 dell’omonima guida alle migliori pizzerie, la pluripremiata pizza di Corrado Scaglione compare nel 2018 nei 70 Best Restaurants with Pizzeria in the World, nella guida Pizzerie d’Italia de L’Espresso nel 2019 e nel 2020 nella classifica 50 Top Pizza. Morbida, alveolata, digeribile, con ingredienti di primissima qualità e attenzione alla tradizione, senza però tralasciare una decisa spinta all’innovazione. Il piatto della domenica in famiglia che incontra la pizza del venerdì sera con gli amici del calcetto.

La pizza al ragù di Lipen

Sì, lo sappiamo, non a tutti piace la pizza napoletana con il cornicione. Sì, lo sappiamo, abbiamo osato paragonare gli spaghetti cinesi alla pasta fresca all’uovo di Reggio Emilia. Sì, lo sappiamo, non ci credete che l’harissa si sposi da dio con la rucola. Sì, lo sappiamo, siete restii ad assaggiare il canguro. Ma a cosa serve il cibo se non a connettere, unire, identificarci, creare scompiglio?

Gaia Rossetti

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Le 5 etichette sotto i 30€ che ci sono piaciute di più nel 2022

Le 5 etichette sotto i 30€ che ci sono piaciute di più nel 2022

Le 5 etichette sotto i 30€ che ci sono piaciute di più nel 2022

Chi ha detto che per bere una buona etichetta bisogna spendere tanto? Ecco cinque bottiglie di vino sotto i 30€ per un cenone di Capodanno con il botto.

Se anche tu davanti alle mille etichette nella corsia dei vini del supermercato non sai mai cosa scegliere e alla fine opti per la bottiglia con la combo estetica-alcol-prezzo che ti sembra più conveniente, questo articolo fa al caso tuo. Non è necessario essere sommelier o avere una disponibilità economica importante per godersi un calice di vino di tutto rispetto: a volte basta qualche trucco, altre il consiglio di un amico.

Non sempre le etichette più care sono quelle più buone. Dunque, se sei uno studente fuorisede, un neofita del vino, una donna in carriera che non ha tempo da perdere in indecisioni oppure semplicemente non ti interessano queste paranoie perché a te basta bere, ecco cinque bottiglie sotto i 30€ che ti faranno fare una cazzutissima figura al cenone di Capodanno, ma anche il resto dell’anno. Provare per credere.

Mater – Cilento Fiano DOC 2021, Cantine Barone (20€ sul loro sito)
Un fiano del Cilento DOC prodotto con uve surmature dal sapore caldo, secco, avvolgente, dalla spiccata sapidità e mineralità. La breve maturazione sulle bucce dona a questo vino bianco un bel colore giallo dorato carico e un profumo di frutta gialla matura con un evidente sentore di fichi secchi, leggermente tostato. Un grado alcolico del 14,5% che scende piacevolmente in accompagnamento a piatti di pesce, ma anche per un dopocena elegante. Noi l’abbiamo imbastardito abbinandolo a una bella pizza margherita, ma quando un vino è buono, lo è sempre.

Mater – Cantine Barone

Sauvignon Livio Felluga – Colli Orientali del Friuli DOC 2021, Livio Felluga (19.90€ su CallMeWine.com)
Di buone etichette ce ne sono tante, ma Livio Felluga sa quello che fa – e si sente. Il suo Sauvignon è un vino bianco del Friuli fresco e dalla buona complessità aromatica. Dal colore paglierino brillante, è un vino bianco intenso che conquista con la poliedricità dei suoi sentori, che vanno dalle romantiche note di fiori dolci a quelle decise degli agrumi, dall’avvolgenza della crema pasticcera alla spontaneità della foglia di pomodoro. Dà il meglio di sé se abbinato a zuppe di pesce, risotti e piatti di verdure in umido.

Sauvignon – Livio Felluga

Onìric Brisat Xarel-Lo – Catalogna 2019, Entre Vinyes (17.25€ su quaycoop.com)
Tutti conosciamo qualcuno a cui non piacciono gli orange wines. Se non conosci nessuno, allora quel qualcuno sei tu. Lo xarello di Entre Vinyes, produttori spagnoli della Catalogna, è il macerato perfetto per farti cambiare idea: nonostante la sapidità spiccata, questa etichetta mantiene un’acidità leggera e un’eleganza inimmaginata che lo rendono perfetto per un calice davanti a un film. un vino naturale non troppo spinto, spaziale se sorseggiato in accompagnamento a delle buone caldarroste.

Onìric Xarel-lo – Entre Vinyes

Alto Adige Lagrein Rosé DOC 2021 – Cantina Tramin (10.90€ su Tannico.it)
Questo Lagrein, vitigno tipico dell’Alto Adige, in versione rosato segue una fermentazione a temperatura controllata in acciaio. Proviene da vigneti di Ora, Egna e Termeno, posti su terreni calcarei e argillosi, con presenza di ghiaia. Un rosato piacevole, da bere anche in estate, caratterizzato dal suo colore rosso chiaretto profondo e dagli aromi intensi di frutta rossa matura e fiori. Un vino fresco e minerale che si accosta benissimo a molti piatti, in particolare antipasti mediamente strutturati, verdure saltate e pesce alla piastra. Ottimo anche con le carni bianche, grazie al suo buon equilibrio e alla piacevolissima beva che lo contraddistinguono.

Etichetta de Alto Adige Lagrein Rosé – Cantina Tramin

Barbera d’Asti DOCG Superiore 2016 – Dogliotti 1870 (19.89€ su 9wines.it)
Questa Barbera è un meraviglioso accompagnamento per ogni cibo, ma è anche un vino molto più serio, che si può degustare anche da solo. Come è tipico della Barbera, il colore è profondamente scuro, quasi opaco, con riflessi violacei. Al naso si sentono meravigliosi aromi di frutti rossi, di fragola, ciliegia e amarena, oltre ad aromi di vaniglia e tostati, abbinati a note erbacee. Al palato è denso, con aromi di ciliegia e amarena. La sua acidità fa venire l’acquolina in bocca immediatamente. Un vino super succoso, di facile beva, ma comunque complesso che ti saluta con un lungo finale. Da abbinare a carni stufate, primi elaborati e perché no, anche a un bel piatto di legumi.

Etichetta de Barbera d’Asti Superiore – Dogliotti 1870

Non ti piace il vino e preferiresti un bel boccale di birra? Leggi qui!

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