Gli 11 cantanti più volte tra i big di Sanremo dal 2000 a oggi

Gli 11 cantanti più volte tra i big di Sanremo dal 2000 a oggi

Gli 11 cantanti più volte tra i big di Sanremo dal 2000 a oggi

Non c’è niente da fare: piaccia o non piaccia, quando si avvicina la settimana di Sanremo non si può parlare d’altro.

Sanremo è sempre un trendtopic, come i contagi da coronavirus, i quasi boomer che prendono in giro i boomer non rendendosi conto di essere essi stessi i boomer o Mario Draghi. Argomenti che non passano mai di moda.

Dal 2000 si sono esibiti sul palco oltre 260 artisti (tra gruppi e cantanti solisti). Ma chi ha partecipato più volte? Se pensate a Michele Zarrillo (la risposta alla domanda “Chi partecipa a Sanremo quest’anno?”) ci siete andati vicini, ma non avete indovinato.

Dal 2000, infatti, l’artista con più partecipazioni al Festival di Sanremo è…
Scorrete per scoprirlo: che post a elenco sarebbe se vi svelassimo subito la soluzione?

11 – Matia Bazar, 5 partecipazioni.
All’undicesimo posto troviamo i Matia Bazar, che dal 2000 ha preso parte alla kermesse sanremese ben cinque volte, riuscendo ad aggiudicarsi la vittoria nel 2002 con Messaggio d’amore. “Gente che entra, gente che esce”, in pratica dei Matia Bazar originali è rimasto solamente il nome, ma noi gli vogliamo bene lo stesso.

I Matia Bazar a Sanremo nel 2002

10 – Gigi D’Alessio, 5 partecipazioni
Le apparizioni di Gigi D’Alessio al Festival, purtroppo per lui, non sono mai state indimenticabili. E nemmeno i risultati. Nonostante i tanti fan, il cantautore napoletano non è mai riuscito a superare il quarto posto(risultato ottenuto nel 2012 in coppia con Loredana Bertè) nelle sue cinque apparizioni a Sanremo.

Gigi D’Alessio a Sanremo nel 2021

9 – Patty Pravo, 5 partecipazioni
In totale sono dieci le apparizioni di Patty Pravo al Festival. Il miglior risultato è stato un quinto posto nel 1970 con Little Tony, per La spada nel cuore. Nonostante non abbia mai vinto, sono stati ben sei i premi assegnatile. L’ultimo nel 2016 per Cieli immensi, che ottenne il sesto posto nella generale. Dal 2000 sono ben cinque le volte in cui ha calcato il palco dell’Ariston, l’ultima con Briga.

Patty Pravo a Sanremo 2019

 

8 – Max Gazzè, 5 partecipazioni
Sottovalutato, mai apprezzato quanto avrebbe meritato, Max Gazzè è sempre stato una certezza per Sanremo. Sei apparizioni (cinque dal 2000 in poi), un quarto posto come miglior risultato, ma sei canzoni che tutti conoscono (quasi) a memoria.

Max Gazzè a Sanremo nel 2018

7 – Annalisa, 5 partecipazioni
Da Amici di Maria de Filippi ai premi e alle apparizioni sul palco dell’Ariston. Annalisa ha calcato in ben cinque occasioni il palco da concorrente. Sul podio nel 2018 con Il mondo prima di te, l’ultima apparizione nel 2021, quando si è classificata settima con il brano Dieci.

Annalisa a Sanremo nel 2021

6 – Arisa, 6 partecipazioni (+1 tra le nuove proposte)
Sei volte tra i big (con una vittoria nel 2014 con Controvento) una volta tra le nuove proposte (vinte con il tormentone Sincerità), prima con gli occhiali adesso come sex symbol. Arisa e Sanremo sono un connubio ormai vincente: da quando ha esordito nel 2009 ha partecipato in oltre il 50 per cento delle edizioni. Mica male, no?

Arisa a Sanremo nel 2021

5 – Francesco Renga, 6 partecipazioni (+1 tra le nuove proposte)
La vittoria nel 2005 con Angelo è un ricordo vivido, ma lontano. In totale sono sei le apparizioni di Renga dal 2000 in poi. Un timbro inconfondibile e una storia che si rinnova ogni anno. O quasi. L’ultima apparizione nel 2021 con Quanto trovo te.

Francesco Renga a Sanremo nel 2021

 

 

4 – Michele Zarrillo, 6 partecipazioni
Dodici volte in totale tra i big, una tra le nuove proposte (vincente tra l’altro). Michele Zarrillo è uno dei cantanti storici del festival. Caparbio, tenace, sempre pronto a mettersi in competizione con gli altri. L’ultima apparizione è datata 2020, il miglior piazzamento (quarto posto) nel lontano 2001, con L’acrobata. Perché abbiamo scelto di dargli la terza piazza e non l’abbiamo data a Renga e Arisa che sono a sette considerando le nuove proposte?
Perché qualcuno un podio a Michele Zarrillo doveva darlo. IoVoceNarrante non sarà la giuria dell’Ariston, ma ci sembrava giusto.

Michele Zarrillo a Sanremo nel 2020

3 – Noemi, 7 partecipazioni
Con l’edizione 2022 Noemi ha toccato quota sette partecipazioni a Sanremo. Nonostante una voce fantastica e delle ottime canzoni non è ancora riuscita a vincere, trovando nel terzo posto del 2012 il miglior risultato con Sono solo parole. Una canzone che oggi, a distanza di quasi dieci anni, passa ancora in radio.

Noemi a Sanremo nel 2021

2 – Marco Masini, 7 partecipazioni
Sette volte a Sanremo dal 2000 in poi, un successo commovente nel 2004 con L’uomo volante, dopo anni di bullismo mediatico e dicerie. Marco Masini ha sempre portato in quel dell’Ariston una musica leggera, ma profonda, con tante idee e l’evoluzione del suo percorso da cantautore. Amadeus gli ha negato il palco, noi gli riconsegniamo il secondo posto. E gli consigliamo di cantargli uno dei suoi più grandi successi, così, tanto per fargli capire che non porta rancore. L’ultima apparizione nel 2020 con Il confronto.

Marco Masini a Sanremo nel 2004

1 – Anna Tatangelo, 7 (+1 tra le nuove proposte)
And the winner is… Anna Tatangelo. Sette volte da big, una da nuova proposta (vinta) per colei che è artisticamente nata sul palco dell’Ariston, quando da appena quindicenne non poteva neppure partecipare al dopo festival perché si svolgeva dopo mezzanotte.
L’abbiamo vista crescere, evolvere, diventare una cantante affermata, mentre intorno infuriava la bufera del gossip. Sempre con una certezza: il palco dell’Ariston.
Il record di 15 apparizioni è ancora lontano, ma a soli 35 anni Anna Tatangelo è una seria candidata a prendersi il record. Intanto si gode il primato nel nuovo millennio…

Anna Tatangelo a Sanremo nel 2019

 

 

Guarderai anche tu il Festival di Sanremo quest’anno? Leggi qui!

Francesco Inverso

Quando scrissi la prima volta un box autore avevo 24 anni, nessuno sapeva che cosa volesse dire congiunto, Jon Snow era ancora un bastardo, Daenerys un bel personaggio, Antonio Cassano un fuoriclasse e Valentino Rossi un idolo. Svariati errori dopo mi trovo a 3* anni, con qualche ruga in più, qualche energia in meno, una passione per le birre artigianali in più e una libreria colma di libri letti e work in progress.
Sbagliando si impara…a sbagliare meglio.

Brutalismo con un tocco francese: nuova vita per la casa progettata dall’architetto Ernst Gisel

Brutalismo con un tocco francese: nuova vita per la casa progettata dall’architetto Ernst Gisel

Brutalismo con un tocco francese: nuova vita per la casa progettata dall’architetto Ernst Gisel

Il suo approccio artistico, senza tempo ha reso l’architetto svizzero Ernst Gisel un modello per generazioni di architetti creativi. Perfetta espressione del suo lavoro è la casa che ha progettato nel 1988 a Erlenbach, sulle rive del lago di Zurigo. Oggi negli interni completamente ristrutturati da Victoria Maria Interior Design la modernità senza tempo e la pulizia stilistica delle linee di rubinetteria Tara e Meta di Dornbracht ne sottolineano il nuovo stile.

L’architetto svizzero Ernst Gisel ha impiegato oltre sessant’anni per realizzare questa abitazione a Erlenbach che nel corso della progettazione ha visto modifiche alla struttura e agli interni per rispondere alle esigenze dei committenti e armonizzarsi al contesto e alla topografia del luogo. L’espressivo cemento a vista e l’uso di materiali naturali come pietra, legno e ardesia caratterizzano l’insieme composto da due case bifamiliari mentre la soluzione di Gisel al terreno in pendenza e allo spazio ristretto è stata quella di pensare a diversi livelli spaziali.

Nel progetto originale mentre il piano terra fungeva da ingresso alla casa, gli spazi abitativi, con vista sul lago di Zurigo, si trovavano ai piani superiori. Aree frontali accentuate, giardini e terrazze tagliano lo spazio, combinando l’interno con l’esterno e creando diverse aree outdoor per trascorrere il tempo e divertirsi. Insolito per il contesto è l’uso di una copertura a botte, ma questa terminazione verso l’alto non è che la logica conseguenza della composizione spaziale.

La casa come una scultura

La sfida per l’interior designer Victoria Maria è stata quella di combinare il brutalismo dell’architettura con il comfort e l’eleganza contemporanei, oltre che con un tocco francese. Il soffitto in cemento a vista altamente strutturato, peculiarità ed elemento di design del progetto originale rimane quindi sempre visibile come le nicchie, i caminetti e le lampade progettati per la casa. Anche le rientranze e i tagli nei muri e nelle partizioni che Gisel ha scelto per la suddivisione in zone, le varie trame e i cambiamenti di materiale, nonché le zone con luce incidente, continuano a svolgere un ruolo. Congiunzioni di pareti rotonde, finestre in posizioni insolite, sfondamenti e una galleria aperta creano prospettive in continua evoluzione. Perno della casa è la scala centrale che collega tutti i livelli. Lo stretto spazio aereo elimina i confini spaziali tra loro e orchestra le relazioni visive per gli occupanti.

La scala centrale, perno della casa che collega i diversi livelli.

Eleganza contemporanea

I pavimenti sono stati sostituiti come anche la cucina e i bagni completamente ripensati. Le esigenze sono cambiate nel corso degli anni, quindi la cucina è stata ripensata come ambiente open space. Ottone, pietra lavica verde smaltata e marmo Emperador definiscono la nuova atmosfera.

La cucina, progettata come un open space in accordo con gli stili di vita che cambiano.

Tara si inserisce con discrezione nel bagno padronale. Per le pareti, il pavimento e le superfici rialzate è stato scelto un travertino italiano chiaro, in contrasto con il soffitto originale in cemento a vista altamente strutturato. La precisione cubica degli infissi divide l’area in zone, con i grandi specchi che dilatano lo spazio. Questa riduzione all’essenziale crea un’atmosfera di chiarezza senza pretese, particolarmente evidenziata dalla nuova finitura Dark Platinum spazzolato di Tara. Rubinetteria Dornbracht, con la linea Meta, anche nel bagno degli ospiti. Scelta nella stessa finitura di Tara, Dark Platinum spazzolato, soddisfa la richiesta di un minimalismo moderno, oltre che di un’estetica duratura.

L’equilibrio di finiture di alta qualità, il mix di colori tenui e intensi, i raffinati tessuti e le carte da parati, mantengono lo stile dell’edificio e il suo carattere non convenzionale, ma allo stesso tempo danno un tocco nuovo e contemporaneo. I nuovi elementi rispettano in modo naturale il pregresso. In linea con lo spirito di Ernst Gisel.

ACQUE CHETE: la mostra di Corrado Bonomi all’Acquario Civico di Milano

ACQUE CHETE: la mostra di Corrado Bonomi all’Acquario Civico di Milano

ACQUE CHETE: la mostra di Corrado Bonomi all’Acquario Civico di Milano

Mercoledì 18 gennaio alle ore 18.30 è stata inaugurata Acque chete, la mostra personale di Corrado Bonomi, tra i più importanti protagonisti del Concettualismo Ironico, ideata specificatamente per gli spazi espositivi dell’Acquario Civico di Milano.

L’esposizione di Corrado Bonomi ­– promossa dal Comune di Milano Cultura e dall’Acquario e Civica Stazione Idrobiologica, a cura di Alberto Fiz – inaugurata ieri sarà in programma presso l’Acquario Civico di Milano da oggi, 19 gennaio, al 26 febbraio.

Venti le opere esposte, tra dipinti, sculture e installazioni che hanno come elemento unificante il mondo marino con i suoi abitanti e prevede una riflessione sui temi della diversità e della sostenibilità attraverso la lente dell’ironia, tratto caratteristico di tutta l’indagine artistica che Bonomi conduce sin dagli anni Ottanta con ampi riconoscimenti in ambito nazionale e internazionale. Come afferma Alberto Fiz, “nello spazio dell’Acquario viene proposta un’ampia selezione di opere tese a ripercorrere l’indagine espressiva dell’artista dal 1987 a oggi in un girotondo poetico e dissacrante che mette in crisi le nostre certezze strizzando l’occhio a mito, letteratura e arte. Le acque chete di Bonomi nascondono molte insidie e sorprese”.

Per entrare in mostra, lo spettatore deve attraversare il Ventre della balena percorrendo l’inedita installazione site specific realizzata dall’artista per l’occasione con le vertebre e le costole del cetaceo in polistirolo. Al fondo si trova una candela, sistemata su un piccolo tavolino, che ricorda le tante figure inghiottite dal cetaceocome Pinocchio o Giona. Ma anche il Barone di Münchhausen o il Soldatino di Piombo. 

Nel medesimo ambiente compare Nuovi Arrivi, un grande lavoro di quasi tre metri realizzato nel 2021 con un modello di capodoglio che trasporta sul dorso una moltitudine di migranti. Attraverso la trasfigurazione del mito del salvataggio, l’artista s’ispira alle antiche favole polinesiane e hawaiane in cui i vivi si spostano sul dorso di un cetaceo. Anche in questa circostanza i riferimenti sono molti e la citazione più esplicita è a La Navigazione di San Brandano e alla balena-isola su cui, secondo la leggenda, sarebbe sbarcato il monaco irlandese. 

Dopo aver affrontato la tematica del viaggio, Bonomi propone Mare nostrum, un’opera assai problematica dove all’interno di un siparietto in legno, simile a un teatrino per l’infanzia con una base in sabbia e circondato da ami in canna di bambù si possono pescare con una calamita i tanti oggetti finiti in fondo al Mediterraneo come le miniature dei resti di Ustica, l’anello del doge (il giorno dell’Ascensione veniva gettato in mare come segno di ringraziamento) o il Lockheed P-38 Lightning, l’aereo a bordo del quale viaggiava il celebre scrittore francese Antoine de Saint-Exupery, autore del Piccolo Principe.

Le reti da pesca diventano lo spazio metaforico dove finiscono impigliate le scatolette di Mare, il ciclo iniziato nel 1987. L’artista mette in scena la sua personale archiviazione dei pesci che vengono dipinti su contenitori circolari per la conserva sottolio. Ne emerge un’installazione ecosostenibile in continuo divenire dove su ogni scatoletta di tonno compare un differente animale acquatico dando vita a un viaggio tra le creature marine in un’efficace rappresentazione del mondo subacqueo.

Le componenti ecologiche e le distorsioni ambientali sono evidenziate anche da Squalo martello della serie Ars Topiaria dove vengono associate forme naturali a materiali sintetici (si utilizzano pezzi di plastica triturati e riciclati) dando vita a sarcastiche ibridazioni. In questa occasione, su un vaso di coccio riempito con argilla espansa, compare un pescecane che sembra nascere da un cespuglio artificiale.

Un altro lavoro di grande attualità proposto all’Acquario è Arca Virus, modello dell’Arca di Noè ispirato a tipologie medievali. Al suo interno si trovano dodici provette contenenti liquidi colorati che simulano i dodici agenti patogeni più pericolosi del pianeta. Sotto di esse è celato il circuito elettrico che permette ai led di accendersi. A poppa una bandiera gialla con il simbolo di pericolo sanitario. L’opera, realizzata nel 2009, è una premonizione piuttosto sorprendente della pandemia.

L’Acquario Civico di Milano

L’artista ha poi creato per l’Acquario un’altra installazione, La flotta dell’arte. Dall’immaginario Cantiere Navale Bonomi provengono portaerei e sottomarini realizzati impilando libri, cataloghi, enciclopedie (I maestri del colore) e riviste quali Flash Art o Il Giornale dell’Arte. È evidente la polemica verso il sistema dell’arte dove pile di carta diventano materiale di costruzione rendendo il contenuto del tutto irrilevante. 

L’universo immaginifico di Bonomi comprende anche riferimenti a Richard Wagner con Vascello fantasma, un’imbarcazione in fibra sintetica e cotone che veleggia poeticamente verso l’alto, e a Fëdor Dostoevskij con tre opere dedicate al suo celebre racconto Il coccodrillo: un caso straordinario dove, attraverso un gioco di specchi, l’osservatore prova la sensazione di essere inghiottito dal coccodrillo. La letteratura è fonte d’ispirazione anche per alcune preziose testimonianze dei primi anni Novanta che appartengono al ciclo Isola del Tesoro con l’artista che evoca Jules Verne, Joseph Conrad e Daniel Defoe. Bonomi dipinge velieri e imbarcazioni antichi su carte nautiche proponendo le sue classiche tautologie che permettono di creare un rapporto di sincretismo tra l’oggetto pittorico e il materiale.

Sono, poi, molte le opere che sfidano le regole della storia dell’arte con omaggi irriverenti e paradossali, come avviene nel caso di Marcel Duchamp e la barchetta dell’arte che naviga nell’orinatoio (piuttosto esplicativo il titolo Navigar nel periglioso mar delle avanguardie) all’Arcimboldo marino dove compare un’immagine multiforme realizzata con un assemblaggio di creature marine in plastica, passando attraverso Il sogno di Claude con un Monet in miniatura che dipinge sopra una foglia di Ninfea galleggiante riflessa su uno specchio d’acqua. 

La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Allemandi con testi di Alberto Fiz, Elisabetta Polezzo, Marianna Cappia e un’intervista all’artista di Barbara Cottavoz.

Biografia 

Corrado Bonomi (Novara,1956) è tra i più importanti protagonisti del Concettualismo Ironico. Dopo una formazione da autodidatta, esordisce nel 1983 e sin dalla metà degli anni Ottanta realizza la serie delle Tautologie a cui rimarrà sempre coerente. L’artista crea un rapporto di sincretismo tra l’oggetto pittorico e il materiale. Nessuno dei due prevarica sull’altro in una dialettica paritaria dove ciò che è rappresentato non ha un valore autonomo, né prevede una scelta privilegiata. Le scatolette del ciclo Mare rappresentano un’indagine di particolare significato. La prima scatoletta, realizzata nel 1987, segna l’inizio di un lavoro che è arrivato a contare oltre quattro mila esemplari.

Tra fiaba e leggenda, nasce nel 1990 il ciclo Fatina-fatata-fatale che mescola il concetto della fairy, quello della pin-up anni Quaranta con alcuni tratti che l’associano a Trilli, l’irascibile compagna di Peter Pan. Nel 1992 l’artista inizia un altro ciclo, Culture che, come per Mare e per le Fatine, non prevede una data di scadenza. In questo caso, la flora prende vita dal riciclo di elementi e materiali da giardinaggio che diventano essi stessi contenuto anticipando alcune problematiche ecologiche e ambientaliste. Combinando la ricerca sui materiali al tema del gioco, Bonomi giunge a grandi installazioni composte da macchinine dipinte su cartine stradali, elicotteri, soldati a dimensione umana o veicoli militari su teli mimetici con una specifica attenzione al tema del conflitto. Non manca poi una serie di riflessioni sulla letteratura, il cinema, la storia dell’arte, le fake news e il rapporto tra vero e verosimile.

Nel 1995, inizia la collaborazione con il Dipartimento Educazione del Museo di Arte contemporanea del Castello di Rivoli. Nel 2000 è docente presso la Scuola di Design Futurarium di Milano. Nel 2021 ha realizzato un mappamondo dal titolo Biomotoperpetuo nell’ambito del progetto Weplanet: 100 globi per un futuro sostenibile, esposta all’ospedale Niguarda di Milano. Nel 2022, la città di Cannobio ha scelto alcune sue installazioni, assieme a quelle di Gianni Cella, per la mostra diffusa Riflessioni plastiche. Il gioco delle cose che diventano arte.

Logo dell’Acquario

L’Acquario

L’ Acquario civico di Milano fu edificato in occasione dell’Esposizione mondiale di Milano del 1906 da Sebastiano Giuseppe Locati e fu ricostruito dopo le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale. La statua di Nettuno sulla facciata è opera di Oreste Labò.
Attualmente, l’Acquario civico, che è parte dell’Area Mostre e Musei scientifici del Comune di Milano, promuove attività di ricerca e di divulgazione nel campo delle scienze acquatiche. È un luogo dinamico, che propone eventi culturali incentrati sulla contaminazione tra arte e scienza, contribuendo ad arricchire l’offerta museale milanese. 

Oltre ai percorsi strettamente inerenti agli scopi di divulgazione scientifica, numerose sono le mostre d’arte che vengono organizzate nelle proprie sale espositive. Dopo la ristrutturazione su progetto degli architetti Piero De Amicis e Luigi Maria Guffanti, grande attenzione è stata data all’attività espositiva dedicata all’arte contemporanea, arricchendo la mission dell’Istituto.

Vi.Na.Ri.: l’elenco dei partecipanti alla prima edizione della manifestazione

Vi.Na.Ri.: l’elenco dei partecipanti alla prima edizione della manifestazione

Vi.Na.Ri.: l’elenco dei partecipanti alla prima edizione della manifestazione

Oltre 150 produttori per la prima edizione di Vi.Na.Ri. che si terrà il 12 e il 13 febbraio a Milano. Lo street food italiano di Trapizzino accompagnerà la due giorni ideata da VinNatur e Vi.Te.

Grande attesa e grandi aspettative per Vi.Na.Ri., la manifestazione dedicata al mondo del vino naturale ideata e organizzata dalle associazioni Vi.Te. e VinNatur (di cui avevamo parlato qui), che aggiorna la lista dei partecipanti alla prima edizione della due giorni in programma domenica 12 e lunedì 13 febbraio 2023 a Milano negli spazi messi a disposizione da Studio Novanta.

Con Vi.Na.Ri e l’impegno delle due associazioni ideatrici, il movimento del “naturale” sta vivendo una fase di profondo rinnovamento in cui le diversità diventano un punto di forza e si trasformano in conoscenze condivise e in nuovi spunti di collaborazione. Il focus di questo processo di cambiamento sarà rivolto soprattutto alla figura del vignaiolo naturale, e non solo al vino, perché è fondamentale concentrarsi anche sulla persona e sul suo lavoro, sulle sue idee e sulle sue scelte: elementi che possono rendere un prodotto unico e irripetibile. La decisione, da parte delle due associazioni, di percorrere una strada comune, mette in relazione oltre 300 aziende vitivinicole, che con un’unica voce potranno affermare con chiarezza e determinazione la cultura del vino naturale.

Locandina di Vi.Na.Ri.

Sono già più di 150 i vignaioli aderenti all’iniziativa che arrivano da quasi tutte le regioni d’Italia: Abruzzo, Alto Adige, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia e ancora Sicilia, Sardegna, Toscana, Trentino, Umbria e Veneto. Rappresenteranno il mercato estero alcuni produttori provenienti dall’Argentina, dalla Francia e dalla Slovenia.

Ad accompagnare l’evento ci sarà anche la proposta gastronomica dello street food italiano di Trapizzino, nato nel 2008 dall’idea di Stefano Callegari, mastro pizzaiolo che oggi vanta ben quattordici punti vendita tra Torino, Milano, Trieste, New York e Roma, luogo in cui trova la sua prima casa. “Trapizzini” ­– angoli di pizza a base di lievito madre, croccante fuori e morbido dentro, che dopo una lunga lievitazione si serve farcito di ricette tipiche della tradizione romana, italiana e non solo – ma anche gli sfiziosissimi supplì, il classico cibo di strada romano che nasconde in una pallotta di risotto panata un cuore di formaggio filante. Una proposta di gusto attenta alle esigenze alimentari di tutti: entrambe le specialità saranno infatti proposte in diversi gusti, con opzioni dedicate anche al pubblico vegetariano.


Qui per la lista dei produttori partecipanti.
Qui per la registrazione all’evento (registrazione su Eventbrite necessaria per l’accesso).

Perché la chiusura del Noma di Copenhagen dovrebbe farci riflettere?

Perché la chiusura del Noma di Copenhagen dovrebbe farci riflettere?

Perché la chiusura del Noma di Copenhagen dovrebbe farci riflettere?

Nel 2024 il Noma, il ristorante dello chef Rene Redzepi a Copenhagen più volte eletto “miglior ristorante al mondo”, condurrà il suo ultimo servizio. Perché questo dovrebbe farci riflettere?

Il Noma di Copenhagen è da sempre considerato non un semplice ristorante, ma un luogo d’avanguardia del finedining internazionale dove fare un’esperienza senza eguali. Almeno una volta nella vita. Lo chef Rene Redzepi ieri ha annunciato che Noma chiuderà definitivamente i battenti nel 2024 a causa degli insostenibili ritmi di lavoro.

Redzepi, che aveva aperto il ristorante nel 2004, ha sempre spiegato che la sua cucina richiedeva un «estenuante lavoro di molte ore» e ha detto di ritenere che non sia più sostenibile pagare in modo equo circa 100 dipendenti, mantenere alti gli standard e proporre prezzi a un livello accettabile per i clienti: «L’alta cucina deve ripensare la sua intera industria, così è semplicemente troppo duro. Finanziariamente ed emotivamente non funziona: come imprenditore e come essere umano sento il bisogno di cambiare».

Lo chef del Noma è noto nell’ambiente dei grandi chef per un carattere difficile, modi bruschi e comportamenti ai limiti del bullismo nei confronti dei suoi sottoposti. Nel corso degli anni ha detto di aver lavorato per migliorare la sua leadership, ma oggi gestire un ristorante di questo livello, oltre che anti-economico, è diventato per lui troppo stressante.

Alla base di questa decisione ci sarebbe la constatazione che i ritmi di un ristorante così conosciuto e qualificato – ben tre stelle Michelin ­– sono ormai insostenibili. Troppo personale da mantenere, stress dovuto al mantenimento delle aspettative altissime dei commensali e delle giurie, ma anche costi di gestione molto alti e gonfiati dalla recente inflazione. Una scelta che, però, dovrebbe farci molto riflettere: i ristoranti di questo livello sono ancora sostenibili?

Non si può definire una “presa di coscienza”, poiché chi lavora in cucina a questi livelli conosce l’insostenibilità della stessa da sempre al pari di chi ne è appassionato, ma è sicuramente una fortissima presa di posizione. Non stupisce quindi che a fare questo gesto sia proprio il Noma, un faro di avanguardia nel mondo del finedining: se nel 2023 l’avanguardia non è l’innovazione, la sperimentazione, il lusso, cos’altro può esserlo? E se la risposta non sovviene così facilmente, allora probabilmente non resta altro da fare se non fermarsi e capire l’impatto che l’industria dell’alta ristorazione ha sul mondo.

Gli sprechi in alta cucina, il dibattito sul consumo di carne, i ritmi di lavoro massacranti, il problema dello sfruttamento (in alcuni casi) dei dipendenti e tutti quei fenomeni al limite del bullismo che passano in sordina, ma che spesso emergono nei racconti di chi effettivamente lavora in questo settore, continuano a mettere in evidenza come chi ha fatto della parola “sostenibilità” un punto cardine del proprio business non possa fare altro che guardare al proprio futuro e decidere di fermarsi. Se non per etica, sicuramente per restare con i piedi ben piantati nella contemporaneità e nel dibattito.

L’ingresso del Noma

Tutti i fenomeni negativi dietro a una storia di grande successo, come quella del Noma, sono sempre rimasti in sordina. È solo da alcuni anni che non si può più prescindere – come il tema ambientale che sta rendendo sempre più obsoleta una cera cultura del cibo. Altri fenomeni si stanno rendendo a mano a mano più palesi (come lo sfruttamento dei dipendenti) e la decisione arriva in un momento in cui non si può più fare finta di niente. Un ottimo tempismo, in effetti.

Un saluto che non vuole però essere un addio, ma solo un arrivederci: Noma continuerà a programmare dei pop-up in giro per il mondo che saranno, come dice il nome stesso, solo temporanei. Inoltre, dalle ceneri del Noma rinascerà il Noma 3.0, come ha annunciato lo stesso Redzepi in un sofferto Q&A nelle sue storie di Instagram. Di cosa si tratta lo scopriremo solo dopo il 2024.


Il bornout di chi lavora in cucina è una narrazione piuttosto presente nella rappresentazione cinematografica e televisiva più recente. Un consiglio: la serie The Bear e il film recentemente uscito nelle sale The Menu, entrambi disponibili su Disney+.

Gaia Rossetti

Sono una gastrocuriosa e sarò un'antropologa.
Mia nonna dice che sono anche bella e intelligente, il problema è che ho un ego gigantesco. Parlo di cibo il 60% del tempo, il restante 40% lo passo a coccolare cagnetti e a far lievitare cose.
Su questi schermi mi occupo di cultura del cibo e letteratura ed esprimo solo giudizi non richiesti.