Parte Più Libri Più Liberi, la fiera romana dell’editoria

Parte Più Libri Più Liberi, la fiera romana dell’editoria

Parte Più libri più liberi, la fiera romana dell’editoria

Cinque giorni, oltre 600 appuntamenti e 519 espositori da tutto il Paese: torna dal 7 all’11 dicembre Più Libri Più Liberi, la Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria…

Cinque giorni, oltre 600 appuntamenti e 519 espositori da tutto il Paese: torna dal 7 all’11 dicembre Più Libri Più Liberi, la Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria, promossa e organizzata dall’Associazione Italiana Editori-Aie al Roma Convention Center La Nuvola dell’Eur a Roma che “concorre al successo di una manifestazione tra le più amate e partecipate della città”.

Per il secondo anno consecutivo saranno aperti gli spazi dell’Auditorium della Nuvola dove tra gli incontri più attesi c’è quello dell’8 dicembre con la scrittrice originaria di Teheran Azar Nafisi, che torna in Italia dopo molto tempo, in esclusiva per la fiera e sarà in dialogo con Michela Murgia.

E ancora Alessandro Baricco con una lectio sul tema della fiera “Perdersi e ritrovarsi, i libri e la libertà”. Lo storico Alessandro Barbero e poi un viaggio “nei registri simbolici nei quali siamo cresciuti” con Michela Murgia e Chiara Valerio, mentre Roberto Saviano ha dato forfait dopo aver annullato oggi anche il doppio appuntamento al Teatro Valli di Reggio Emilia per il 27 e 28 novembre spiegando di sentirsi bersaglio di “odio tangibile” e senza “alcuno scudo”. Una lectio di Alberto Angela su Nerone in un incontro in cui ricorderà il padre Piero Angela. Verrà ricordato Mattia Torre con la serie culto Boris alla quarta stagione. Super atteso l’evento di chiusura con Zerocalcare e Ascanio Celestini. E per la prima volta TikTok partecipa alla fiera. “Abbiamo doppiato i 20 anni. Quest’anno la fiera ha una particolarità nuova: uno sguardo più attento alla dimensione internazionale. Avremo con noi i direttori dei principali appuntamenti internazionali del libro” ha detto il presidente dell’Aie, Ricardo Franco Levi. La ventesima edizione della Fiera prende ancora maggior forza dai dati postivi per la piccola e media editoria che continua a crescere: la quota di mercato delle case editrici fino a 25 milioni di venduto a prezzo di copertina raggiunge il 45,2%. È di medi, piccoli e micro editori il 50% dei titoli in commercio, raggiungendo nel 2021 i 671.000 titoli “commercialmente vivi” (+3% rispetto al 2020). 

Gli editori in fiera saranno 519, ma le richieste erano molte di più e non siamo riusciti ad accoglierli tutti” ha spiegato Fabio Del Giudice, direttore di Più Libri Più Liberi. “E’ stato un anno in cui l’editoria è cresciuta, ma anche difficile perché nessuno poteva pensare di trovarsi catapultati in una guerra. Il senso di smarrimento si rispecchia nel tema di quest’anno e nell’immagine della manifestazione firmata da Lorenzo Mattotti con una nave in tempesta” ha detto la presidente della Fiera Annamaria Malato.

Sostenuta dal Centro per il libro e la lettura del ministero della Cultura, dalla Regione Lazio, da Roma Capitale, dalla Camera di Commercio di Roma e da ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, con il contributo di Siae, quest’anno Più Libri Più Liberi vede alla guida del programma la storica curatrice Silvia Barbagallo e Chiara Valerio a cui nel 2023 passerà il testimone. “Il lavoro che per 14 anni ho fatto alla Fiera è stato molto importante e lo porterò con me in tutte le altre esperienze lavorative” ha detto emozionata Barbagallo. Tra gli ospiti il filosofo Paul B.Preciado, il giovane scrittore senegalese Mohamed Mbougar Sarr Premio Goncourt 2021, l’americana Ellen Lupton con ‘Extra Bold’, per la prima volta in Italia, la peruviana Gabriela Wiener con ‘Sanguemisto’ (La Nuova Frontiera) e Sheena Patel con il potente esordio ‘Ti seguo’ (Atlantide).

Per la prima volta ci sarà una serie di incontri in cui scrittori e scrittrici omaggiano altri autori e autrici: Sandro Veronesi approfondirà Flannery O’Connor, Nicola Lagioia il romeno Mircea Cartarescu e Lisa Ginzburg la brasiliana Clarice Lispector, mentre Giordano Meacci farà un incontro-omaggio dedicato ad Andrea Camilleri. Grande spazio a Scienza e Ambiente, Graphic Novel e attualità. Ampia l’area Business con oltre 500 metri quadri. Tra i premi ospitati, lo Strega Ragazze e Ragazzi, Mastercard Letteratura e il Malerba.

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Rinvenuta in Egitto la tomba più antica rivolta al solstizio

Rinvenuta in Egitto la tomba più antica rivolta al solstizio

Rinvenuta in Egitto la tomba più antica rivolta al solstizio

È stata rinvenuta nella necropoli di Qubbet el-Hawa, in Assuan. Era del governatore della città di Elephantine. Per stabilire l’orientamento perfetto, l’architetto egizio calcolò la posizione del sole

Nella necropoli di Qubbet el-Hawa, in Assuan, in Egitto, è stata rinvenuta una tomba egizia orientata verso l’alba del solstizio d’inverno, in modo che i raggi del sole raggiungano il luogo di riposo del governatore della città di Elephantine.

Questi i risultati di uno studio, pubblicato sulla rivista Mediterranean Archaeology and Archaeometry, condotto dagli scienziati dell’Università di Malaga (UMA) e dell’Università di Jaen (UJA).

Il team, guidato da Antonio Mozas e Lola Joyanes, ha esaminato il sepolcro egizio, appartenente a un governatore vissuto verso la fine della XII Dinastia, intorno al 1830 a.C.

Per raggiungere la perfezione nell’orientamento, spiegano gli autori, l’architetto egizio si era servito di un palo lungo circa un metro, un quadrato e delle vesti, utilizzati per calcolare l’orientamento della cappella funeraria e la posizione della statua del governatore.

Allo stesso tempo, anche il volume della tomba era stato valutato con precisione per evitare che coincidesse con altre camere sepolcrali. Portato alla luce tra il 2008 e il 2018, il sito era stato già valutato da diversi specialisti.

In questo lavoro, gli esperti hanno considerato il periodo di costruzione del luogo funebre e utilizzato Dialux Evo, un software specifico per capire l’orientamento della necropoli in relazione al sole. “Questo studio – commenta Mozas – dimostra che il popolo egizio era in grado di calcolare la posizione del sole e l’orientamento dei raggi per progettare i monumenti. La tomba di Qubbet el-Hawa costituisce l’esempio più antico attualmente conosciuto, ma sicuramente non è l’unico”. 

“Pensavano fossimo un bluff” e invece il rap italiano ha fatto strada…il nuovo libro di Piotta

“Pensavano fossimo un bluff” e invece il rap italiano ha fatto strada…il nuovo libro di Piotta

“Pensavano fossimo un bluff” e invece il rap italiano ha fatto strada…il nuovo libro di Piotta

Il nuovo libro del rapper romano Piotta ha una caratteristica fondamentale: è vero. Una genuinità che racconta al meglio la nascita di un movimento che in Italia era sempre racchiuso in una frase “sempre a copiare gli americani”…

Sono passati anni dai tempi de “La grande onda“. Anni da quando la Roma del rap sfornava talenti rudi, diretti e genuini. Prima della trap, prima di quel ritorno a rime “violente”, ritmi meno hip e molto electro pop c’erano loro (e ci sono ancora eh, per quanto il tempo abbia fatto salire alla ribalta altri “autori”): i Cor Veleno, Noyz Narcos, Flaminio Maphia e lui, Piotta, gli idoli di una adolescenza di tutti quelli che cantavano, si atteggiavano e non sapevano che molte delle parole che usavano erano le loro. Supercafone, Ragazze Acidelle, Tigre,Tigre, La grande onda: miti di un’infanzia che rivorremmo e che non tornerà.

Un’infanzia di miti, vissuta tra radio, televisioni e primordiali collegamenti a internet, con una Youtube ricca di video sgranati, pochi pixel, ma tanta fantasia. E a raccontare quest’età d’oro del rap romano (e italiano) ci pensa proprio Piotta, al secolo Tommaso Zanello, che adesso, alla soglia dei 50 anni (no, non ci rassegneremo mai a questo, ndr.) pubblica il suo terzo libro. S’intitola “Il primo re(p), alle origini del rap italico” e rappresenta il viaggio del rapper romano in un mix tra la sua vita e quella del rap romano (e non solo).

Le orgini di un mito in fondo, le basi che hanno permesso oggi, dopo 20/30 anni, di avere riconosciuto quello che non è più solo un genere musicale da “strada”, ma anche una forma di poesia generazionale (con tutti i dovuti cambiamenti accorsi durante gli anni).

La storia personale che si intreccia con quella del rap. “Mi hanno chiesto un libro che raccontasse la storia del rap in Italia attraverso la mia vita. È proprio il mio ricordo personale, emotivo, della mia famiglia, della mia città in quegli anni, del mio liceo e anche di questa prima scena rap italiana che nasceva per gioco e per passione, con il sogno che sarebbe diventato, chissà, un lavoro“, ha raccontato Piotta ad Agi (per leggere l’intervista completa potete cliccare qui).

Da Roma all’espansione. “Ho ricordi bellissimi di quella Roma – continua – era unica, perché rispetto a quella di oggi, non c’era la rete per avvicinare queste realtà, ma ognuna di queste realtà aveva un proprio linguaggio, ascoltavi i dischi dei tuoi colleghi di altre città e sentivi utilizzare parole che non conoscevi, alle volte serviva proprio prendere il telefono e chiamare: “Ma questa cosa qui esattamente che vuol dire? Cosa intendete?”; c’era proprio uno scambio linguistico. Però ce n’è voluta, non ci credevano che si potesse fare musica di qualità usando termini come “Spaccà, Nnamo, zì…”. E invece…

Un discorso che, visto sotto la giusta luce, potrebbe anche essere fatto per gli autori di oggi. Che cosa pensa Piotta a riguardo?
Non vorrei che la distanza anagrafica rendesse il giudizio un po’ troppo austero, ma questa sensazione ce l’ho anche io. Però ci muoviamo in un contesto del tutto differente a quello anche solo di vent’anni fa, perchè banalmente la mancanza della rete faceva si che quello dei ’90 fosse un mondo molto più simile a quello dei ’70 rispetto al nostro, perché c’è stato un gap tecnico e soprattutto spazio temporale (nel senso che è tutto immanente, quello che esce qui è già a New York sia nei suoni che nelle parole e nelle immagini). Io alle volte ascolto canzoni e mi verrebbe da prendere un vocabolario, ma in quale lingua? Sento utilizzare terminologie americane che noi non abbiamo mai usato anzi, ti dirò di più, quei pochi artisti italiani che usavano uno slang americano, perché pensavano che così potesse essere una traduzione più consona dell’hip hop, noi li dileggiavamo, perché ci sembrava invece un feticcio brutto, cioè prendere una cosa che non è proprio tua. Ci sembrava poco rispettoso nei confronti del contesto dal quale veniva strappata“, ha sottolineato a Gabriele Fazio di Agi.

Scelte opposte rispetto a quelle del rapper romano. “Si, mi sono impegnato nel prendere costantemente parole utilizzate a Roma per metterle in un tessuto linguistico che andava da una citazione altissima ad una molto più bassa e popolare, dal cinema d’autore ai B-Movies, fino al fumetto e alla letteratura“, dichiara.

Scelte simili a quelle fatte da altri artisti negli anni successivi, da Willie Peyote a Caparezza…
Willie Peyote è un artista carismatico e che ha spessore, che non pensa a chi potrebbe copiare, anche di semi sconosciuto, per portarlo in Italia; no, io sono io, penso a chi sono io, chi voglio essere io, che voglio fare io. La sfida è con te stesso. Per cui a me artisti come Guglielmo, come Caparezza, mi piace come ragionano, fanno cose diverse da me ma senti che sono un unicum“.

Insomma, a noi non resta che consigliarvi di leggere il libro di Piotta. Con una lacrimuccia per un’era che ci siamo goduti e che abbiamo apprezzato forse troppo tardi…

Ti piace quello che facciamo? Leggi qui.

Francesco Inverso

Quando scrissi la prima volta un box autore avevo 24 anni, nessuno sapeva che cosa volesse dire congiunto, Jon Snow era ancora un bastardo, Daenerys un bel personaggio, Antonio Cassano un fuoriclasse e Valentino Rossi un idolo. Svariati errori dopo mi trovo a 3* anni, con qualche ruga in più, qualche energia in meno, una passione per le birre artigianali in più e una libreria colma di libri letti e work in progress.
Sbagliando si impara…a sbagliare meglio.

Tokyo: un’installazione per il mondo iperconnesso

Tokyo: un’installazione per il mondo iperconnesso

Tokyo: un’installazione per il mondo iperconnesso

Nella Capitale giapponese apre “Wirescapes: connessi con il tessuto urbano”, si è tenuta una mostra d’arte di ByLUDO e Toto Tvalavadze che utilizza lo spazio come una tela per visualizzare la complessità della vita urbana ormai legata a quella digitale…

“Wirescapes: connessi con il tessuto urbano” è una mostra d’arte di ByLUDO e Toto Tvalavadze con mixed-media che utilizza lo spazio come una tela per visualizzare la complessità della vita urbana iperconnessa. La mostra si è tenuta a Tokyo dall’11 al 20 novembre. L’installazione combina fotografie di strada e materiali tecnologici riciclati, mostrando modi creativi di unire e mescolare diverse discipline.

Tutto parte dalla presa di corrente della galleria UNTITLED Space, fonte di energia e punto di partenza del viaggio attraverso cavi elettrici che collegano fotografie con scorci urbani giapponesi.

Mentre le persone spesso ricercano la solitudine e la calma in una grande metropoli, Wirescapes dimostra come una città collegata ci aiuti a scoprire nuove prospettive, a lasciare un segno positivo o persino a creare una nuova connessione che ispirerà gli altri.

Una iperconnessione che, numeri alla mano, sta cambiando il nostro mondo.

Nel nostro mondo iperconnesso, anche un piccolo cambiamento provoca un effetto a catena sul tessuto urbano, amplificando il potere delle decisioni individuali. Se le nostre azioni promuovono uno stile di vita sostenibile ed etico, avranno un impatto su una comunità più ampia e, di conseguenza, su una parte più significativa della città.

Wirescapes è il risultato di una connessione inaspettata ed unica che, per ironia della sorte, è solo possibile in un grande contesto urbano. Due personalità eccentriche – l’architetto e desiner italiano, Ludovica Cirillo, dedita alla sostenibilità, e l’ingegnere del software georgiano, Toto Tvalavadze, con una passione per la fotografia – si sono incrociate a un picnic per ammirare la fioritura dei ciliegi nel cuore di una città di 37 milioni di persone. Crediamo nelle connessioni casuali – dicono – perché “non puoi collegare i punti guardando avanti; puoi collegarli solo guardando indietro”. Ogni punto è l’inizio di una nuova connessione.

 

“Qualcosa ci inventiamo”, il libro di Beppe Pellegrino per il comitato ricerca contro le leucemie

“Qualcosa ci inventiamo”, il libro di Beppe Pellegrino per il comitato ricerca contro le leucemie

“Qualcosa ci inventiamo”, il libro di Beppe Pellegrino per il comitato ricerca contro le leucemie

“Qualcosa ci inventiamo. Un viaggio lungo due vite”, il libro scritto a quattro mani da Beppe Pellegrino e Marta Boldi per la ricerca contro le leucemie…

“Qualcosa ci inventiamo. Un viaggio lungo due vite”, il libro scritto a quattro mani da Beppe Pellegrino e Marta Boldi, servirà a dare un grande contributo al Comitato Ricerca Contro le Leucemie che da oltre 10 anni si impegna a dare il proprio sostegno aiutando le persone colpite dalla leucemia.

“Non sono uno scrittore e non ne ho le pretese, ma la vita mi ha fatto riflettere su come poter aiutare la ricerca per le malattie oncologiche – dichiara l’autore Beppe Pellegrino nella sinossi dell’opera – così ho pensato di scrivere questo libro come semplice narratore di alcune esperienze che ho vissuto nella mia vita “da viaggiatore” e di qualche piccolo consiglio o insegnamento che ho imparato durante tutti i miei anni passati a vagabondare per il mondo. E tutto questo con lo scopo di raccogliere fondi per la ricerca. Un percorso di vita fatto di alti e bassi, ma sempre vissuto appieno con uno spirito curioso verso la scoperta del mondo e di tutte le sue meraviglie, unito ad un mix di fatalismo e superficialità con cui affrontare qualsiasi ‘fuori programma’ secondo una delle mie massime, la mia celebre frase: “Qualcosa ci inventiamo!””

“Qualcosa ci inventiamo “è una delle massime con cui l’autore Beppe Pellegrino ha sempre affrontato le sfide che i diversi ambiti della quotidianità gli hanno posto davanti al suo cammino, dal lavoro fino alla malattia. Un mantra a cui aggrapparsi ma anche uno stile di vita da cui tutti e non solo chi è affetto dalla malattia possono prendere ispirazione. L’opera raccoglie ricordi ed esperienze vissute da Pellegrino nei luoghi più belli del mondo con l’obiettivo di aiutare chi soffre a trovare la forza dentro di sé e sostenere nel contempo la ricerca per le leucemie.

GLI AUTORI

BEPPE PELLEGRINO  – Autore

Giuseppe Pellegrino nasce a Milano agli inizi degli anni ’60, quando viaggiare era per pochi. Dopo l’adolescenza si appassiona alla subacquea e la passione per il mare lo porterà lontano, ad esplorare mari che in quegli anni erano ancora incontaminati. Riesce a fare della sua passione una professione, si trasferisce a 18 anni alle Maldive dove inizia a lavorare come istruttore subacqueo, ma la curiosità, l’intraprendenza e il suo spirito libero lo portano alla scoperta dei 5 continenti prima come istruttore poi ricoprendo ruoli di crescente responsabilità all’interno di prestigiosi Resort in giro per il mondo. Dopo 20 anni alla scoperta del mare e del mondo, torna a Milano come Direttore generale di un importante tour operator, diventando un punto di riferimento nel settore turistico italiano. Orgoglioso padre di 2 figli, Filippo e Virginia, che condividono con lui la passione per i viaggi.

MARTA BOLDI – Autrice                                                                           

Cresciuta fra set cinematografici e teatri, coltiva fin da giovanissima la passione per la scrittura, il mondo del musical e il cinema. Laureata in Linguaggi dei Media ,si specializza con il Master in International Screenwriting and Production all’Università Cattolica di Milano e studia presso la School of Visual Arts di New York. Nel 2016 pubblica il suo primo libro Le Mie Tre Vite (Edizioni Piemme).

 

Per effettuare l’ordine del libro:
Scrivere a info@ricercacontroleucemie.org