Robert De Niro: domenica in chiesa, lunedì all’inferno

Robert De Niro: domenica in chiesa, lunedì all’inferno

Robert De Niro: domenica in chiesa, lunedì all’inferno

Compie 79 anni uno dei simboli più genuini dell’italianamerican, che rivela il suo talento rivoluzionario nel primo capolavoro di Martin Scorsese.

La carriera di Robert De Niro decolla all’alba degli anni Settanta. Mean Streets esce nel 1973; In Italia il titolo non viene tradotto, ma l’aggiunta del sottotitolo con i due giorni della settimana introduce la dialettica degli opposti; De Niro interpreta Johnny Boy Civello, giovane disadattato che fa esplodere per gioco le cassette della posta, rincorso dai creditori e alla ricerca di nuovi gonzi cui prendere denaro. È sospeso tra la sua inaffidabilità e la devozione per l’amico Charlie (Harvey Keitel), che cerca di difenderlo da tutti, soprattutto da sé stesso.

Johnny boy tornerà più volte, sarà il Travis Bickle di Taxi Driver, Jake La Motta di Toro Scatenato o Noodles di C’era una volta in America; eroi universali tormentati ed alienati dal contesto sociale che si evolve spietatamente, senza riguardo per gli inadatti, siano essi persone fragili o reduci di una guerra persa.

C’è qualcosa di più sullo sfondo delle sue performance: nei Seventies il contesto in cui si muove l’attore è una New York economicamente sconfitta: austerity con tagli all’energia e saccheggi metropolitani; il sindaco nel 1975 chiede a Washington il salvataggio, che Gerald Ford non concederà. Il Daily News titolerà “Crepa New York!”, riferendosi alla risposta di Mr. President.

John Naughton su GQ arriva a identificare De Niro con la sua città. L’uomo con le sue nevrosi e i suoi flussi di incoscienza è il newyorchese che ha perso i riferimenti, mentre NYC è ancora la città che non dorme mai, ma per motivi tutt’altro che nobili. Il sogno americano langue e denuncia i suoi limiti e le sue ipocrisie; all’inizio degli anni Novanta è sempre De Niro che ne mostra l’altra faccia, con la clamorosa interpretazione dell’apparentemente tranquillo Max Cady che si trasforma in sadico aguzzino del suo avvocato in Cape Fear. E John Hinckley, dopo aver attentato alla vita di Ronald Reagan nel marzo del 1981, dichiarerà di essere rimasto stregato dal film, da Jody Foster (che recita la parte di una baby prostituta) e di essersi ispirato proprio al personaggio di De Niro.

LA RECITAZIONE.

“Una volta Robby mi dice: “sai come un attore legge una sceneggiatura?”. “Come?” – rispondo io. “Adesso te lo mostro.” E inizia a camminare e a scorrere lo script dicendo: “stronzate! Stronzate! Stronzate!””.

“Harvey Keitel, Kennedy Center Honors per Robert De Niro, 2009.

Secondo i dettami della Stella Adler Academy, De Niro cerca la totale immersione nel personaggio, con un approccio che vuole favorire l’immaginazione prima ancora che le emozioni; l’attore quindi toglie, ma è incredibilmente attento ai dettagli, per essere prima ancora che interpretare. Con una stupefacente e giustamente famosa trasformazione fisica acquista 30 kg per impersonare la parte del grande campione di pugilato La Motta. lo ritrae dalla gloria del ring fino al suo imbolsimento; poi recita in siciliano nel Padrino parte II (e riceve l’Oscar), si rovina i denti e se li fa risistemare a spese sue per Cape Fear.

De Niro spinge come nessuno prima i limiti del concetto di versatilità dell’attore: prende la licenza e guida il taxi di notte per mesi nella sua città (You talkin’ to me?), impara a suonare il sassofono nel flop New York New York.  Si infuria con Mickey Rourke durante le riprese di Angel Heart, per i ritardi sul set e gli atteggiamenti da divo.

È un lavoratore instancabile e perfezionista, e quando decide di prendersi una pausa nel 1977, si imbatte nella sceneggiatura del Cacciatore. Il film parla dell’impatto della guerra nel Vietnam su una comunità di operai della Pennsylvania, e stravolge i programmi di Bob. Risultato: cinque Oscar, tra cui il miglior film. Una delle sue frasi iconiche rimarrà: “Il talento è nelle scelte”.

Stavamo girando “Quei bravi ragazzi”; nella scena in cui io accoltello ripetutamente Frank Vincent steso nel bagagliaio, ad un certo punto mi accorgo che De Niro al mio fianco mi fissa perplesso. Gli dico: “Che c’è Bob?”. “Nulla” fa lui, ma io insisto: “O parli o pugnalo te invece di Frank!”. “Stavo pensando…” – fa allora lui – “stai colpendo troppo in fretta; non si può entrare e uscire dalle costole di un uomo così velocemente. Non sei credibile Joe”.

“Joe Pesci, intervento, AFI Life Achievement per Robert De Niro, 2003”.

LA TIMIDEZZA

Una caratteristica ben nota e frustrante per i giornalisti del settore è la ritrosia del divo a rilasciare interviste. Scherzando ma non troppo Martin Scorsese, ospite del Tonight Show, saputo dal conduttore Jimmy Fallon che De Niro era stato lì poco prima, chiede “Did he speak?”. La capacità di trasformarsi e di rubare la scena sul set si è perfettamente saldata con la sua necessità di non dire. E negli anni questo aspetto del suo carattere ha portato il pubblico ad immaginare, anche al di fuori dei film, e a riempire i suoi vuoti. Solo più di recente ha aperto la bocca più spesso; ha destato stupore il suo proposito di “prendere a pugni” il presidente Donald Trump per alcuni aspetti della sua politica.

Nel nuovo millennio si è dedicato anche a ruoli più leggeri, magari autoironici come in “Un boss sotto stress” o “Ti presento i miei”, ma Robert De Niro, è diventato una star recitando spesso il ruolo dell’outsider, del cattivo o di uno dei cattivi del film. Non si è mai veramente preoccupato di opinioni degli addetti ai lavori, pur rispettandone il ruolo. Ha lasciato parlare la sua arte.

Personalmente nessuno come lui, se non il migliore Al Pacino, mi ha fatto apprezzare in un attore la volontà di cogliere in un essere umano virtù e debolezze, slanci di umanità e bassezze. Sempre con compassione, mai volendo giudicare. Tutti gli attori e le attrici devono fare i conti con la sua arte, con il suo modo sincero, senza sconti e senza preconcetti, di entrare nel mondo dell’uomo descritto nella sceneggiatura.

Voler capire da dove nasce il male nei suoi gangster, senza probabilmente considerarli tali. Non cercando né buoni né cattivi, solo persone senza etichette, attraverso le quali lanciare messaggi universali su di noi.

“Eravamo a Parigi, e in un pomeriggio stavamo sostenendo settanta interviste per la promozione di “Terapia e Pallottole”, e Bob mi voleva sempre con sé, per il semplice motivo che io parlo. Bob odia parlare nelle interviste: si limita a fare le sue smorfie, e alla fine dice “basta così, no?”

“Billy Cristal, introduzione della cerimonia, AFI Life Achievement per Robert De Niro, 2003”.

Pete Sampras, il pistolero tranquillo

Pete Sampras, il pistolero tranquillo

Pete Sampras, il pistolero tranquillo

Tra McEnroe e Federer, tra i mitici ottanta e i Big Three, un timido ragazzo del Maryland chiede spazio. E lo fa senza troppi giri di parole, affidando le sue ragioni ad un talento purissimo

Quando nel settembre del 1984 John McEnroe vince il suo quarto US Open su Ivan Lendl, nessuno immagina che sarà il suo ultimo successo in un major, e che per cinque lunghi anni gli atleti a stelle e strisce non si imporranno più nei quattro tornei Slam. Mac avviava un precoce e pur splendido declino, e con lui il trentaduenne Jimmy Connors, e la Federazione Americana Tennis (USTA) affrontava una crisi di talenti senza precedenti per un paese che aveva vinto fino ad allora ventotto volte la Coppa Davis e giocato complessivamente cinquantaquattro finali.

Sul finire del decennio si affaccia però una strana triade di americani esotici: saranno loro, insieme al “rosso” Jim Courier, a riportare lo zio Sam sul trono del tennis. Nel 1988 esplode il talento del giocatore più moderno del pianeta, vero prototipo del tennista di oggi: figlio di un immigrato iraniano, André Agassi è il punk burlone e sorridente che prende tutti a pallate e arriva in semifinale a Parigi. Un anno dopo il flemmatico sino-americano Michael Chang vince, a diciassette anni, addirittura il Roland Garros, oltraggiando nientemeno che Re Lendl.

Nel frattempo, il terzo, il figlio dell’immigrato greco Soterios, lascia la presa bimane del rovescio che gli è stata impostata e si concentra sul gioco del suo idolo, Rod Laver. Colpisce la pallina con il suo stesso talento e pratica il gioco classico dei grandi degli anni Sessanta, dall’australiano a Manolo Santana. È ombroso e timido, non ha il carisma del punk e del saggio cinesino.

Ma nella destra ha la magia.

Per qualche tempo si allena a casa di Lendl, e impara la dedizione assoluta al lavoro dell’amerikano di Praga; il talento si deve associare al rigore, o Laver rimarrà lassù, inavvicinabile. Se ne ricorderà il 6 settembre del 1990, quando nei quarti di finale incrocia proprio il suo mentore. L’ex cecoslovacco arriva da otto finali consecutive nel torneo ed è favorito; nei primi due set però il greco è perfetto e lo confonde con fendenti e servizi terribili. Nei due set successivi il campione si riprende ed all’inizio del quinto tutti scommetterebbero su di lui. Ma il ragazzo lo stende con freddezza: 62 e tanti saluti. In semifinale supera McEnroe e in finale straccia proprio lo showman Agassi. Come dire: lui fa il cinema, io i fatti. Da qui comincia la favolosa storia di “Pistol” Pete Sampras.

Quella tra i due giovani finalisti di New York 1990 è la rivalità del decennio: sembra costruita apposta su alcune differenze che scavano un abisso tra i due. Le liti al limite del contatto fisico tra Connors e McEnroe lasciano la scena al contrasto di stili, comportamenti in campo e fuori. Pete è solitario e taciturno, interessato solo al suo tennis, imperscrutabile e infaticabile; Andre è simpatico e comunicativo, curioso del mondo, geniale e distratto. Insieme girano spot per la Nike allestendo campi da tennis per le strade più trafficate; insieme vengono travolti in una epica finale di Coppa Davis a Lione nel 1991, sconfitta assai istruttiva sulla vecchia Europa per i due giovanotti yankee. Insieme giocheranno cinque finali Slam, e Pete ne perderà una sola.

Perché nell’ultimo atto dei tornei è un killer: troppo determinato, troppo campione per tutti; a Wimbledon ne vince sette su sette. Nel momento giusto, il suo servizio non fallisce mai: “se funziona lui, sono tranquillo” dice parlando del suo gioco.  Vince 14 finali Slam su 18; solo Parigi gli sfuggirà, con la terra rossa che rallenta i colpi del suo fioretto magico.

Poco importa se l’orizzonte della sua vita appare limitato; nella sua autobiografia bestseller, Agassi si prende gioco di lui e dice di invidiarne l’ottusità (dullness), ovvero la sua assenza di ispirazione. Pete gli appare bidimensionale, senza pensieri particolarmente complessi; dal suo punto di vista, il greco risponderà tempo dopo di “aver semplicemente sempre saputo cosa avrebbe voluto fare, a differenza di Andre”.

Il 2 luglio 2001 negli ottavi di finale Pete affronta il teenager Roger Federer, e la storia fa di nuovo tappa a Wimbledon. Il giovane svizzero fa la sua prima apparizione sul Centrale, e il campione viene da una striscia vincente di 31 incontri a Londra; dal 1993 fino a quel giorno ha perso solo un match!

Ne esce uno show indimenticabile. Federer non mostra nessun timore reverenziale verso l’avversario e neppure nei confronti del leggendario stadio; vince il tie-break del primo set e perde il secondo solo per 75. I due si dividono i due successivi parziali dando fondo al loro arsenale di meravigliosi fiorettisti. Nel set decisivo sul quattro a quattro Sampras ha una palla break e gioca un rovescio alla figura dello svizzero corso a rete; sembra fatta, ma Roger si toglie di dosso la pallina con una volée di rovescio incredibile.

È il segnale: Federer annulla una seconda opportunità per l’americano, sale 54 e chiude l’incontro con un break. Sampras stringe, riluttante come sempre, la mano dell’avversario che lo ha battuto e comprende come undici anni prima si era sentito Lendl di fronte al suo successore.

Qualcosa scricchiola nella ferrea determinazione di Pete. Dodici anni dopo la finale del 1990 torna nell’ultimo atto di New York, e oltre la rete c’è lo stesso punk di allora; e anche il vincitore al termine è lo stesso. Sampras alza la coppa, saluta e torna negli spogliatoi; nessuno lo sa, ma rimarrà quella la sua ultima partita ufficiale. Quello che non vuole un uomo schivo come lui, poco incline all’ironia ma molto allo stile, è trascinare il proprio talento attraverso uno stillicidio di ritiri e clamorose rentrée, con lauti compensi per comparsate malinconiche e a volte grottesche. Caso rarissimo nello sport, ha il coraggio di ritirarsi dopo un trionfo, nel pieno delle proprie capacità tennistiche.

Il ritiro ufficiale verrà annunciato un anno dopo. Da quel momento Pete uscirà dal tennis; rilascerà occasionali interviste, parteciperà ancora a eventi tra vecchie glorie, ma non diventerà commentatore, o uomo immagine di un torneo. In una chiacchierata con l’ex campione Pat Cash per la CNN dirà che la cosa più importante per lui dopo la fine della carriera è la famiglia. Semplicemente. Nessuna voglia di essere il coach di qualcuno, perché “ne ho abbastanza di viaggiare per il tennis”; al “Time” confiderà che “le motivazioni erano finite, e non c’era nulla da dimostrare ancora”

Nell’ultimo match con Agassi, nel cuore dello scontro, Pete grida “that’s what I’m talking about!” (è di questo che sto parlando!), per caricarsi; al termine della finale riconoscerà di non aver mai ricevuto una ovazione come quella. La folla aveva la prova, anche Sampras il calmo vive le sue emozioni, ha paura di perdere, sa che altre occasioni per trionfare non verranno più.

A vent’anni dal ritiro poco rimane dei suoi record; Federer, Nadal e Djokovic hanno fatto piazza pulita dei numeri precedenti alla loro era. Ma l’appassionato di tennis non può dimenticare Petros il greco, mite e sublime pistolero di fine millennio, unico autentico predecessore del Divo Roger. Senza fare troppi clamori, aveva un sogno: lo ha coronato, e nel farlo ci ha regalato momenti di talento ineguagliabili. Senza parlare molto, lasciando alla racchetta il compito di raccontare di sé.

Wimbledon prima settimana: aria di Djokovic-Nadal… strepitoso Jannik Sinner!

Wimbledon prima settimana: aria di Djokovic-Nadal… strepitoso Jannik Sinner!

Wimbledon prima settimana: aria di Djokovic-Nadal… strepitoso Jannik Sinner!

Con Berrettini positivo al covid e gli outsider più quotati già estromessi, salgono le probabilità di assistere ad una nuova sfida tra i pluridecorati campioni. Ma qualcuno non è d’accordo, e un azzurro è tra di loro… Nel femminile fuori la campionessa di Roland Garros.

Ogni tanto gli inglesi rinunciano alla tradizione, e subito fanno notizia: per la prima volta da sempre il middle sunday, la domenica di mezzo consacrata al riposo e al relax per gli abitanti del quartiere (non si pensi che tutti lì amino il tennis!), ha una programmazione. Domenica 3 luglio ricorre il centenario del Campo Centrale, ed ecco spiegato lo strappo; nel primo pomeriggio una parata di campioni e campionesse ha calcato tra gli applausi il terreno dello stadio più prestigioso del mondo. Alcuni nomi: Rod Laver, Stan Smith, Bjorn Borg, John McEnroe; Billie Jean King, Margaret Court. Assente Martina Navratilova, per questioni di covid. Al termine della cerimonia, spazio al tennis giocato.

Gli ottavi di finale, dunque, iniziano nella domenica del primo weekend. Ma cosa è successo in questi sette giorni? Di tutto.

Sappiamo bene della positività di Matteo Berrettini al coronavirus; il nostro portacolori ha scelto di effettuare il tampone a fronte di alcuni sintomi, da lui stesso definiti “non gravi”. I commenti alla sua decisione hanno spaziato dalle accuse di ingenuità alle lodi per l’alto senso civico. Chissà come si comportano altri suoi colleghi in circostanze simili; noi non lo sappiamo e propendiamo per rispettare in ogni caso una scelta sicuramente sofferta, che lo ha escluso da un torneo che avrebbe giocato da protagonista.

Le vicende sui campi invece stanno evidenziando l’ottimo stato di salute dei due favoriti. Djokovic ha superato senza tentennamenti i primi quattro turni, peraltro con avversari per lui non trascendentali; ha perso solo due set, nel match d’esordio e negli ottavi, con l’olandese Van Rijthoven. Anche Nadal ne ha persi due, ma in tre incontri. Nel terzo ha avuto la meglio sabato del nostro Lorenzo Sonego, bravo comunque nel provarci contro il motivatissimo spagnolo che sta sognando di vincere il Grande Slam: gli mancano solo Londra e New York.

Novak Djokovic

Intorno a loro gli sfidanti più accreditati si stanno facendo da parte: tutte le teste di serie dalla terza alla ottava hanno già detto arrivederci e grazie: detto di Berrettini, hanno perso Auger-Aliassime, Hurkacz e Tsitsipas.  Ruud è caduto al secondo turno, e Alcaraz negli ottavi giocati proprio il 3 luglio, e tra poco ne parleremo.

Chi dobbiamo nominare tra i possibili fastidi per i duellanti? Sicuramente il folle e geniale Nick Kyrgios. È il più richiesto, con lui ci si diverte e ci si indigna: butta via punti già conquistati, polemizza con il pubblico, con chi lo contesta, con i giudici di linea, con il suo angolo, con sé stesso. Serve dal basso, colpisce la pallina con la racchetta tra le gambe, irride e accetta l’irrisione da parte dell’avversario.  L’australiano sembra un McEnroe più scanzonato e divertente; a volte dà l’impressione di voler solo combattere l’ansia che lo prende nei momenti decisivi, ed infatti per ora il palmares è piuttosto misero per il suo talento. Ma dopo aver sconfitto in un match incredibile Stefanos Tsitsipas, ha dichiarato sabato di voler vincere la coppa. Alla grande, Nick.

Nick Kyrgios

Taylor Fritz è poco noto, ma quest’anno ha vinto a Indian Wells, e sta giocando bene. L’inglese Cameron Norrie è la nona testa di serie; viene da un periodo non felice ma zitto zitto è già nei quarti di finale, per la gioia del pubblico british orfano di Andy Murray, qui sconfitto al secondo turno.

Impossibile non citare tra questi outsider il nostro alfiere Jannik Sinner. Prima dell’inizio della kermesse non aveva vinto un solo incontro sull’erba; in questa settimana ne ha fatti suoi già quattro. Ha cominciato con Stan Wavrinka, e Michael Ymer; ha superato poi senza mai concedere palle-break il bombardiere americano alto più di due metri John Isner. Il capolavoro lo ha però compiuto nel giorno del centenario: ha battuto il giovane Carlos Alcaraz in quattro set. Ha dominato con i suoi colpi di rimbalzo le prime due frazioni, per poi subire il ritorno del diciannovenne iberico. Nel tie-break del terzo Jannik ha concesso tre set-point e li ha cancellati con classe. Si è procurato a sua volta due palle del match, ma Alcaraz ha reagito con temperamento da campione, e ha successivamente chiuso il game decisivo per 10 a 8.

Sinner è riuscito a dimenticare la delusione e nel quarto si è trovato a condurre per 3 a 1. È salito a quattro dopo un game durissimo, ed ha chiuso al nono gioco e al sesto matchball. Risultato finale: 61 64 67 63. È la sua prima vittoria nei confronti dello spagnolo in una rivalità che certamente ammireremo a lungo. Magnifico! Ora nei quarti trova Novak Djokovic; non parte favorito, ma Nole dovrà porre la giusta attenzione se intende proseguire verso la finale.

TORNEO FEMMINILE

Avevamo paventato problemi erbosi per la numero uno Iga Swiatek, e la polacca è caduta sabato sotto i colpi della tennista transalpina di lungo corso Alize Cornet. Ha commesso 33 errori non forzati, contro i solo sette dalla francese, ha iniziato male e finito peggio, forse stanca anche mentalmente: si ferma a 37 la sua strepitosa striscia di incontri vinti. Resta la migliore, ma sul verde è rimandata a… luglio prossimo.

Si apre un nuovo torneo, con dodici giocatrici, tra cui solo una, la rumena Simona Halep, ha già vinto un major. Quasi tutte hanno una piccola chance; oltre alla già menzionata Halep credo meritino attenzione la campionessa di Madrid e finalista di Roma Ons Jabeur e Paula Badosa. La prima sta avanzando spedita, molto ammirata per i suoi colpi eleganti e old school, così efficaci sul verde; la seconda è meno avvezza alla superficie, ma sta crescendo ed è pur sempre la testa di serie numero quattro. È alta la probabilità che ci sia una vincitrice al primo successo in uno Slam.

Paula Badosa

È un peccato che in un periodo storico così… anarchico del tennis femminile, una giocatrice di talento come Camila Giorgi non riesca a giungere in fondo in un torneo importante: qui è uscita all’esordio senza lottare in due set contro la polacca Magdalena Frech, che è già stata a sua volta eliminata.

Per ora è tutto: i campioni ci sono ancora, c’è anche un italiano anche se ce ne aspettavamo un altro. Ci saranno sorprese o prevarranno le star consolidate? Per certo sarà grande tennis, quello che ogni anno a inizio luglio fa tappa sui giardini di Londra. A presto!

di Danilo Gori

Roland Garros prima settimana: quel matto di Alcaraz e la bella Italia

Roland Garros prima settimana: quel matto di Alcaraz e la bella Italia

Roland Garros prima settimana: quel matto di Alcaraz e la bella Italia

Nei primi turni bene i big Djokovic e Nadal, mentre il baby prodigio si distrae e rischia grosso. Nel femminile il deserto intorno a Iga Swiatek. Soddisfazioni dai tennisti nostrani, e la sensazione che per qualcuno di loro il meglio debba ancora arrivare…

Questi francesi sono matti! Ma dico io come si fa a mettere nella stessa parte del tabellone Djokovic, Nadal, Alcaraz e Zverev! Prima ancora di iniziare, già sapevamo che non avremmo avuto in finale più di uno di questi campioni. Inoltre nella giornata di sabato 28 hanno programmato tre francesi, non propriamente dei fenomeni, sul Campo Centrale, i quali sono stati puntualmente travolti. Sabato da sbadigli sul “Philippe Chatrier”; va bene essere chauvinisti , ma, come suol dirsi adesso, state calmi! Poi ovviamente Parigi è sempre Parigi e il fascino del Roland Garros supera qualsiasi gaffe in sede di sorteggio e di schedule.

La settimana numero uno del torneo non ha infatti tradito le attese, con alcune sorprese, nomi nuovi alla ribalta e qualche delusione. Ma vediamo cosa è accaduto a parer mio di rilevante nei due singolari.

 

ROLAND GARROS MASCHILE
Se i due veterani Djokovic e Nadal vincono i tre turni senza lasciare un set, Carlos Alcaraz al secondo giro deve fronteggiare un matchpoint! Contro il connazionale Ramos, un gringo roccioso e pedalatore, il ragazzo vince facile il primo set per poi rimanere sorpreso dalle frequenti discese a rete dell’avversario, che capisce di non avere speranze rimanendo a fondo.

Ramos vince il secondo e il terzo per 76 75, e nel quarto conquista la palla del match: ma gioca un dritto tremebondo, sopraffatto dalla paura di vincere.

Carlitos si prende il set, ma nel quinto è sotto 3 a 0. Partita finita? Nemmeno per sogno: il giovane campione rimonta ancora eseguendo alcuni recuperi in corsa davvero miracolosi.

Su uno di questi l’anziano (34) contendente appoggia una facile volee in rete. Per il gringo è notte fonda, mentre il pubblico di Parigi viene trafitto dal coup de foudre, ed è amore a prima vista per il murciano di ferro.

Zverev perde due set contro Baez per poi vincere al quinto, la stesa cosa capita a Tsitsipas con il nostro Musetti, e anche il greco recupera a colpi di classe. Peccato per Lorenzo, grande talento ma ancora poco fisico per sfidare i colossi al meglio dei cinque set. I protagonisti della stagione rossa sono così tutti presenti agli ottavi.

Possibili quarti di finale: Zverev-Alcaraz e Nole-Rafa! Inoltre, senza clamori, è ancora in gioco al Roland Garros il russo Daniil Medvedev, numero due al rientro da un’operazione di ernia; non ha mai brillato a Parigi, ma potrebbe essere un protagonista aggiunto in una competizione che vede ancora presenti tutte le prime otto teste di serie.

Segnalo una bella novità nel diciannovenne Holger Rune, danese di belle speranze di cui risentiremo parlare: al primo turno ha trattato malissimo Shapovalov, giustiziere di Nadal a Roma. Ora aspetta Tsitsipas.

ROLAND GARROS FEMMINILE
La favorita Iga Swiatek fila come un treno; ha perso per strada dodici game, in un solo caso ha vinto per 75, per due volte ha fatto 60. Un vero uragano fin qui. Per il resto sono uscite Ons Jabeur che non è riuscita a ricaricare le pile dopo le splendide prove a Madrid e Roma, e Barbora Krejcikova, campionessa uscente abbastanza anonima. La spagnola Paula Badosa, numero tre del seeding si è infortunata, hanno perso Simona Halep e Danielle Collins.

Agli ottavi di finale del Roland Garros la testa di serie più bassa dopo Iga è la numero undici, l’americana Jessica Pegula; l’uscita di scena delle più titolate sta concedendo alle superstiti una grande possibilità di ben figurare nel torneo. E, come vedremo tra poco, due italiane possono beneficiarne.

GLI ITALIANI AL ROLAND GARROS
Otto uomini e quattro donne ai nastri di partenza, e fino ad ora ci sono diverse note positive. Nel maschile il plotone si dimezza dopo il primo turno con le uscite di Giannessi, Zeppieri, Agamenone e Musetti, sfortunato nel sorteggio come già detto. Al secondo turno escono Fognini e Cecchinato. Al terzo splendida prova di Lorenzo Sonego, che si arrende solo al quinto set al quotato norvegese Casper Ruud. Agli ottavi approda solo un giocatore, la nostra punta di diamante almeno finché perdura l’assenza per infortunio di Matteo Berrettini: Jannik Sinner. In tre turni ha perso un solo set e, pur lamentando un problema ad un ginocchio, ha tenuto benissimo il campo e lunedì 30 se la vedrà con il russo Andrey Rublev per un posto nei quarti. I due precedenti sulla terra, il secondo dei quali ad aprile a Montecarlo, hanno visto prevalere  l’italiano: essere ottimisti dunque non è un azzardo.

Hanno fatto ancora meglio le donne. L’uscita al primo turno di Paolini e Bronzetti è stata bilanciata dall’arrivo al quarto turno di Martina Trevisan e Camila Giorgi. La prima, reduce dalla sua prima vittoria nel circuito la scorsa settimana in Marocco, è stata brava ad approfittare di un corridoio nel tabellone privo di teste di serie, e domenica 29 sarà opposta alla bielorussa Sasnovich, avversaria alla sua portata. Martina ha ventotto anni, non è una campionessa, ma è ammirevole per come ha saputo migliorarsi con costanza ed applicazione; gioca un tennis di pressione e ha un dritto notevole. È forse la tennista che grugnisce più rumorosamente mentre colpisce la palla, ma finché porta questi risultati la si perdona volentieri.

Camila Giorgi ha compiuto un autentico capolavoro sconfiggendo sabato un’altra bielorussa, Aryna Sabalenka, favorita numero sette. Non si è scomposta dopo aver perso la prima frazione per 64, e nell’ora successiva ha lasciato solo un game all’allibita ventiquattrenne di Minsk, traforandone la difesa con precise stoccate di diritto e rovescio. Ora la attende la russa Daria Kasatkina in un incontro dove tutto è possibile. Lecito attendersi di vedere un po’ di Italia anche nella seconda settimana.

Per ora mi fermo qui; da domani cominciano gli ottavi e si entra nel vivo del campionato del mondo su terra battuta. Buon tennis a tutti!

di Danilo Gori

¡Hola Carlitos! A Madrid scocca l’ora di Alcaraz!

¡Hola Carlitos! A Madrid scocca l’ora di Alcaraz!

¡Hola Carlitos! A Madrid scocca l’ora di Alcaraz!

Djokovic cresce, Nadal è eroico, ma al “Mutua Madrileña” l’ultima parola è del baby prodigio della Murcia. Nel femminile si impone Ons Jabeur.

Gli organizzatori della manifestazione si stanno fregando le mani: l’edizione 2022 ha confermato la statura di futuro campione del nuovo idolo di casa, il diciannovenne Carlos Alcaraz. Il murciano negli ultimi due mesi ha vinto Miami, Barcellona e ora Madrid, e la Spagna tennistica ha compreso che non ci saranno problemi per la successione al trono di Rafa Nadal. Ora gli manca solo la consacrazione in un major, magari già al Roland Garros. Certo, a Parigi si gioca tre set su cinque, ma i progressi del ragazzo sono così rapidi che non ci stupirebbe trovarlo tra i protagonisti anche sul Bois de Boulogne. In fondo Andre Agassi giocò la semifinale nel torneo in riva alla Senna a diciotto anni.

Carlos Alcaraz e Rafael Nadal

Alcaraz ha mostrato, oltre al valore tecnico indiscutibile, una personalità straordinaria, che lo ha portato in ventiquattrore ad affrontare e a battere in due autentiche battaglie nientemeno che Djokovic e Nadal, restando in campo più di cinque ore. Insomma, alla sua età ha superato due leggende dello sport e ha saputo ricaricarsi dal punto di vista mentale e nervoso come solo i califfi sanno fare.

Il livello di qualità dell’albo d’oro viene così mantenuto; negli ultimi tredici anni solo grandi campioni hanno sollevato il trofeo. Lo spagnolo succede al finalista di quest’anno, il tedesco Alexander Zverev.

Discorso diverso per il torneo femminile: ha vinto la tunisina Ons Jabeur. La nordafricana esprime un gioco piacevole, potente ma capace anche di tocco e di variazioni di ritmo e rotazione davvero interessanti. Unite a queste qualità ha però spesso denunciato incostanza di rendimento anche durante la singola partita; un fisico non propriamente esplosivo completano il quadro di una giocatrice forte, non certo di una campionessa.

Il tennis femminile è alla ricerca di una regina, di una giocatrice che si stacchi dal gruppo e si segnali per costanza di risultati; un nome che sia un richiamo per tutto il movimento davanti al grande pubblico. Oggi il livellamento degli standard di gioco ha generato un gruppo di giocatrici fortissime ma non troppo diverse le une dalle altre, con il risultato che a vincere è spesso la tennista più in forma del periodo. L’appannamento della migliore condizione coincide con il rientro della vincitrice nel gruppo; sul trono degli ultimi venti tornei del Grande Slam si sono succedute quattordici tenniste diverse! In campo maschile i nomi sono solo cinque, e tre di questi cinque ne hanno vinti diciotto!

La precedente numero uno, l’australiana Ashleigh Barty, sembrava avere tutto per imporsi, ma si è improvvisamente ritirata meno di una settimana prima dell’inizio di Miami, semplicemente per mancanza di nuovi stimoli. La nuova numero uno, la polacca Iga Swiatek, è campionessa uscente a Roma e ha già vinto a Parigi. Sarà lei la nuova tennista da copertina?

TORNEO MASCHILE

Ai quarti di finale approdano sette delle prime otto teste di serie, con il polacco Hurkacz unico “intruso”, ma pur sempre numero dodici. Il clou è il derby Nadal-Alcaraz; i due si spartiscono i primi due set con punteggi netti, ma nel terzo i colpi migliori sono del ragazzo di Murcia, che conquista meno palle break del maiorchino, ma ne trasforma di più: segno di precocissima capacità di giocare al meglio i punti decisivi, pur al cospetto del maestro in questo settore del gioco. Nadal nei momenti decisivi del terzo è sembrato affrontare non sempre nel modo migliore lo scambio, come per esempio nel matchball, quando è sceso a rete con un diritto al volo troppo corto, favorendo così uno splendido passante in corsa del chico. Nadal al termine masticava amaro, ma era pur sempre al rientro dopo la frattura da stress alle costole occorsagli a marzo a Indian Wells; nel turno precedente aveva annullato quattro matchball al belga Goffin nel tripudio di un centrale impazzito. La sua ripresa prosegue bene e in Francia sarà verosimilmente il solito, terribile babau.

Per il resto Djokovic supera agevolmente Hurkacz, Zverev si impone in due set su Auger-Aliassime e Tsitsipas mostra bagliori di grande talento contro il russo Rublev, strappando l’ultimo biglietto per le semifinali.

La prima è Djokovic-Alcaraz; incontro di altissima intensità, risulterà il match più bello della settimana e dell’intera stagione sul rosso. Nel primo set Alcaraz ottiene il break subito, ma deve cederlo poco dopo; al tie-break vince il serbo, che si lascia andare a un’esultanza che ne denuncia il nervosismo. Nel secondo il servizio viene difeso per undici game di fila, poi lo spagnolo sale 15-40 sul servizio Djokovic, e conquista la frazione con un passante di dritto in corsa che fa crollare gli spalti. Nel terzo non ci sono break fino al 6 a 6, ma il serbo deve cancellare un matchball con un servizio vincente. Il game decisivo se lo aggiudica per 7 a 5 Alcaraz, e Novak si complimenta calorosamente durante la stretta di mano.

Nella seconda semifinale la solidità di Zverev ha la meglio su uno Tsitsipas apparso a tratti sulle gambe.

La finale è stata l’unica nota stonata del torneo, nel senso che non c’è mai stata partita. Carlitos, assolutamente non pago di essere arrivato fin lì, ha giocato come una macchina; contro Zverev in un’ora di gioco non ha mai perso il servizio né concesso palle break, cedendo solo sei punti sulla sua battuta. Ha invece tolto quattro volte il servizio all’impotente tedesco, dominandolo dall’inizio alla fine e dicendogli infine adiòs con un eloquente 63 61.

TORNEO FEMMINILE

 Come detto ha vinto Ons Jabeur, ottava favorita del tabellone e migliore testa di serie dei quarti (tra i maschi Alcaraz era la numero nove, ma con sette giocatori meglio piazzati di lui; anche da queste cifre si intuisce il diverso livello dei due tornei). La tunisina non ha quindi dovuto battere nessuna giocatrice meglio classificata di lei; ha perso in tutto tre set, curiosamente in due di queste occasioni ha subito il cappotto 60.  Contro la Gracheva ha conquistato complessivamente meno punti dell’avversaria, in finale ha concluso il conto in pari, annullando un setball nella prima frazione a Jessica Pegula. Tutte dimostrazioni di intelligenza e sangue freddo. Nella settimana madrilena ha messo in mostra il suo tennis come detto elegante e ricco di soluzioni in tocco, bagaglio tecnico ormai non molto gettonato nell’epoca delle bordate vincenti da fondocampo; in particolar modo la palla corta, di cui è forse la miglior interprete in questo momento. Chapeau davvero a lei, che ha saputo raggiungere il suo successo più bello a quasi ventotto anni, e un augurio di sapersi confermare a simili livelli: il tennis femminile ne ha bisogno.

Ons Jabeur

GLI ITALIANI

 Tre le presenze azzurre. Lorenzo Sonego ha perso al primo turno in due set da Jack Draper, che ha poi fatto poca strada trovando la porta chiusa nel turno successivo con Zverev. Non è un gran periodo per il torinese, che lunedì 9 sarà già in campo nel torneo del Foro Italico per risollevare una stagione sul rosso piuttosto deludente. Lorenzo Musetti ha passato due turni di qualificazione, poi ha battuto due avversari nel tabellone principale, tra cui il temibile Sebastian Korda. Si è ritirato per un risentimento alla coscia nel match contro il finalista Zverev. Tutto normale quindi, purtroppo mentre scriviamo Il giocatore con un post su Instagram annuncia che il problema fisico lo costringerà a rinunciare a Roma.

Jannik Sinner ha superato anch’esso due turni, annullando due matchball a Tommy Paul, ma si è arreso nettamente contro il quotato Auger-Aliassime. Nulla di vergognoso per lui, ma il punteggio netto della sconfitta conferma che ancora non si è ripreso dai problemi di vesciche che lo tormentano da alcune settimane.

Tra le donne presenti Camila Giorgi e Jasmine Paolini: entrambe battute al primo turno dalle finaliste del torneo. Perlomeno non si può dire che chi le ha superate non ha fatto strada…

Per Madrid è tutto, non ci resta che accostarci al torneo italiano più importante del calendario: arrivederci a Roma da lunedì 9!

​di Danilo Gori