Il (Quarto) potere di Mank, predecessore ed eredità di “Citizen Kane”
Quarto potere, il celeberrimo film che ha fatto da vero e proprio spartiacque nella storia della cinematografia statunitense, usciva nelle sale il 1 maggio di 82 anni fa. Da quel giorno, molte cose nel cinema sarebbero cambiate.
Nel 2020 è comparso sul catalogo Netflix Mank, film la cui storia è intimamente connessa a quella del capolavoro di Welles. Appena uscito, il pubblico gridava già all’Oscar, ma si è dimostrato davvero all’altezza delle aspettative?
Mank, ancor prima della sua uscita il 4 dicembre 2020 sulla piattaforma Netflix, aveva intorno a sé aspettative piuttosto alte: in primis per il cast stellare coinvolto, poi per la presenza di David Fincher alla regia, e infine per il collegamento con uno dei capisaldi della cinematografia statunitense e mondiale, ovvero Quarto potere.
Il film di Netflix è un dramma biografico dal look retrò che propone un viaggio dietro le quinte dell’industria cinematografica hollywoodiana durante gli anni della Grande depressione, gli stessi nel quali prese vita il capolavoro di Orson Welles. La pellicola originale è da sempre associata a quest’ultimo, quindi sembra lecito chiedersi: chi è Mank?
L’antefatto: chiariamo alcune cose
Lo sfondo della vicenda è piuttosto complesso perché frutto della stratificazione tra diversi piani di realtà. É necessario quindi fare un po’ di chiarezza: Herman J. Mankiewicz è lo sceneggiatore che scrisse Citizen Kane (Quarto potere in italiano). Orson Welles è il poliedrico genio ventiquattrenne che produsse, co-scrisse e diresse il film; non contento, interpretò anche la parte del protagonista della pellicola, il magnate dell’industria della stampa Charles Foster Kane.
La parabola biografica del personaggio di finzione si ispira liberamente alla vita di un altro uomo (realmente esistito), William Randolph Hearst. Quest’ultimo è stato un grande editore e imprenditore, che fu a capo di un impero mediatico senza precedenti in grado di influenzare enormemente i giornali e l’opinione pubblica.
I punti di contatto tra la storia personale di Hearst e Kane sono molteplici, tanto che il magnate americano cercò in tutti i modi di boicottare il film. Il suo intervento servì solo a limitarne la circolazione e a penalizzare la pellicola agli Oscar del 1942, dove vinse soltanto il premio per la miglior sceneggiatura originale. La stessa su cui si scatenò, appunto, la lotta tra Welles e il collega Mank.
La trama: dalla persona al contesto, e viceversa
La pellicola di Fincher è un viaggio tra i retroscena della Hollywood degli anni Trenta, del processo di scrittura di uno dei film più memorabili di sempre, e dell’ancestrale binomio tra una mente geniale e le sue dipendenze (alcol, gioco d’azzardo).
Mank (Gary Oldman) si trova costretto a letto dopo che, a causa di un’incidente d’auto, si è infortunato a una gamba. In un’isolata casa di campagna, lo sceneggiatore viene aiutato dalla stenografa (Lily Collins) a portare a termine il compito che gli è stato affidato: concludere in pochissimo tempo la stesura della sceneggiatura per il film di Orson Welles (Tom Burke).
Da questo frammento temporale si diramano continui flashback che mostrano il protagonista muoversi nella difficile scena hollywoodiana di quegli anni, caratterizzata dalla diffusa povertà della gente, la minaccia di Hitler oltreoceano, e il continuo scontro con i socialisti. La vicenda è impreziosita da teatrini elettorali, dall’uso arbitrario e spregiudicato dei media al servizio della politica e dalla strumentalizzazione consapevole delle fake news.
Lo spettatore viene proiettato al fianco di Mank nelle sue vorticose relazioni sociali, con il milionario William Randolph Hearst (Charles Dance), il direttore dello studio cinematografico Louis B. Mayer (Arliss Howard), l’amante ufficiale di Hearst e starlet Marion Davies (Amanda Seyfried), fino alla moglie, la “povera” Sara (Tuppence Middleton).
Tiriamo le fila
La regia di Fincher è di certo impeccabile (da notare anche l’uso sapiente delle luci del direttore della fotografia Erik Messerschmidt, che si rende indispensabile con il bianco e nero); non si può ovviamente dire rivoluzionaria come per quella di Quarto potere, ma è un riuscito omaggio allo stile del passato. Degna di nota anche la manipolazione del sonoro, distorto appositamente per renderlo simile a un autentico film d’epoca.
Nel lungometraggio recita un cast di tutto rispetto, impreziosito da attori del calibro di Amanda Seyfried, Lily Collins e Charles Dance. Un posto d’onore spetta senza dubbio a Gary Oldman che, con questa interpretazione nella parte del protagonista, ha sfiorato il suo secondo Premio Oscar come miglior attore. Menzione speciale anche alla Seyfied, che ha dato prova di una notevole maturazione artistica con la sua brillante prova. Non per niente, anche lei ha ricevuto una nomination come migliore attrice non protagonista.
La scrittura del film è (volutamente) intricata, stratificata, complessa, resa ancor più opulenta da una serie di rifermenti non solo storici e politici, ma anche letterari: geniale l’analogia tra Don Chisciotte-il futuro personaggio di Kane-Hearst. A complicare il tutto, la pellicola gioca con piani temporali non sequenziali. Una trovata ingegnosa (e metanarrativa) è quella di simulare la scrittura di un copione per segnalare le transizioni tra i vari flashback.
È divertente l’intrinseca sottile ironia che fa Houseman quando inizialmente critica la sceneggiatura scritta da Mank perché troppo complicata – dal momento che mescola piani temporali e punti di vista diversi, cosa che sarà una delle rivoluzioni segnate da Quarto potere –, e la sceneggiatura del film Mank: anche qui i piani temporali sono sfalsati, ma il punto di vista è unico, a rimarcare l’assoluta centralità della quale gode, finalmente, lo sceneggiatore. Orson Welles, nel lungometraggio, si vede solo di striscio, il rapporto si sviluppa quasi esclusivamente a distanza. Non c’è spazio per lui, questo è il film di Mank.
Perché il grande pubblico non conosceva Mank? Una damnatio memoriae? Il genio creativo di Welles troppo ingombrante? Forse entrambe le cose, o nessuna delle due. Come per il suo personaggio Kane, la figura di Mank rimane un puzzle complesso e intricato, una matassa imbevuta di alcol e parole che però, finalmente, riceve l’attenzione che merita.
Una piccola curiosità: la sceneggiatura del film Mank è stata scritta dal padre di Fincher, Jack, nei primi anni Novanta.
Un film per chi?
É sicuramente un film per appassionati, lo è abbastanza per i temerari fiduciosi, decisamente poco per chi vuole vedere un film senza pretese con il quale intrattenersi per qualche ora.
In definitiva, chi non ha mai visto Quarto potere può vedere Mank sperando di capirci qualcosa? Sì, è difficile ma non impossibile, contando il fatto che anche chi ha visto il lungometraggio di Welles (ma non è esperto della scena Hollywoodiana degli anni Trenta) riesce con una certa fatica a cogliere i numerosissimi riferimenti contenuti. Bisogna investirci una buona dose di concentrazione, seguirlo in religioso silenzio per non rischiare di perdersi mezza battuta, ma è un film che ripaga.
Chi non conosce il sottofondo della vicenda può comunque godersi la storia di un arguto, tagliente, ironico sceneggiatore alla deriva, ma la visione sarà impoverita dall’impossibilità di riconoscere le allusioni che, alla fine, costituiscono l’anima del film: il tributo lucido, non patinato, di Fincher al cinema del passato.
Ciò nonostante, una persona può comunque emozionarsi davanti a un’opera di Van Gogh o di Picasso senza necessariamente sapere chi sia l’artista né che tecnica abbia utilizzato. Questo è il bello dell’arte fatta bene.
Il film ha ricevuto ben dieci nomination agli Oscar del 2021. Ha portato a casa solo l’Oscar per migliore fotografia (a Erik Messerschmidt), e migliore scenografia (a Donald Graham Burt e Jan Pascale).
Per chi gradisce un assaggio della sceneggiatura originale, clicca qui.
PRO
– un intenso e travolgente Gary Oldman
– Mank, un personaggio a dir poco magnetico
– David Fincher si riconferma grande regista
CONTRO
– storia piuttosto complicata e intricata
– bisogna sforzarsi di star dietro a un ritmo incalzante
– la visione richiede una certa concentrazione
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