Marsilio Ficino: l’Amore come motus amandi

Marsilio Ficino, campione del neoplatonismo rinascimentale, si spegne a Careggi, presso Firenze, il primo ottobre del 1499.

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L’esigenza di rinnovamento culturale e spirituale che caratterizza il XII e il XIII secolo, incarnata ad esempio dalle celebri figure di Francesco d’Assisi e Gioacchino da Fiore, giunge a maturazione proprio in età umanistica e rinascimentale. A ben vedere, il cuore dell’antropologia rinascimentale risiede nella celebre locuzione secondo la quale homo faber ipsius fortunae , ossia l’uomo è fabbro del proprio destino. 

Al di là del dibattito storiografico circa la piena rottura o continuità fra Medioevo e Rinascimento, è indubbio che i filosofi, fra XIV e XV secolo, abbiano chiaro che l’uomo non debba considerarsi solo una parte di un ordine prestabilito, ma che debba al contrario, in quanto soggetto, conquistare sé stesso e un proprio posto nell’essere. 

Con il Rinascimento, inoltre, si ha una piena riscoperta di Platone, il quale prende corpo nel cosiddetto platonismo rinascimentale. Nonostante il platonismo del XIV e XV secolo sia un miscuglio della dottrina di Platone, Plotino, Pitagora e di elementi orfici, il celebre filosofo ateniese apparve come la figura più interessante della classicità greca, e il più adatto a fornire una dottrina che tenesse conto anche delle passioni umane, quali l’amore. Tale interesse per Platone si concretizzò in Italia nelle traduzione dell’umanista Leonardo Bruni e nella speculazione di Marsilio Ficino.

Marsilio Ficino era il figlio del medico personale di Cosimo de’ Medici, e compì studi di greco, latino e filosofia in una Firenze che si appresta a diventare il primo grande centro dell’Umanesimo italiano e europeo. 

Nel 1459 riceve in dono da Cosimo un manoscritto platonico da tradurre e una villa presso Careggi (oggi un quartiere di Firenze), dove fonda per volere di Cosimo stesso la nuova Accademia platonica: il compito è quello di studiare il corpus platonico, interpretarlo e facilitarne la diffusione. 

Marsilio Ficino traduce innumerevoli opere platoniche, prima in latino, e poi in toscano. Fra queste si annovera, a partire dal 1474, il Convivio platonico o Sopra lo Amore, nel quale dialogo, nell’orazione seconda, si legge:

Muore amando qualunque ama: perché il suo pensiero dimenticando sé, nella persona amata si rivolge. Se egli non pensa di sé, certamente non pensa di sé: e però tale animo non adopera in sé medesimo: con ciò sia che la principale funzione dell’Animo sia il pensare. 

Come in tutta l’opera di Marsilio Ficino, compresa la celebre Theologia platonica, la dottrina dell’amore non è affrontata in termini psicologici e fisiologici: non è la natura mondana e umana di Amore che interessa Ficino, o le sue manifestazioni sull’amante (come già accadde, ad esempio, con alcuni poeti della Scuola siciliana), ma la sua funzione, la quale si esplica nello slancio fra il soggetto e il principio. 

Ficino compie un’ardita saldatura fra religione cristiana e platonismo, fra orfismo e pitagorismo: egli afferma che il principio di tutte le cose, Dio, il quale è anche definito Bene, crea dapprima la Mente Angelica (che corrisponde alle idee platoniche), poi l’Anima del Mondo, e infine il corpo dell’Universo. 

La prima realtà creata da Dio o Bene, la Mente Angelica, inizialmente è informe e tenebrosa in quanto immersa ancora nel Caos della creazione. Quando la Mente si rivolge naturalmente a Dio, essa acquisisce la sua essenza, si perfeziona, e nasce Amore. In tal senso, l’azione di Amore (con la A maiuscola, in qualità di slancio divino), afferisce al “tirare su” da una condizione primordiale amorfa. Amore è lo slancio vitale che spinge il primo ente, la Mente Angelica, a voltarsi verso Dio e acquisire la sua essenza. E così via: dopo la Mente, è la volta di tutte le altre realtà (l’anima, il corpo), le quali sono atte a voltarsi verso Dio.

Secondo Ficino, è destino dell’uomo ritornare a Dio: di tutte le realtà create dal Bene, l’Anima è mediatrice fra la Mente Angelica, che guarda direttamente Dio, e il corpo del mondo, nel quale è immerso l’uomo. Il comune denominatore tra gli enti della realtà dunque è l’Anima, la cui attività principale si esplica nella funzione mediatrice dell’Amore: si ama con l’animo, e con esso si ritorna al principio, e cioè Dio. 

Ritornando all’estratto della seconda orazione del discorso Sopra lo Amore, si comprende ora che cosa intendesse Ficino scrivendo che “muore amando chiunqua ama”. L’Animo è il nodo vivente della creazione, direttamente responsabile della vita intellettiva del soggetto, e di conseguenza sede del pensiero. L’Amore è slancio verso il Bene e che esalta fino all’eccelso. Sembra che Ficino stia parafrasando platonicamente alcuni topoi della lirica d’amore siciliana e guinizzelliana (come “l’amore amaro”): il soggetto che ama pensa intensamente il soggetto amato; la visione dell’amato fomenta l’animo dell’amante, il quale, poiché il pensiero risiede nell’animo, “esce da sé stesso” e trova rifugio nell’animo dell’amato. Solo uno slancio divino potrebbe permettere un abbandono di sé stessi che sa quasi di mors voluntaria

La dottrina dell’Amore esposta nel discorso Sopra lo Amore, di straordinaria vivacità, mette in guardia sugli effetti di un buon motus amandi: se colui che ama con l’animo è ricambiato, non può morire, poiché vive nell’amato. Al contrario, se l’amore non è ricambiato, tale condizione ne pregiudica la salvezza:

[…] e però interamente è morto il non amato Amante. E mai non risuscita, se già la indignazione nol fa risuscitare. 

 

di Giuseppe Sorace

Giuseppe Sorace

Sono Giuseppe, insegno italiano, e amo la poesia e la scrittura. Ma la scrittura, soprattutto, come indagine di sé e di ciò che mi circonda.