Piste ciclabili a Milano: percezione della sicurezza e frustrazione collettiva

Piste ciclabili a Milano: percezione della sicurezza e frustrazione collettiva

Piste ciclabili a Milano: percezione della sicurezza e frustrazione collettiva

Tra viabilità cittadina e piramide dei bisogni…

Si è parlato tanto nei giorni scorsi delle piste ciclabili tra Corso Monforte e le vie vicine, e del conseguente incrocio labirintico. Vedendo la notizia riportata su più pagine Instagram mi sono incuriosita e oltre che leggere i vari post e articoli a riguardo, sono andata a sbirciare la sezione commenti, cosa che faccio assai raramente, sempre un po’ intimorita da ciò che potrei trovare. E infatti i miei timori erano più che fondati. La quantità di rabbia, aggressività e odio contenuti in quei commenti a un primo sguardo è assolutamente sproporzionato al tema trattato. Si sta disquisendo di semplice urbanistica, di viabilità cittadina, come può un argomento del genere, quasi burocratico, infiammare così tanto le folle? Come può creare fazioni e schieramenti così opposti e nemici? Evidentemente la percezione da parte dei cittadini non è così semplice, evidentemente la questione solleva e richiama qualcosa di molto più profondo.

Ci tengo a iniziare il discorso con una premessa per me importante: ritengo che la costruzione di una città sicura per chiunque la percorra, su qualsiasi tipologia di mezzo, sia un requisito fondamentale per garantire una qualità della vita adeguata. Credo fortemente perciò che a Milano sia necessaria e obbligata la costruzione di una rete più uniforme e lineare di piste ciclabili, questo perché nonostante tutte le motivazioni ideologiche o prese di posizione delle varie parti coinvolte, penso che tutelare una minoranza sia sempre un atto dovuto, indipendentemente dalla forma di questa tutela.

Detto questo, mi sono interrogata tanto sul tema, che è sicuramente complesso, articolato e non privo di contraddizioni. Il motivo principale per il quale sui social troviamo polemiche così accese è a mio parere legato ai bisogni percepiti e non soddisfatti dei cittadini. Se parliamo dell’essere umano distaccato da un preciso contesto fisico, grazie agli studi di Maslow sappiamo molto bene quali sono i suoi bisogni, abbiamo uno schema piramidale a spiegarci chiaramente le motivazioni che spingono le persone ad agire attraverso determinate azioni. Abbiamo una scala di priorità, sappiamo cosa è più impellente e necessario, come ad esempio i bisogni fisiologici, e cosa invece in caso di emergenza diventa superfluo, come ad esempio il bisogno di stima o di autorealizzazione. Non abbiamo uno schema così preciso se si considerano i bisogni specifici di un cittadino metropolitano. Un essere che smette di essere “astratto” ma diventa concreto nel contesto in cui abita. Ponendo la questione viabilità in un contesto di pensiero come questo tutto acquisisce più senso. La frustrazione delle persone nasce da due fattori: c’è una discrepanza tra i bisogni percepiti come necessari dalla maggioranza di persone e i bisogni su cui si sta effettivamente lavorando.

​il Comune in questi mesi sta promuovendo, finanziando e avviando progetti e campagne per rendere la città sempre più green ed ecosostenibile. Fin qui non ci sarebbe assolutamente nulla di sbagliato, in un’epoca in cui la crisi climatica è tema centrale e assolutamente urgente, ci sarebbe da essere felici e sollevati che la propria città agisca seriamente a riguardo, e invece queste iniziative stanno portando solamente malcontento. Questo perché purtroppo a Milano c’è un’altra tematica importante e urgente, la sicurezza. Basti guardare la quantità di video denuncia che circolano sul web riguardanti borseggi, risse, aggressioni. I cittadini milanesi non si sentono al sicuro, e soprattutto non si sentono ascoltati, richiamano più volte il Comune e il sindaco a porre attenzione e azione su tali questioni, ma la risposta è sempre respingente e svalutante. Ha senso quindi che i cittadini si ribellino a un focus così stringente su una questione rispetto che a un’altra. È come per la piramide di Maslow, se un bisogno fisiologico non viene per prima soddisfatto io mi sentirò frustato e arrabbiato se qualcuno mi propone la soluzione per un bisogno di realizzazione, questo non vuol dire che io non senta entrambi i bisogni, ma non sono interscambiabili, per soddisfare il secondo deve per forza essere soddisfatto il primo, altrimenti la mia frustrazione rimarrà invariata. Questo non comporta neanche un giudizio di valore rispetto a uno o l’altro bisogno, non è che i cittadini si interessano di più alla sicurezza perché è più giusto rispetto alla viabilità ecosostenibile, ma solamente perché lo sentono come il bisogno più urgente e necessario.

Il discorso non è però così semplice, poiché in una realtà grande come Milano, ogni azione, per quanto benevola nei piani porta a una quantità spropositata di contraddizioni e imprevisti. È abbastanza ovvio pensare che per i ciclisti, ad esempio, le tematiche di viabilità e sicurezza vadano di pari passo: le piste ciclabili non sono solamente un discorso di comodità o di incentivo a usare mezzi non inquinanti. Per loro piste ciclabili adatte e protette sono questione di vita o di morte, per loro è questo il bisogno fondamentale, percorrere il tragitto casa lavoro in maniera sicura, senza paura di doversi buttare in mezzo alla strada perché le macchine hanno deciso di usare la pista ciclabile come parcheggio, senza avere il timore che degli scooter o delle moto usino la loro corsia come espediente veloce per superare il traffico.

È anche vero però che costruire piste ciclabili in una città che non è pensata per questo tipo di mobilità comporta una riduzione delle carreggiate, con conseguente rallentamento del traffico e quindi di inquinamento. Porta a una riduzione dei posti disponibili per i parcheggi, il che comporta che le macchine girino per più tempo nelle stesse vie e in tondo, sprecando più carburante e di conseguenza anche qui, inquinando di più. Questo porta quindi indubbiamente dei disagi, per chi magari è “costretto” a muoversi in macchina date le lunghe distanze, per chi magari lavora nelle vie del centro facendo le consegne, a privati o negozianti, e avrebbe quindi la necessità di muoversi in maniera agile e veloce per poter svolgere al meglio il proprio lavoro.

Ed è così che tutti i bisogni e le necessità vanno a scontrarsi una addosso alle altre, generando rabbia e frustrazione.

Non è certo colpa dei singoli volere cose diverse, ma dovrebbero essere le istituzioni a trovare una soluzione generale, a mettere un ordine nelle priorità e coinvolgere i propri cittadini nel processo. Perché finché i cittadini non verranno ascoltati e presi in considerazione, faranno la guerra fra loro, tentando di far prevelare i propri bisogni rispetto a quelli altrui. Se si facesse invece un lavoro di sensibilizzazione, di pari passo alle iniziative pratiche per cambiare l’assetto della città questi cambiamenti verrebbero forse accolti e rispettati più facilmente, invece di essere osteggiati e criticati così tanto. Se, oltre a costruire piste ciclabili si spiegasse anche in maniera chiara e diretta quali sono i reali benefici, se si facessero pomeriggi o giornate per invogliare le persone a percorrere queste nuove strade in sella alle proprie bici, per provarne con mano la comodità, forse le persone sarebbero incuriosite da questa nuova possibilità di città.

Di Valentina Nizza

Miart 2023: l’imperdibile sezione Decades

Miart 2023: l’imperdibile sezione Decades

Miart 2023: l’imperdibile sezione Decades

Come un grande museo, miart 2023 (14 – 16 aprile 2023 | anteprima VIP 13 aprile), presenta Decades, una delle sezioni che, giunta alla sua sesta edizione, maggiormente caratterizza l’identità della fiera milanese rendendola unica, capace di creare valore e di storicizzare l’arte.

Un viaggio lungo più di cento anni, un percorso tra generi e generazioni, istanti e intere epoche, un susseguirsi di dialoghi, corrispondenze e rimandi. Come un grande museo, miart 2023 (14 – 16 aprile 2023 | anteprima VIP 13 aprile), presenta Decades, una delle sezioni che, giunta alla sua sesta edizione, maggiormente caratterizza l’identità della fiera milanese rendendola unica, capace di creare valore e di storicizzare l’arte.

Concepita come una passeggiata nel tempo alla scoperta della storia del ventesimo secolo –dagli anni Dieci del Novecento agli anni Dieci del Duemila – Decades, a cura di Alberto Salvadori,ospita dieci gallerie, ciascuna con un progetto speciale (presentazioni monografiche o focustematici) dedicato a uno specifico decennio.

Come una sequenza di sale museali, attraversare questa sezione valorizza esperienze meno conosciute e storie di respiro internazionale, pezzi iconici accanto a quelli più ricercati e rari, offrendo al pubblico stand non conformisti che mostrano l’arte a 360°, dalla pittura alla scultura, dal designalla ceramica passando per la fotografia.

Si parte con lo stand di Società di Belle Arti (Viareggio – Milano – Cortina D’Ampezzo) e una panoramica dedicata alle più rilevanti tendenze figurative del primo decennio del Novecento con opere di Oscar Ghiglia, Llewelyn Lloyd e Moses Levy, per entrare negli gli Anni Venti con ED Gallery (Piacenza) che propone un’esposizione dedicata a Giò Ponti e Richard Ginori: due grandi nomi del design italiano presentati attraverso opere in ceramica tanto importanti quanto rare.

Le sculture e i disegni di Regina Cassolo Bracchi – prima scultrice dell’avanguardia italiana – sono protagonisti dello stand di Studio Dabbeni (Lugano) dedicato agli Anni Trenta, mentre per iQuaranta la Galleria Gomiero (Montegrotto Terme) presenta bozzetti di sculture per monumenti di artisti come Fortunato Depero, Antonio Maraini e Adolfo Wildt.

Voce unica e radicale del design e dell’architettura d’interni francese, Charlotte Perriand rappresenta gli Anni Cinquanta nel booth di M77 (Milano) in cui vengono posti in dialogo alcuni dei suoi arredi più iconici con un nucleo inedito di fotografie. Si resta in Francia per gli Anni Sessanta con Jacques Villeglé, uno dei protagonisti della scena artistica del secondo dopoguerra di cui nello stand DELLUPI ARTE (Milano) viene presentata una selezione di celebri décollages.

Per celebrare cinquant’anni dalla scomparsa di Ugo Mulas, LIA RUMMA (Milano – Napoli) dedica al grande fotografo una personale raccontando così gli Anni Settanta, mentre per gli Ottanta la Galleria dello Scudo (Verona) sceglie di mettere in mostra due tra gli artisti più importanti di quegli anni, Carla Accardi e Pietro Consagra, svelando alcune delle loro produzioni meno note.

Il viaggio si conclude negli Anni Novanta con un focus monografico dedicato ad Harald Klingerholler, maestro della scultura concettuale tedesca, presentato da Galerie Jocelyn Wolff(Romainville), e con una personale dell’artista inglese Jim Lambie a rappresentare gli Anni Duemilanello stand della Galleria Franco Noero (Torino), che genera un dialogo empatico tra le diverse pratiche da lui utilizzate.

1910 – Oscar Ghiglia, Llewelyn Lloyd e Moses Levy, Società di Belle Arti, Viareggio – Milano – Cortina D’Ampezzo
1920 – Giò Ponti e Richard Ginori, ED Gallery, Piacenza
1930 – Regina Cassolo Bracchi, Studio Dabbeni, Lugano
1940 – Sculture per monumenti italiani, Galleria Gomiero, Montegrotto Terme
1950 – Charlotte Perriand, M77, Milano
1960 – Jaques Villeglé, DELLUPI ARTE, Milano
1970 – Ugo Mulas, LIA RUMMA, Milano – Napoli
1980 – Carla Accardi e Pietro Consagra, Galleria dello Scudo, Veron
1990 – Harald Klingerholler, Galerie Jocelyn Wolff, Romainville
2000 – Jim Lambie, Galleria Franco Noero, Torino

Cadogan Gallery a Milano con la mostra Carta di Sam Lock

Cadogan Gallery a Milano con la mostra Carta di Sam Lock

Cadogan Gallery: esordio a Milano con la mostra Carta di Sam Lock dal 2 al 31 marzo

La mostra, che espone lavori inediti dell’artista realizzati a partire da pagine di libri d’arte scartati, è stata pensata da Lock e da Freddie Burness, Direttore della galleria, appositamente per gli spazi rinnovati di via Bramante

Attiva nel Regno Unito dal 1980 e dotata di una sede riservata a progetti site specific nello Hampshire dal 2021, Cadogan Gallery si appresta ad aprire la sua prima sede internazionale a Milano.La location scelta è il luminoso spazio di via Bramante 5, dove gli elementi distintivi dell’architettura milanese incontrano l’estetica moderna.

A inaugurare la stagione espositiva della galleria è Sam Lock, artista inglese, classe 1973. Rappresentato da Cadogan dal 2015, Lock ha esposto le proprie opere sia a Londra sia nello Hampshire, diventando uno degli artisti più acclamati e di successo della galleria.

La mostra Carta prende il nome dal medium scelto, le pagine provenienti da una collezione in disuso di libri d’arte. Lock incolla le pagine alla tela creando un motivo a griglia sul quale interviene con i propri segni apparentemente uniformi, ma in realtà ognuno diverso dall’altro. Così facendo, viene a crearsi una sovrapposizione tra passato e presente, un legame tra i nomi dei maestri antichi stampati sulle pagine sbiadite e l’intervento pittorico dell’artista.

“Il futuro del vino naturale nelle mani delle nuove generazioni”: la scommessa di Tenuta Baroni Campanino

“Il futuro del vino naturale nelle mani delle nuove generazioni”: la scommessa di Tenuta Baroni Campanino

“Il futuro del vino naturale nelle mani delle nuove generazioni”: la scommessa di Tenuta Baroni Campanino

Il vino naturale è un mercato ancora di nicchia, ma in continua ascesa. Tenuta Baroni Campanino lo sa bene e scommette sui giovani con Mattia Di Bartolo, enologo a “soli” 26 anni.

Quando si accenna al “vino naturale” si rischia sempre di scontrarsi con scetticismi, pregiudizi e superstizioni. Eppure, soprattutto tra le nuove generazioni, questo modo di produrre (e apprezzare) il vino in maniera più consapevole e più sostenibile sta prendendo sempre più piede. E – ne siamo convinti – darà sempre più filo da torcere agli estimatori del vino convenzionale.

A parlarcene è Mattia Di Bartolo, enologo della Tenuta Baroni Campanino, che abbiamo incontrato in occasione della prima edizione dell’esibizione milanese dedicata ai “vignaioli naturali” Vi.Na.Ri. lo scorso 12 febbraio. Ventisei anni, fresco di università, per Tenuta Baroni Campanino si occupa anche della parte commerciale, di import ed export.

Mattia Di Bartolo, enologo di Tenuta Baroni Campanino

Cos’è Tenuta Baroni Campanino? Come si articola la vostra produzione?
La Tenuta Baroni Campanino si trova in Umbria, sul Monte Subasio, alle spalle di Assisi. I nostri vigneti crescono sul cucuzzolo di una montagna fra i 700 e i 900 metri di altezza e tutti i nostri appezzamenti hanno una pendenza del 50-60%. È un terreno abbastanza difficile da lavorare, ci vuole molta manualità, per questo la nostra è a tutti gli effetti una viticoltura eroica.
A livello vitivinicolo i vigneti hanno tutti certificazione biologica e seguiamo un iter biodinamico, mentre in cantina invece la produzione è tutta naturale: fermentazioni spontanee, non filtriamo, la temperatura non è controllata e, soprattutto, il nostro è un vino che ci piace chiamare “
hangover free”, poiché cerchiamo di stare su un massimo di 20 milligrammi di solforosa totale per litro. Nei nostri vini stiamo intorno ai 10-12 milligrammi, una quantità quasi nulla che fa sì che questi vini non diano mal di testa: hangover free, per l’appunto”.

Quante bottiglie fate all’anno?
Abbiamo 11 ettari di vitigni dai quali ricaviamo 50mila bottiglie l’anno, ma non solo. Oltre alla cantina abbiamo anche un birrificio stile trappista in cui produciamo birre monastiche, stile belga”.

Su quali vitigni si concentra la vostra produzione?
Il rispetto della natura che professiamo celebra l’unicità di ogni vendemmia lasciando che i nostri vitigni Sangiovese, Trebbiano, Colorino e Malvasia diano vita a vini in grado di narrare ogni anno la loro storia. Per quanto riguarda i bianchi abbiamo scelto di coltivare anche un vitigno internazionale, il Riesling italico, una varietà particolare che si trova in aree di montagna alte e fredde come il Trentino Alto Adige, l’Austria e la Germania. In Umbria siamo gli unici ad avere il Riesling grazie alla nostra altitudine. Abbiamo impiantato queste barbatelle e abbiamo visto che il terreno era ottimo per fare questo tipo di vino, così abbiamo deciso di produrre un Riesling in purezza.
Abbiamo un rosé da Sangiovese in purezza, il Sangiovese è uno dei vitigni più diffusi fra Toscana, Umbria e Marche ed è un’uva bella colorata, così come poi risulta il nostro rosé. Viene fatto nello stesso periodo in cui facciamo uscire il nostro Sangiovese in purezza Intenso, il nostro cavallo di battaglia e vino più iconico. Mentre facciamo Intenso, una vendemmia di ottobre quindi già tardiva, facciamo il rosé: Il primo mosto che esce diventa rosato e una volta che ne abbiamo un quantitativo sufficiente passiamo a fare i rossi.
Come rossi abbiamo appunto Intenso, Sangiovese in purezza vendemmia di ottobre, e il Rosso Campaninoche è Sangiovese in purezza vendemmiato a novembre, ancora più tardi: un vino pensato per la selvaggina, che con i suoi 14.5-15 gradi è perfetto per essere abbinato al cinghiale. Non a caso in Tenuta Baroni Campanino abbiamo anche un allevamento di suini neri allo stato brado.
Abbiamo inoltre una riserva, Assolo, un Sangiovese in purezza che definisco “finto Brunello di Montalcino” perché per produrlo seguiamo l’antica ricetta del Brunello di Montalcino: tre anni in botte tronco-conica di legno di rovere francese, due anni di affinamento in bottiglia, poi esce sul mercato.
Dopodiché abbiamo un “finto Chianti”, per il quale usiamo l’antica ricetta del Chianti, un blend composto da 70 % Sangiovese, 20% Merlot per addolcire e arrotondare il gusto e 10% colorino” un vitigno da taglio che dà più colore e ruvidezza ai vini, ci racconta. “Infine abbiamo il Gamay, il vitigno internazionale che abbiamo scelto come rosso: Gamay francese da un barbatello acquistato in Francia che fa tre anni di barrique di rovere francese (dove prima c’era il Bordeaux) e due anni di affinamento in bottiglia. Un vino molto particolare, dall’imponente tannino verde che però a sua volta è sovrastato dal fruttato del Gamay e dal sentore pepato del barrique di rovere francese”.

Qual è il primo vino che hai aggiunto tu?
Io lavoro con Tenuta Baroni Campanino da circa due anni, ma la linea attuale esiste dal 2017, quando era seguita dall’enologo precedente. La “mia” linea uscirà in realtà quest’anno, ci piace fare sperimentazioni su nuove tipologie di vino e al momento stiamo lavorando su un metodo ancestrale rosé che segue una rifermentazione in bottiglia su lieviti da Sangiovese in purezza. Perché questa scelta? Semplice, perché va molto di moda in questo momento. Di bianchi ne facciamo pochi, quindi non avrebbe senso fare rifermentati bianchi, ma di uva a bacca nera ne abbiamo tanta e di conseguenza possiamo sperimentare molto sul rosé”.

Il mercato del vino naturale al momento è molto più forte all’estero che in Italia, orientato soprattutto verso l’Estremo Oriente, verso la Corea e il Giappone… com’è questo rapporto in Tenuta Baroni Campanino?
Anche noi esportiamo molto, il nostro fatturato proviene al 70-80% dall’estero e al 20-30% dall’Italia. Siamo molto forti in Europa in paesi come Francia, Lussemburgo, Germania, Olanda, Svizzera, Portogallo, Spagna, ma anche oltreoceano presso Stati Uniti, Canada, Messico. A Oriente lavoriamo soprattutto con la Corea del sud… il Giappone ancora ci manca, ma stiamo cercando di entrarci, e in questi giorni stiamo parlando anche con la Cina.
Una motivazione alla base di questa evidenza probabilmente è che all’estero si è molto più attenti alla sostenibilità e a cosa viene utilizzato all’interno de vini. Noi non aggiungiamo niente, le fermentazioni sono spontanee, non filtriamo, le temperature non sono controllate, la solforosa è minima e i clienti sono molto attenti a questo e preferiscono investire su queste piccole realtà invece che su grandi produttori ormai standardizzati. Ogni bottiglia è una scoperta e fuori la gente è molto più istruita sul mondo del naturale, cosa che ancora in Italia siamo indietro.
In Italia il panorama è molto più diversificato, ci sono regioni molto istruite sul naturale e regioni che lo sono meno. Noi siamo in Umbria e nella nostra zona vendiamo pochissimo: i nostri mercati italiani di riferimento sono Lazio, Puglia, Toscana”.

Logo di Tenuta Baroni Campanino

Dopo averci raccontato dell’azienda, della sua filosofia e dei suoi prodotti, si lascia andare a una considerazione più intima, profonda, ricca di speranza: il futuro del vino naturale è nelle mani dei giovani.

Quella del vino naturale è una piccola fetta di mercato, rappresenterà il 2-3% del commercio del vino, però è un mercato che piano piano si sta espandendo. Ci sono sempre più produttori naturali e soprattutto c’è un cambiamento fra le generazioni che si orientano verso nuovi orizzonti. Ho notato in diverse fiere italiane che i visitatori, italiani e non solo, conoscono solo i nomi più grandi, come Barolo, Barbaresco, Amarone e Brunello di Montalcino: ci sono moltissimi vini esposti, ma vengono apprezzate solo quelle quattro tipologie. Qui invece, su fiere orientate al naturale come Vi.Na.Ri., c’è un interesse diverso da parte del consumatore verso lo scoprire nuove tipologie, nuovi luoghi, nuove vinificazioni. C’è più informazione”.

Tenuta Baroni Campanino rivolge al futuro uno sguardo più consapevole, più green, senza però stravolgere la tradizione e mantenendo ben saldi i principi delle colture locali. Se di sostenibilità si parla ormai tanto, forse troppo, e l’impegno in questo senso in molti settori risulta essere solo parole al vento, nel mondo del vino naturale si tratta di un progetto reale, concreto, attuale. E non vediamo l’ora di vederne gli sviluppi.

Gaia Rossetti

Sono una gastrocuriosa e sarò un'antropologa.
Mia nonna dice che sono anche bella e intelligente, il problema è che ho un ego gigantesco. Parlo di cibo il 60% del tempo, il restante 40% lo passo a coccolare cagnetti e a far lievitare cose.
Su questi schermi mi occupo di cultura del cibo e letteratura ed esprimo solo giudizi non richiesti.

Forum ITALICS 2023: un progetto di ITALICS in collaborazione con Triennale Milano

Forum ITALICS 2023: un progetto di ITALICS in collaborazione con Triennale Milano

Forum ITALICS 2023: un progetto di ITALICS in collaborazione con Triennale Milano

Una giornata di lavoro, confronto e scambio dedicata e promossa dalle 70 gallerie di ITALICS. Due incontri aperti al pubblico per stimolare riflessioni e condividere nuovi scenari.

Martedì 28 febbraio ITALICS, in collaborazione con Triennale Milano, presenta Forum ITALICS, prima edizione di un appuntamento pensato per riflettere e confrontarsi sul ruolo presente e futuro delle gallerie come imprese culturali.

A tre anni dalla sua costituzione, il consorzio ITALICS – che riunisce settanta tra le principali gallerie d’arte contemporanea, moderna e antica attive su tutta la penisola, con l’obiettivo di sviluppare nuove modalità di incontro e di relazione tra operatori e territori – fa un passo in avanti. Con la prima edizione del Forum, ITALICS parte dalla forza della propria rete di relazioni e si propone come catalizzatore e attivatore di nuove idee e proposte nel dibattito contemporaneo, facendosi promotore di collaborazioni e di condivisione di esperienze tra coloro che hanno fatto dell’arte il proprio mestiere.

FORUM ITALICS 2023 costituisce un’occasione di confronto e discussione tra rappresentanti delle più importanti istituzioni e gallerie d’arte italiane insieme a esperti del settore: un momento per incontrarsi, incontrare il pubblico e stimolare un confronto aperto.

La giornata di martedì 28 febbraio vedrà, dalle 10.00 alle 17.00, un primo momento a porte chiuse, in cui i galleristi di ITALICS, con l’aiuto di professionisti e operatori di settore, si confronteranno partecipando a otto diversi tavoli di lavoro focalizzati su altrettanti temi chiave: La galleria come spazio (e tempo) in evoluzione; Digital presence e nuove tecnologie; Sviluppo del mercato dell’arte; Competenze nuove, competenze rinnovate, competenze da trovare per l’ecosistema della galleria; Includere o essere aperti?; ITALICS nel futuro; A chi interessa il valore simbolico dell’arte? il rapporto tra gallerie e brand; Immaginare la legacy delle gallerie italiane.

Il pomeriggio di lavoro si concluderà con una tavola rotonda tra ITALICS, ANGAMC Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, e Associazione Antiquari d’Italia. Invitate da ITALICS, le due associazioni di categoria faranno il punto sulle istanze dirette a migliorare gli strumenti esistenti del sistema dell’arte Italiano.

Il secondo momento della giornata, aperto al pubblico, vedrà susseguirsi due incontri – una lectio e una conversazione – in cui alcune delle voci più autorevoli del mondo dell’arte e della cultura immagineranno scenari che metteranno al centro conoscenza, promozione e sviluppo dei saperi come fattori di crescita del territorio italiano.

Dalle 18.00 alle 19.00, la lectio intitolata Destino della città storica, poetica del riuso di Salvatore Settisarcheologo, storico dell’arte e accademico dei Lincei. Davanti all’avanzata delle megalopoli, le città storiche saranno assoggettate a processi di gentrification e turistizzazione intensiva? Potranno essere salvate dal declino mediante una nuova poetica del riuso abitativo? Sapranno essere accoglienti e stimolanti per la creatività delle nuove generazioni? Sono solo alcune delle domande a cui il Professor Settis proverà a dare risposta.

Dalle 19.00 alle 20.00, Vincenzo de Bellis, Direttore Fiere e Piattaforme espositive di Art Basel, Fosbury Architecture, il collettivo di design e architettura che curerà il Padiglione Italia alla Biennale Architettura 2023, e Cristiana Perrella, curatrice di Panorama 2023, si confronteranno nel panel Azioni culturali nel territorio: responsabilità e utopie. L’incontro, che si concentrerà su impatto e prospettive generate da progetti di arte e cultura in territori e luoghi inaspettati, sarà introdotto da Stefano Boeri, Presidente di Triennale Milano (in collegamento).

In qualità di main partner di ITALICS, Belmond conferma il suo supporto alle attività del consorzio anche in occasione della prima edizione di Forum. Sviluppando la sua lunga e fortunata tradizione nel campo dell’ospitalità e del tempo libero, Belmond ha sempre dedicato grande attenzione e cura al patrimonio culturale e alla storia dei Paesi in cui opera. La partnership con ITALICS sviluppa il comune obiettivo di promuovere l’Italia e il suo territorio attraverso l’arte, invitando il pubblico a vedere la cultura e la bellezza diffuse nel Paese da un punto di vista diverso.

FORUM ITALICS 2023 – PROGRAMMA DELLA GIORNATA
INCONTRI APERTI AL PUBBLICO
18:00 – 19:00 Destino della città storica, poetica del riuso
Lectio di Salvatore Settis, Accademico dei Lincei.
19:00 – 20:00 Azioni culturali nel territorio: responsabilità e utopie
Panel con Vincenzo de Bellis, Fosbury Architecture e Cristiana Perrella. L’incontro sarà introdotto da Stefano Boeri, Presidente di Triennale Milano (in collegamento).