Alda Merini e l’amore per la poesia

Alda Merini e l’amore per la poesia

Alda Merini e l’amore per la poesia

Alda Merini, poetessa milanese scomparsa nel 2009, ha raccontato in versi l’amore carnale e l’amore per la poesia, sua compagna di vita. Ha testimoniato le sofferenze e il desiderio di libertà provate all’interno dei manicomi in cui è stata internata per diversi anni. 

Alda Merini nasceva il 21 marzo 1931 in una Milano che amava immensamente. Crebbe in una famiglia di umili condizioni e frequentò un istituto professionale. Cercò di trasferirsi al liceo Manzoni, ma non superò il test di italiano e si dedicò a studiare pianoforte. A quindici anni, però, emerse il suo talento e pubblicò due poesie all’interno di un’antologia. 

L’anno successivo, a soli sedici anni, comparvero i primi segni di una malattia che la perseguiterà per il resto della vita: il disturbo bipolare. Erano anni bui per le persone considerate pazze, internate nei manicomi senza alternative. La poetessa milanese non ricevette cure adeguate, ma solo numerose privazioni, subendo l’elettroshock. In quei luoghi dediti a torture ancora legali per diversi anni, Alda Merini riuscì a concepire poesie meravigliose, intense e forti, contrastando la bruttezza che la circondava. Da questa esperienza, infatti, nacque la raccolta La terra santa: un viaggio che attraversa i momenti vissuti all’interno del manicomio.
È stata marchiata dal fardello della follia, una compagna di vita scomoda e limitante, ma che le ha permesso di vedere il mondo da un altro punto di vista. Leggiamo un pezzo della lunga e struggente poesia Laggiù dove morivano i dannati: 

[…]
Laggiù nel manicomio
dove le urla venivano attutite
da sanguinari cuscini
laggiù tu vedevi Iddio
non so, tra le traslucide idee
della tua grande follia.
[…]

Il manicomio era il posto in cui non si poteva urlare il proprio dolore, dove non c’era posto per l’umanità e le urla venivano soffocate. È in quella mancanza che Alda Merini trovò Dio, lo vide in mezzo al nulla e lo sentì tra le pareti del silenzio. Credeva in Dio, pur non accettando che il sesso fosse trattato come un peccato. Ella amava l’amore sentimentale e il desiderio carnale, protagonisti di numerose poesie. Si innamorava continuamente, accettando anche la conseguente sofferenza. Visse relazioni difficili e conobbe uomini complicati, infedeli, che non le donavano tutto l’amore che lei dava loro. È in quell’amore, tra le braccia di un uomo, che riesce a stare bene. Ce lo racconta nella poesia C’è un posto nel mondo dove il cuore batte forte: 

C’è un posto nel mondo
dove il cuore batte forte,
dove rimani senza fiato,
per quanta emozione provi,
dove il tempo si ferma
e non hai più l’età;
quel posto è tra le tue braccia
in cui non invecchia il cuore,
mentre la mente non smette mai di sognare…
Da lì fuggir non potrò
poiché la fantasia d’incanto
risente il nostro calore e no…
non permetterò mai
ch’io possa rinunciar a chi
d’amor mi sa far volar.

Non può fuggire da quel posto, fonte di una felicità priva di eguali. Non può e non sa rinunciarvi perché anche se il tempo passa e si riversa sul corpo, lì il cuore non invecchia mai. Rimane vivo. 

Alda Merini era sposata con un panettiere, ma in seguito alla sua morte sposò il poeta Michele Pierri, che aveva apprezzato molto le sue poesie. Si trasferì per tre anni a Taranto e scrisse il suo primo libro in prosa: L’altra verità. Diario di una diversa. A Taranto, però, venne nuovamente internata e visse anni terribili, le impedirono anche di vedere le figlie. Soltanto dopo il 1978, anno in cui la Legge Basaglia chiuse i manicomi, Alda Merini poté ritrovare la serenità perduta.

Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
[…]
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all’umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello a Giona.

Questa poesia, contenuta nella raccolta La terra santa, presenta un’antitesi tra la poesia, bella e delicata, e la pietra, dura e pesante. Alda Merini vuole dirci che non c’è bellezza senza sofferenza. Scrisse molte delle sue poesie in un manicomio, un luogo in cui ha subìto umiliazioni, ma quelle ginocchia piegate non le hanno impedito di inseguire la bellezza. È lì che cercò il mistero, trovandolo tra i versi di una poesia scritta col sangue. Tu, poeta, sei un pazzo criminale e detti versi all’umanità: consegni agli uomini i versi della rivincita, della speranza. Tu, poeta, sei fratello a Giona: sei come il profeta Giona, che trasgredì il dovere dettato da Dio, fuggendo e isolandosi da tutti gli altri. 

I poeti trovano sé stessi di notte, quando gli altri dormono e non hanno fretta di finire. Scrivono quando le piazze sono vuote e l’unico rumore che si ode è quello delle lancette: 

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
[…]

Alda Merini visse una vita difficile, violenta e accusata di essere folle. Non smise mai di cercare, creare e amare. Mise su carta le proprie emozioni, altalenanti e forti, consegnandoci fragilità, coraggio e speranza. È stata e continua a essere una delle poetesse più espressive e talentuose del Novecento, e non solo. Non è stata compresa per molto tempo, ma la penna le è rimasta fedele tra le dita. 

O poesia, non venirmi addosso
sei come una montagna pesante,
mi schiacci come un moscerino;
[…]

La poesia è violenta con lei, la teme, come alcuni uomini che ha conosciuto. Eppure, non può fare a meno di amarla e noi non possiamo non amare i suoi versi. 

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

E se dormire separati fosse il segreto di una coppia duratura?

E se dormire separati fosse il segreto di una coppia duratura?

E se dormire separati fosse il segreto di una coppia duratura?

Dormire sempre insieme nello stesso letto ogni notte è la rovina del rapporto? Anche Bonolis e la moglie vivono separati, ma si amano…

Facchinetti e la moglie dormono in stanze separate 
Francesco è il primo a dire che dorme in un’altra stanza, anzi secondo il nostro speaker, “dormire sempre insieme nello stesso letto ogni notte è la rovina del rapporto”. Mentre Sabrina è del partito romanticismo: “Vuoi mettere la bellezza di addormentarti con la persona che mai, svegliarti con la persona che ami…”, altrimenti non è più amore, secondo lei. 

Il parere della psicologa 
In diretta è intervenuta la psicologa Elisa Caponetti che ha offerto il suo punto di vista su ciò che sta accadendo oggi tra molte coppie: “Esistono sempre meno famiglie tradizionali”. Sono molte le coppie che decidono, pur amandosi, di vivere in case separate per godersi maggiormente i propri spazi, ma valorizzando maggiormente anche i momenti insieme. Certo per farlo occorre avere la possibilità economica di mantenere due case e con esse la propria indipendenza. Due case significa: due auto, due IMU, due bollette della luce, dell’acqua, del gas e via dicendo. La convivenza è sicuramente più economica!

Compromesso: camere separate
Una soluzione/compromesso alla propria voglia di indipendenza è la camera separata ma sotto lo stesso tetto. Una soluzione più sostenibile economicamente e che lascia spazio ai due partner. L’uomo può russare in santa pace e la donna può leggere fino a tardi senza disturbare il sonno rumoroso del partner!
“Non sempre è indicativo di una fragilità di coppia – spiega la dott. Caponetti – ci sono coppie che compiono questa scelta che sono anche molto solide e durano nel tempo, ci sono poi altre che hanno difficoltà a impegnarsi in un legame di coppia”. 

Bonolis e Bruganelli: separati e innamorati
Da settimane tiene banco la questione Bonolis/Bruganelli. La coppia, sposata felicemente da vent’anni, ha raccontato di vivere in appartamenti separati (ma adiacenti). Il conduttore ha ulteriormente chiarito a Verissimo che il loro rapporto è in salute: “Dormire in camere separate è un segno di civiltà!”, ha spiegato Bonolis. Loro che desso hanno fatto l’upgrade e vivono in palazzi diversi, ma comunicanti da una doppia porta sul terrazzo, sono una coppia al sicuro: “È il segreto per restare insieme tutta la vita”, ha spiegato Bonolis a Silvia Toffanin.

di Elisa Caponetti

Una sedia marrone e una sedia azzurra

Una sedia marrone e una sedia azzurra

Una sedia marrone e una sedia azzurra

Un amore già vissuto e un amore che forse sta per finire. Due persone si incontrano e raccontano i loro silenzi più nascosti.

Una sedia marrone e una sedia azzurra, fatte di legno, l’una accanto all’altra. Non troppo vicine, ma perfettamente allineate, rivolte verso l’esterno. Quando le vidi erano vuote, quando le toccai erano ancora calde, come se qualcuno le avesse occupate pochi minuti prima. Aspettai che arrivassero, presi la mia macchina fotografica e immortalai un momento che, forse, avevo solo immaginato. Ricostruii nella mia mente una storia, poi la vidi con i miei occhi. Un uomo anziano con pochi capelli bianchi ai lati della testa uscì dalla porta che si trovava accanto alla sedia marrone. Indossava una camicia bianca, sporca sui fianchi e con aperti i tre bottoni sotto il collo. Mi guardò per qualche istante, poi si sedette sulla sedia marrone e mise la testa fra le mani. Aspettai che qualcuno si sedesse accanto a lui, finsi di fotografare il paesaggio, oggetti insignificanti e il cielo azzurro e aspettai. I minuti passavano ma non succedeva niente e i miei pensieri correvano veloci in mezzo al silenzio.

Ripensai all’espressione di Marco pochi giorni prima, alla sua delusione e ai suoi occhi verdi. Mi chiese da quanto tempo andasse avanti, come se gli avessi confessato un tradimento. Il mio sentimento titubante nei suoi confronti era un tradimento per Marco, uno di quelli da cui non si ritorna indietro. Riemerse il mio senso di colpa, quello che avevo appreso da mia madre. Mi sentii sbagliata e colpevole ancora una volta, come ogni volta.

«Cosa ci fa poi con tutte quelle foto?» disse all’improvviso quell’uomo sconosciuto, distogliendomi dai miei pensieri cupi e solitari.
«Come, scusi?»
«Sono venti minuti che fa foto nello stesso punto, che ci fa poi? A cosa servono? Non c’è niente di speciale qui». La sua voce era profonda e leggermente rauca, ma dolce e calma. Il suo accento era quello di un uomo del sud.
«La maggior parte delle foto che faccio le tengo per me, alcune le pubblico per mostrarle agli altri. Adoro questo posto».
«Io ci abito da quarant’anni, lo conosco a memoria». Scoprii che era calabrese, di un piccolo paese in provincia di Reggio, e che si era trasferito a Bologna per studiare. Poi, però, suo padre non riuscì più a mantenerlo e dovette lasciare l’università per trovare lavoro. Abbandonammo le formalità, come da lui richiesto, e iniziammo a darci del tu.
«E che cosa studiavi?»
«Non ci crederai mai e ormai non ci credo nemmeno io, anzi mi viene da ridere quando penso che studiavo Giurisprudenza. Volevo fare l’avvocato, ma è stato meglio così, almeno nessuno si mette a ridere quando dico che faccio l’agricoltore». Sorrise e io insieme a lui. Mi chiese di sedermi accanto a lui sulla sedia azzurra che qualcuno aveva occupato quando non c’ero. «Non deve sedersi nessun altro qui?» gli chiesi indicando la sedia.
«No, questa era di mia moglie ma lei non c’è più, così adesso qualche volta faccio sedere mio figlio, quando si ricorda di venire a trovarmi. E ora faccio sedere te, così stai più comoda, dopo tutte quelle foto ti sarai stancata».
«No Giorgio, non posso…»
«Non essere sciocca, se non ti siedi me ne vado», mi disse sorridendo e guardandomi negli occhi. Il suo sguardo mi calmava, mi rassicurava. Era sincero e puro, velato da una profonda tristezza che cercava a tutti i costi di nascondere, non per mentire bensì per eliminare ogni traccia di compassione nello sguardo altrui.

Mi sedetti accanto a lui e continuammo a parlare di sua moglie, scomparsa l’anno precedente. Non gli chiesi com’era morta, mi disse soltanto che era malata da diversi anni e che negli ultimi mesi non ricordava più nulla, stentava a riconoscere perfino suo marito. Avevano costruito insieme ricordi per quasi quarant’anni e lei li aveva dimenticati tutti.

«Sai perché è azzurra questa sedia?»
«No, perché?»
«Un giorno di moltissimi anni fa ritornai a casa con due sedie uguali, entrambe marroni. Ero felice perché gliele avrei mostrate, era il mio regalo per il nostro anniversario. Tu ora penserai: “Giorgio, ma che regalo è scusa?”, e hai pure ragione, però per me era importantissimo. Ogni giorno quando volevamo sederci fuori dovevamo portare le sedie che stanno intorno al tavolo e poi riportarle dentro, così decisi di comprarne due e di lasciarle sempre qui fuori. Non vedevo l’ora di fargliele vedere, ma devi sapere che Giulia era pignola e aveva da ridire su tutto. Mi disse subito che quel colore non le piaceva, le metteva tristezza. Io ci rimasi male, però poi il giorno dopo presi la sua sedia, la portai in garage e la pitturai del suo colore preferito, l’azzurro. Quando la vide non ti dico che sorriso mi fece, ancora oggi quando ci penso sono felice». Giorgio sorrise e cancellò subito col dito una lacrima che annunciava di scendere sulla sua guancia destra.
«Io mi sarei emozionata tantissimo al posto suo, è un gesto dolcissimo».
«Alice, ma tu perché sei qui da sola oggi?» mi chiese, come se potesse leggere i miei pensieri.
«Volevo stare un po’ da sola…»
«Dimmi la verità Alice, tanto non lo dico mica a qualcuno» mi disse sorridendo.
«L’altro giorno ho detto a Marco che non so se lo amo, e non riesco a vivere con questo senso di colpa. Così ho pensato di venire qui da sola, ho lasciato il telefono a casa e ho portato con me solo la macchina fotografica. Fotografare mi calma, è terapeutico a volte. Mi permette di vedere i dettagli, di riguardare più volte qualcosa che ho già visto e di vederci dentro sempre qualcosa di nuovo».

«E in Marco non vedi più niente di nuovo?» Quella domanda rimase sospesa per un po’, ma Giorgio aspettò senza aggiungere altro.
«Forse è così, ma non voglio ammetterlo a me stessa. Vorrei soltanto amarlo come prima e non avere dubbi. Sarebbe tutto più semplice».
«Secondo me dovresti solo vederlo da una prospettiva diversa, come fai con le foto. Tutti se guardiamo la stessa cosa o la stessa persona tutti i giorni nello stesso modo poi ci stanchiamo. Funzioniamo così, siamo alla ricerca della novità, però per trovarla non dobbiamo per forza cercare qualcosa di nuovo, ma guardare le cose vecchie con occhi diversi. Può essere che non sia così, che davvero non lo ami più, però non arrenderti subito. Te lo diranno tutti, ma tu non farlo. Prendi questa sedia, ad esempio, è diventata nuova anche se era la stessa sedia di prima».
«A te è mai capitato di avere dei dubbi con tua moglie?»
«Secondo me è impossibile non avere mai dubbi in amore. Certo che mi è capitato, ma ero anche sicuro che sarebbero stati passeggeri perché eravamo uniti. Ero sicuro che avremmo superato qualsiasi dubbio e difficoltà».
«A me manca quella sicurezza…»
«Cercala, non è detto che la troverai ma almeno cercala».

Ero andata sui colli bolognesi un sabato mattina come tanti altri per scattare delle foto, ma conobbi Giorgio. Non credevo nel destino, ma attribuivo sempre un significato alle persone che incontravo per caso. Io e Giorgio non ci saremmo mai conosciuti, appartenevamo a due generazioni diverse e a due posti differenti. Quel giorno, però, lo incontrai e mi fece sedere sulla sedia azzurra che aveva occupato sua moglie per anni.
Rimasi fino a sera, continuammo a raccontarci, ma i suoi ricordi erano più nitidi dei miei, nonostante fossero più vecchi. Aveva imparato a conservarli per sopperire alle mancanze di Giulia, per non tralasciare nulla e ricordare per entrambi. Quella stessa sera chiamai Marco e gli chiesi di riprovarci, insieme, mettendo da parte i miei sensi di colpa.

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Una questione privata: l’amore che muove all’azione

Una questione privata: l’amore che muove all’azione

Una questione privata: l’amore che muove all’azione

Una questione privata è un romanzo pubblicato nel 1963, dopo la morte dello scrittore che lo ha concepito, Beppe Fenoglio. Ambientato negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale, racconta la Resistenza senza esplicitarla. L’amore di Milton per Fulvia attraversa tutto il romanzo, e spinge il giovane partigiano a risolvere la propria questione privata.

Tutti abbiamo una questione privata da risolvere in mezzo al tempo che passa, a problemi più grandi, a una vita che scorre senza sosta. E per quella piccola questione privata saremmo capaci di mettere da parte tutto il resto, ormai sbiadito se confrontato a un amore perduto, a un tradimento subìto, a un’ossessione che ci divora. Tutti siamo stati, siamo o saremo Milton, ma senza lo sfondo atroce della guerra.

Milton ama Fulvia, e noi Fulvia la conosciamo soltanto tramite le parole di Milton. Fa parte di un passato che ci viene raccontato a posteriori, che non esiste più perché spezzato da un periodo storico che non lasciava spazio all’amore e alla spensieratezza di una giornata di sole. Eppure, siamo lettori di un romanzo che racconta la Resistenza senza esplicitarla. Ecco dove risiede la straordinarietà delle parole di Beppe Fenoglio.

L’amore muove all’azione, spinge la mente e il corpo ad agire, a lasciarsi tutto alle spalle pur di stargli dietro. Ci trasforma continuamente, ci costringe a guardarci allo specchio senza riconoscere l’immagine riflessa. Ci travolge e noi, inermi di fronte a una tale forza, lo seguiamo, lo impersoniamo e lo veneriamo come se fosse il nostro Dio. E se quell’amore è perduto, messo in dubbio o attraversato da una viscerale gelosia, nient’altro conta più al mondo.

La guerra, la Resistenza, le armi, la sofferenza, cosa sono per Milton quando il nome di Fulvia gli bagna le labbra, quando qualcuno insinua nella sua mente il dubbio? Niente, forse soltanto un impedimento, un ostacolo che è pronto ad affrontare, pur di scoprire, di trovare una risposta. Leggiamo insieme l’incipit.

La bocca socchiusa, le braccia abbandonate lungo i fianchi, Milton guardava la villa di Fulvia, solitaria sulla collina che degradava la città di Alba.

Il nome di Fulvia è subito presente, e già dall’inizio ci accorgiamo dell’importanza che riveste nella vita di Milton. Ne ricorda l’infinita bellezza, contrapposta al proprio aspetto; egli viene descritto, infatti, come un ragazzo brutto, alto e magro. Ricorda i momenti trascorsi insieme, i posti che ne facevano da sfondo e i loro dialoghi. Ricorda un prima, spezzato da un dopo che rappresenta ancora il presente. Cosa è stata la guerra se non questo? Una rottura con la vita di tutti i giorni, con gli amori imperfetti, con le amicizie intense, le passeggiate prive di paura. E con una punta di nostalgia, il narratore del romanzo ci restituisce quei ricordi:

«No, non sei splendida».
«Ah, non lo sono?»
«Sei tutto lo splendore».
«Tu, tu, – fece lei, – tu hai una maniera di mettere fuori le parole… Ad esempio, è stato come se sentissi pronunziare splendore per la prima volta».
«Non è strano. Non c’era splendore prima di te».

Come si fa a non amare i loro dialoghi, le parole che Milton le riserva e le risposte di Fulvia, lusingata e sorpresa. È un passato che ci manca anche solo leggendone i ricordi. Al di là dell’epoca in cui viviamo, se ci sia la guerra o meno, quel sentimento folle e imperfetto rimane lo stesso. Ecco perché riusciamo a comprendere Milton e Fulvia. E siamo in grado di capire perché egli ha bisogno di trovare Giorgio, il suo amico più caro.

Milton va nella casa in cui Fulvia, che non vede da più di un anno, ha vissuto per un breve periodo, e rischia anche di essere catturato. È in questa casa che i ricordi ritornano, ancora più vividi e chiari. Qui incontra la custode della villa, che trasforma i pensieri del ragazzo, insinua nella sua mente un dubbio che attraverserà tutto il romanzo e muoverà le sue azioni. La custode racconta di Fulvia e Giorgio, alludendo a un legame tra i due mentre Milton era soldato. Gli rivela che erano sempre insieme, fino a tarda sera.

Era entrato per raccogliervi ispirazione e forza e ne usciva spogliato e distrutto.

Spogliato e distrutto”, come chi ha riposto la propria forza in una persona, in mezzo a un’immensa sofferenza, e ha ritrovato una più grande debolezza. Fulvia era il ricordo felice di un passato sereno, ora Milton non sa più niente. Ha bisogno di sapere, di ottenere delle risposte, di trovare Giorgio. Non esiste più nulla, neppure la guerra, tutto si confonde e svanisce di fronte a una forza maggiore. Siamo fragili quando amiamo, quando qualcun altro ci mette in discussione. Ci sentiamo esposti a un pericolo astratto, che non possiamo toccare con mano, ma che possiamo solo sentire. Vogliamo conoscere le ragioni di un’emozione, risolvere un ossimoro che non riusciamo a capire. Vogliamo che l’altra persona ci guardi come noi guardiamo lei, e vogliamo che nessuno la guardi nello stesso modo.

La guerra è l’ostacolo di tutti quanti. La guerra diventa l’ostacolo personale nella vita di Milton, che vuole risolvere ad ogni costo la sua questione privata, e tutto il resto non gli importa. Ecco, l’amore…

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Sei a caccia di partner? Scopri le app migliori per tro…varli

Sei a caccia di partner? Scopri le app migliori per tro…varli

Sei a caccia di partner? Scopri le app migliori per tro…varli

Tinder, Dating e tante altre. Volete sco…vare l’anima gemella? Ecco dove trovarla…

Ammettiamolo: parlare di app di incontri nel 2022 è ancora un tabù, nonostante il loro utilizzo sia stato più che sdoganato. Un po’ come i principali siti di pornografia in streaming: hanno miliardi di visualizzazioni, ma nessuno li conosce (e in pochi li hanno nella cronologia del telefono). Perché questa intro? Perché parlare di app di incontri? Perché la redazione di iovocenarrante.com combatte strenuamente l’ipocrisia del sistema e l’omertà di massa che ti spinge a dire “ma no, ci siamo conosciuti alle macchinette dell’università” (anche se lei è di Napoli, tu di Bassano del Grappa e l’unica università che hai frequentato è quella della strada, ndr.). Abbiamo provato le principali app di incontri e abbiamo tirato le somme in questa classifica. Insomma, facciamo le pagelle degli eventi sportivi, dei look, delle canzoni, potevamo toglierci il piacere di fare la pagella delle app di incontri?

E quindi, più attesa del sesto libro de Le cronache del ghiaccio e del fuoco (non siamo boomers, siamo solo nostalgici), ecco le pagelle delle principali app di incontri.

LA APP DI ZUCKERBERG: FACEBOOK DATING 8/10

Ne avevamo parlato più di un anno fa, quando Meta l’ha creata e resa accessibile al pubblico. Facebook Dating non ha niente di innovativo (come le Facebook stories, come Facebook Watch, come Facebook Messenger, come lo stesso Facebook…), ma ha nella sua semplicità il proprio marchio di forza: swipe destra sinistra, una chat minimale, la sincronizzazione con il profilo Instagram (dimostrazione lampante di esistenza), qualche accenno di “parlami di te”… E allora perché un voto così alto?
Semplice, perché – a differenza di tutte le altre – non sembra improntata solo a riempire le tasche di Zuck e, proprio per questo , ti concede la possibilità di avere tutti i like che vuoi a disposizione (ebbene sì amici miei: potrete usare la tattica del “ndocojo cojo”). Non solo: Facebook Dating ti consente anche di escludere automaticamente i tuoi amici dalle persone visibili (tanto perché la scusa delle macchinette piace a tanti) e, soprattutto, ti mostra il profilo di chi ti ha messo mi piace. Una differenza non da poco rispetto al “paga il profilo premium per sapere a chi piaci”, no?
Inoltre, Facebook Dating ti mette a disposizione anche le tue “passioni segrete”: nove persone scelte tra i tuoi amici di Facebook e followers di Instagram che “ti hanno sempre ispirato”, ma non hai mai avuto il coraggio di dirglielo. Come funzionano? Tu le aggiungi e se loro ricambiano potrebbe scattare la scintilla. O un momento particolarmente imbarazzante. Dipende dai punti di vista, no?
Qual è dunque il vero limite di quest’app? L’utenza media. Se hai meno di 30 anni è quasi inutile. Dobbiamo spiegare perché?

LA APP PER GEOLOCALIZZARLI TUTTI: HAPPN 4/10

Quando questa applicazione era uscita, qualche anno fa, sembrava la rivoluzione: vuoi conoscere le persone intorno a te? Ci pensa Happn. In pochi secondi potrai risalire al nome e, se il tuo like è ricambiato, potrai anche chattarci. Meraviglioso, no?
Ecco, peccato che la “modernità” dell’app finisca lì, in questo grande esempio di “violazione della privacy borderline”. Poca fantasia, poche innovazioni e…pochi utenti. In pratica, a meno che tu non viva in una metropoli indiana, incontrerai sempre le solite 30 persone (che avranno immagini improponibili, dato che la risoluzione di Happn non è ottimizzata e tutto è tremendamente sgranato). Ci sono anche le funzioni a pagamento chiaramente, ma chi ha intenzione di spendere più di 20 euro per una app del genere?

PURE 7,5/10

Vuoi qualcosa di trasgressivo? C’è Pure. Vuoi mettere da parte i convenevoli e cercare un partner con i tuoi stessi interessi sessuali? C’è Pure. Vuoi pagare anche l’ingresso? C’è Pure.
Pure è una app totalmente a pagamento in cui puoi ricercare partner con le tue stesse attitudini sessuali, puoi creare annunci “autodistruttivi in sessanta minuti” e hai una grafica decisamente diversa rispetto alle altre. Certo, è un investimento: non c’è una versione gratuita, non c’è una versione “light”. O tutto o niente.

BUMBLE 6,5/10

Quando ci hanno parlato di Bumble per un attimo ci siamo esaltati: un social in cui sono le donne a prendere l’iniziativa? Pazzesco (lo confessiamo, c’è un po’ di sarcasmo), abbiamo davvero superato la società patriarcale, con una parità dei sessi, almeno per quanto riguarda gli incontri online? (spoiler: no).
La realtà è molto meno esaltante delle aspettative. In pratica Bumble è ancora più da palestrati di Tinder: vincono solo la superficialità e l’estetica. E ti fa sentire peggio di quando i compagni non ti sceglievano alle elementari.
Perché Bumble, se sei un uomo, ti pone davanti a una selezione durissima: prima devi piacere con le tue foto (perché siamo onesti, le bio le leggono in 3), poi devi sperare che l’altra persona decida di salutarti. Altrimenti ciao. Insomma, avete presente quando chiedete il concetto di “elitario”? Ecco, con Bumble si entra in un mondo che è la versione 2022 di Adotta un ragazzo.
E allora perché prende più della sufficienza? Perché, a differenza delle altre app, ha due funzioni molto più interessanti della sezione “rimorchio”. Bumble ha due sezioni dedicate, rispettivamente, alla ricerca di amici (di ambo i sessi anagrafici) e alla ricerca del lavoro.
In pratica il vostro prossimo lavoro l’avrete trovato alla macchinetta dell’università (if you know what i mean).

TINDER 8,5/10

Ed eccoci al re di tutte le app di incontri: Tinder. Non la capostipite, ma sicuramente quella che ha cambiato il modo stesso di pensare le app (sì, l’idea di base sembra quella del primo Thefacebook di Zuckerberg: mi piace, non mi piace, usciamo insieme?) ed è entrato nella cultura popolare. Ha lanciato un trend da cui gli altri hanno attinto a piene mani, ma – a differenza della concorrenza – riesce a rinnovarsi. Certo, il concetto di like e swipe non è cambiato (ma se funziona perché cambiare?), ma tutto il resto è diverso.
Nuove “categorie d’incontro”, una funzionalità “speed dating”, la ricerca per interesse, serate a tema e…una serie tv interattiva in tre puntate che è un incrocio tra Black Mirror Bandersnatch (le decisioni si prendono a “botte di swipe”) e Scream.
Per cui, nonostante le funzioni sempre più a pagamento (più funzioni e prezzi più alti), Tinder resta la app di incontri “fatta meglio”.

Insomma: adesso potete davvero dire di conoscere queste app perché avete letto un articolo su internet.

Francesco Inverso

Quando scrissi la prima volta un box autore avevo 24 anni, nessuno sapeva che cosa volesse dire congiunto, Jon Snow era ancora un bastardo, Daenerys un bel personaggio, Antonio Cassano un fuoriclasse e Valentino Rossi un idolo. Svariati errori dopo mi trovo a 3* anni, con qualche ruga in più, qualche energia in meno, una passione per le birre artigianali in più e una libreria colma di libri letti e work in progress.
Sbagliando si impara…a sbagliare meglio.